Ricordi. Era il 1967 quando facevamo ‘Noi giovani’, e il più e il peggio era già stato fatto
Noi, alunni dell’ultimo anno del Liceo Classico Empedocle di Agrigento, il giornale lo facevamo così! Mio figlio, che ha 18 anni, mi ha detto che scrivevamo articoli lunghi. Non c’erano i social e i cellulari che hanno accorciato gli articoli e forse anche i pensieri. Era il 1967.
Ci preparavamo ad affrontare un esame di maturità durissimo (quattro scritti: italiano, latino-italiano, italiano-latino, greco-italiano; due orali, scientifico e letterario; riferimenti degli ultimi tre anni; traduzione all’impronta di Euripide, Medea, Platone, Apologia di Socrate, Lucrezio, Seneca Lettere a Lucilio e credo qualcos’altro).
Commissione tutta esterna con un membro interno che fu l’amatissimo nostro prof. di Latino e Greco Stefano Macaluso. Un esame che abbiamo sognato per anni. Incombeva il ’68. Era nell’aria. Sapevamo del giornale La zanzara del Parini di Milano, dell’imputazione oscurantista di oscenità per un articolo sulla posizione della donna nella società, sui rapporti sessuali prematrimoniali. Ci schierammo con loro.
A scuola le classi erano quasi tutte o interamente maschili o interamente femminili e le ragazze mettevano un grembiule nero con colletto bianco. Fino al ginnasio dovevano portare i calzini bianchi, a partire dalla prima Liceo erano concesse le calze di naylon. Le ragazze entravano alla chetichella prima delle 8,25. Poi tutti i maschi. C’era voglia di cambiare le abitudini e i costumi. C’era voglia di libertà.
‘Noi giovani’ conteneva articoli che affrontavano temi di attualità. Volevamo esserci. Che io ricordi, Nicola Vassallo da un lato e Giovanni Taglialavoro dall’altro erano, per così dire, i più ‘adulti’, i giornalisti più convinti e determinati, ma eravamo tutti entusiasti. Poi nel novembre dello stesso anno, finita la maturità, partimmo chi per Palermo chi per Pisa e ci ritrovammo anche a distanza nella piena temperie del ’68. Fra molti di noi si mantenne un legame che è tuttora saldo. Alcuni tornarono ad Agrigento, altri no, ma tutti con la testa a quegli anni e a questa città che ci fa disperare.
Mentre si sentiva il bisogno di libertà, nello stesso tempo la città, proprio in quegli anni, subiva quella devastazione urbanistica le cui conseguenze sono più che mai attuali. Il 19 luglio del 1966 vi fu la frana. Quando noi, nel ’67, facevamo ‘Noi giovani’, il più e il peggio era già stato fatto. Avremmo potuto fare qualcosa? Non lo so, ma certo se crebbe una coscienza culturale e politica delle condizioni devastate in cui si trovava la città, ciò avvenne in seguito al ’68. Ma non bastò.
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Prof. Alfonso Maurizio Iacono
Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere
Università di Pisa
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