Fondato a Racalmuto nel 1980

Gianfranco, l’eremita che amava costruire giocattoli

Una vita travagliata quella di Gianfranco Messana: l’abbandono della madre a Milano, l’infanzia difficile a Racalmuto e poi pellegrinaggi in Grecia e in Spagna. L’unica sua passione: costruire giocattoli. A Mori, vicino Rovereto, dove visse negli ultimi anni, il suo ricordo ancora vivo. 

Gianfranco Messana

Una carpetta conservata tra le carte dell’arciprete di Racalmuto Alfonso Puma svela appunti, ritagli di giornali, lettere e documenti vari appartenuti certamente alla professoressa Vincenza Messana, che ricordiamo curvata dal peso dell’età e di una vita trascorsa tra la scuola, la chiesa e i ricordi familiari. E vengono fuori, dopo tanti anni dalla morte di Padre Puma, notizie relative ad un uomo singolare che ha trascorso, negli anni Quaranta, parte della sua infanzia a Racalmuto, dopo essere stato abbandonato in tenera età dalla madre in un ospedale di Milano.

Un uomo misterioso di cui si occupò, nel novembre del 1970, anche il noto settimanale Gente e che fece scalpore a Racalmuto tra coloro che conoscevano questo ragazzo “disorientato, incapace di esprimersi con un linguaggio chiaro, gravemente menomato nell’udito”, così lo ricordava la cugina, la professoressa Messana.

Un ampio servizio, firmato da Renzo Allegri, raccontava di un “misterioso eremita” che viveva nelle montagne trentine, che non voleva rivelare a nessuno il suo nome. Dall’aspetto imponente, con la “fronte ampiamente stempiata, la barba folta e lunga, gli occhi grigi, grandi e ispirati, i capelli, incolti, gli giungono fino a metà schiena”.

Un eremita che fu pellegrino in Grecia, vivendo nelle grotte, in Spagna e in molte parti d’Italia. Un’anacoreta, si definiva: che aveva scelto la solitudine come unica compagna di vita, che viveva in penitenza usando il cilicio e la flagellazione.

Qualcuno pensò che si trattasse addirittura di una spia, altri lo prendevano in giro. Ma trovò molte persone che lo accolsero e lo aiutarono. L’articolo di Gente parla di un sostegno avuto da monsignor Vittore Maroni, all’epoca responsabile religioso della zona dove si trova l’eremo di San Paolo.

Grazie a lui l’uomo misterioso con gli occhi grandi che si nascondeva da tutti, trovò un tetto in una cappelletta appiccicata alla roccia della montagna del Trentino dove nel dodicesimo secolo visse San Paolo eremita. Un posto isolato, mistico, che si trova sull’antica strada che da Arco conduce a Prabi e verso Trento, da sempre riservato agli eremiti e oggi meta di turisti e pellegrini.

Le tracce di questo misterioso “eremita” ci portano a due passi dal lago di Garda, vicino Rovereto. Per giungere a Mori, un paese di poco più di novemila abitanti.

È sepolto lì Gianfranco Messana, figlio di Achille Messana e di Maria Recco, una tedesca dal temperamento artistico, che dopo la morte del compagno e della sua bambina, abbandonò a Milano l’unico figlio rimasto.

“Ero angosciata della sua situazione che lo ha costretto a condurre una vita assai sacrificata, affrontata direi quasi con eroismo”, ricordava la professoressa Messana in una lettera inviata a Don Renzo Fait, parroco di Pranzo, pure lui passato a miglior vita, che si occupò dell’eredità dell’eremita di origini Racalmutesi che andò, per volontà testamentaria, alla diocesi di Trento.

E a Mori vivono ancora i coniugi novantenni Giuseppe e Laura Poli, che hanno conosciuto bene Messana, ospitandolo spesso alla loro tavola. “Era un brav’uomo – ci dice al telefono, con una voce assai commossa la signora Laura – non fece mai del male a nessuno. Aveva comprato, negli ultimi anni della sua vita, un piccolo appartamentino qui a Mori. Si curava poco del suo aspetto, ma era buono e con gli occhi tristi. Chiedeva la carità, parlava poco. Sapevamo delle sue radici siciliane, ma non parlava molto della sua famiglia. Ma invocava sempre la madre, come un bambino”. “Nella sua piccola casa – ricorda ancora la signora Poli – aveva poche sedie. Ci diceva che gliene servivano altre, qualora i cugini siciliani andassero a trovarlo. Ma qui non abbiamo visto mai nessuno. Dopo venticinque anni dalla morte del caro Gianfranco questa è la prima telefonata che riceviamo. Noi andiamo sempre a portare un fiore alla sua tomba e tanti lo fanno. Qui era rispettato perché non fece mai male a nessuno. La fine tragica, purtroppo…”.

L’eremita, come veniva chiamato, morì investito da una auto pirata. Aveva 62 anni.

Era il 26 gennaio del 1993. Investito nel buio della notte e scaraventato nella scarpata a fianco della strada deserta che tante volte aveva percorso. Il suo corpo fu ritrovato grazie ad una telefonata anonima ai carabinieri. Nonostante la fiducia degli inquirenti dell’epoca sul “caso Messana”, la sua morte è rimasta sempre un mistero. Come la vita che aveva vissuto quest’uomo che parlava solo di una sua passione, i giocattoli.

“Gli zii riuscirono a far conseguire a Gianfranco, qui a Racalmuto, la licenza elementare – ricordava Vincenza Messana – Cresceva mettendo in evidenza buoni sentimenti; era ubbidiente, affettuoso, garbato e non mostrava alcuna pretesa. Ma non aveva nessun orientamento circa il suo avvenire, in questo non era in condizioni di imparare un mestiere, mostrava solo una spiccata tendenza a costruire giocattoli di legno con pazienza e grande precisione… Ma i rapporti con gli zii erano sempre più tesi, per cui all’età di vent’anni circa Gianfranco decise di ritornare a Milano, ove era nato, con la speranza di trovare lì una sistemazione. Dopo un periodo di tempo trascorso a Milano, dove lavorò in una fabbrica di giocattoli, iniziò il suo pellegrinare che lo portò in Grecia, sul monte Athos…”.

Degli anni in Grecia e a Monte Athos, una Repubblica monastica affidata ad una sacra comunità, non sappiamo nulla. Anche qui tanta ambiguità e tanto mistero.

“Sapevamo della sua vita travagliata – ricorda ancora Laura Poli – ma poco parlava delle sue esperienze. Ricordo che poco prima della sua tragica morte seppe che la mamma, che si era risposata in Svizzera, lo cercò senza mai trovarlo. Lui si angosciò molto di questo, andò lui in Svizzera, ma la madre era già morta”.

Una tristezza infinita, la storia di quest’uomo, rispettato e ancor oggi ricordato in quel luogo straordinario tra le montagne e la riva del Garda. “Occhi profondi sereni e forti – scrissero di lui nelle pagine delle cronache di Rovereto – sempre teso a camminare, anche di notte, perché così si sentiva meglio; e addosso sempre segni sacri. Una seria malattia ad ambedue gli orecchi lo rese quasi sordo…”.

Ai suoi funerali parteciparono tante persone. Un mese dopo la sua tragica morte, a Racalmuto fu ricordato con una messa celebrata in Matrice da don Alfonso Puma, che in diverse occasioni aiutò Gianfranco Messana, l’eremita con il cuore di un fanciullo che portò sempre con sé un pezzo delle sue radici amare.

Articolo pubblicato su Malgrado tutto web nel 2018

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