A proposito del Ponte sullo Stretto di Messina
Rileggevo un racconto di Ennio Flaiano sul caso Montesi. Per chi non sa o non ricorda: il 9 aprile del 1953, sul litorale romano di Torvajanica, viene ritrovato il cadavere di una ragazza di 21 anni, Wilma Montesi, apparentemente annegata. Nel giro di poco tempo, in una ridda di articoli, testimonianze, depistaggi, vengono coinvolti o sfiorati democristiani potenti, aristocratici, attrici, spioni. Il caso Montesi assume i connotati di scontro politico e di scandalo erotico, in uno svolazzare di inchieste, processi, memoriali, scoop giornalistici che si concluderà dopo alcuni anni senza colpevoli e senza riuscire nemmeno ad accertare le cause della morte di Wilma.
A metà degli anni Cinquanta, in Italia tutti parlano del caso Montesi. E Flaiano ci ricama su con ironia. Il Caso (il caso Montesi), per lo scrittore «è una forza viva nell’economia della Nazione». Ed elenca: dà lavoro a centoventotto magistrati, settecentododici avvocati, quattrocentodieci giornalisti professionisti e centocinquanta pubblicisti, trecentottanta fotografi, duemilatrecento querelati e querelanti, novecentodieci falsi testimoni, tre testimoni attendibili, due milioni di innocentisti convinti e due milioni e mezzo di colpevolisti convinti. Più l’indotto: il Caso ha incrementato il fabbisogno di carta da trentamila e duecentomila tonnellate all’anno, la Cooperativa dei piccoli querelatori diretti fa lavorare cinquecento famiglie, l’Istituto per le case dei fotografi pornografici ha costruito cento appartamenti in due anni. Finché c’è il Caso c’è lavoro.
Il racconto di Flaiano mi ha fatto pensare a un Caso tutto siciliano che va avanti da decenni e che ora ha una nuova accelerazione. Il Caso del Ponte sullo Stretto. Il Ponte che non c’è sta già producendo lavoro ed economia. Parafrasando Flaiano: duecentoventidue architetti, centoventuno geologi, quattrocentoventi ingegneri, sessantasette commentatori politici, centosessantadue giornalisti, novantadue computer designer, ottantacinque illustratori e grafici, dodici realizzatori di plastici in scala, diciassette conduttori di talk show, un milione e mezzo di siciliani No Ponte, due milioni di siciliani Pro Ponte. E pensate che tutto questo si muove attorno a un Ponte che non c’è.
Il Ponte che non c’è, alcuni anni fa è riuscito a far eleggere perfino il sindaco di Messina: Renato Accorinti, leader del movimento No Ponte che è stato primo cittadino della città dello Stretto fino al 2018. Insomma, come direbbe Flaiano, il Ponte che non esiste «è una forza viva nell’economia della Nazione». Solo l’idea del Ponte smuove passioni, interessi e soldi.
Ora, io non so nulla di problemi tecnici e sul Ponte ho contrastanti giudizi, di ordine sentimentale, e più di una preoccupazione. Flaiano concludeva il suo racconto immaginando che venisse costituito un Ente Montesi, con tanto di consiglieri di amministrazione, vicepresidenti, presidente, impiegati e segretarie. Il Ponte che non c’è, questo l’ha già fatto. Negli anni Ottanta era stata costituita una società, ora in liquidazione. Per quasi trent’anni ha gestito l’idea del progetto. Solo l’idea – un progetto ufficiale ancora non c’è, ma un modellino e tante perizie – è costata più di trecento milioni, finiti anche al centro di un contenzioso legale. Che è poi la soluzione, molto italiana, che accontenta tutti: chi lo vuole e chi non lo vuole. Finché non c’è il Ponte, infatti, c’è speranza.