Ricordi e riflessioni di Adele Maria Troisi. “Alzando lo sguardo, vedo solo persiane scrostate, finestre chiuse, balconi fatiscenti..”.
Scende la sera sui tetti di Racalmuto. E’ un sonnacchioso pomeriggio di domenica, siamo a Gennaio, ma sembra quasi un anticipo di primavera. Non mi piace, penso all’estate che ci siamo lasciati dietro alle spalle da poco e che fa di nuovo capolino e già mi pare di sudare.
Vedo le luci della strada attraverso la trama della tenda e poi intuisco le sagome delle tante case vecchie e vuote del mio quartiere. Mi si stringe il cuore, perché questo scorcio che intravedo dal mio balcone è l’ emblema del mio paese: abbandonato, invecchiato, silenzioso, svuotato.
Ricordo che la cosa che mi faceva più soffrire, negli anni in cui abitavo a Milano , era proprio il fatto di uscire e di sapere che non avrei potuto salutare nessuno, perché nessuno mi conosceva ed io non conoscevo nessuno: un numero in mezzo a tanti. Non ho mai amato le grandi metropoli, belle per una vacanza, ma non per crescerci i figli. Questo è stato sempre il mio pensiero. Pensavo al mio paese dove ci conoscevamo tutti e dove ad ogni angolo c’era qualcuno da salutare e con cui scambiare due parole affettuose.
Adesso mi capita di trovarmi in piazza e mi sembra di essere di nuovo estranea, seppure mi trovi nel mio paese, quello che mi ha visto crescere ed ora invecchiare.
Non c’è più da tanto il negozio di alimentari di Brucculeri, dove il mio papà mi comprava le caramelle, appese in ghirlande colorate rosse, arancio e giallo, fragola, arancia e limone; non c’è più il bellissimo negozio di articoli da regalo di Lillo Piazza, dove con mamma abbiamo scelto piatti e servizi per la mia lista nozze, allora si usava così ed ora è chiuso anche il negozio di frutta e verdura del signor Rizzo, dove per tanti anni ci siamo forniti. Un’altra porta chiusa, un altro pezzo di vita che se ne va. Certo capisco che tutto è frutto di un lento ma inesorabile processo di evoluzione o involuzione, il cui punto iniziale mi sembra coincida proprio con lo spostamento del mercato settimanale oltre ponte. Quello del mercato il sabato a Racalmuto, infatti, è un rito a cui tutte le massaie non si sottraggono, anzi attendono con ansia, ma in passato era anche il momento in cui la piazza si riempiva di voci, di colori di fermento e di vita. Io confesso di non essere mai stata un’ habitué del mercato, ma mi rendo conto che la sua assenza ha segnato l’inizio della fine per la vita in piazza.
Anche esteticamente il nostro corso è segnato da case dove non vive più nessuno da anni, alcune proprio in rovina, che contribuiscono ad intristire lo sguardo. I proprietari sono morti e gli eredi non le curano più e le case sono come le persone, hanno bisogno di qualcuno che le ami e le curi per essere belle e vitali. Invece, alzando lo sguardo, vedo solo persiane scrostate, finestre chiuse, balconi fatiscenti e comprendo benissimo come i nostri ragazzi e ragazze anelino ad andar via, a cercare posti dove c’è movimento, colore, soldi, vita.
Un altro ricordo affiora dai cassetti della memoria: è una mattina di Maggio, sto andando a piedi lungo via Regina Margherita verso l’Istituto professionale dove svolgo il mio anno di prova. E’ una bella giornata, il sole è già tiepido, il cielo di un azzurro così intenso da sembrare dipinto, le rondini passano basse, descrivendo cerchi, lanciando il loro verso caratteristico ed all’improvviso la campana del Monte suona, chiama i fedeli per la messa mattutina. Affretto il passo per non fare tardi a scuola e mentre cammino respiro quell’aria tiepida piena del profumo di glicine che invade l’aria. Proviene dalla villa abbandonata subito dopo la curva, sovrastata da una palma centenaria che ricordo da sempre.
Cerco di capire dove collocare temporalmente quel ricordo e mi rendo conto che risale al primo anno in cui con mio figlio piccolo abbiamo fatto ritorno da Milano a “casa”. Ecco, cosi mi sentivo quel giorno: finalmente a casa, lontano da quella città troppo grande e rumorosa, felice di poter andare al lavoro serena perché lasciavo mio figlio con i nonni che lo avrebbero accompagnato e poi ripreso dall’asilo, perché non avevo più l’ansia della baby sitter che tardava, mentre io dovevo scappare a prendere la metro, felice perché al mio rientro avrei trovato sicuramente qualcosa di pronto e squisito, preparato da mia mamma. Racalmuto mi appariva come la mia isola di serenità, ma oggi ci sono ben altre preoccupazioni che affollano la mia mente.
La sirena di un’ambulanza si intrufola tra i miei ricordi e mi distoglie dai miei pensieri.