Nostra conversazione con Filippo Bellia, firma storica del giornalismo siciliano, che per tanti anni ha raccontato la sua Palma di Montechiaro
Sessanta anni di giornalismo, “coltivando sempre un sogno – ha scritto qualche giorno fa sul suo profilo facebook – quello di vedere il completamento del Risorgimento” della sua amata cittadina. Lui è Filippo Bellia, storica firma del giornalismo siciliano, la sua cittadina è Palma di Montechiaro. Bellia, negli anni, ne ha raccontato, con indiscutibile professionalità, tutte le vicende che l’hanno attraversata: compresa la sanguinosa guerra di mafia “che generò – dice – tanti croci per le strade di Palma e decine di lutti in povere famiglie”.
60 anni di giornalismo. Come e quando inizia tutto?
Inizia in un giorno del mese di Luglio del 1964. Il responsabile della redazione provinciale Ermogene La Foreste venne a Palma per individuare un corrispondente del Giornale L’Ora di Palermo. Fui indicato da un vigile urbano mio amico e così inizio la mia lunga avventura nel difficile ma affascinante mondo del giornalismo. Poi nel 1967 il dottor Domenico Zaccaria, che definisco come il galantuomo del giornalismo agrigentino, mi convinse ad accettare la corrispondenza del Giornale La Sicilia. Da aggiungere che per alcuni anni ho collaborato anche con il Giornale di Sicilia firmando gli articoli con il nome di Giuseppe Bellia.
Hai tanto raccontato Palma. Che città era negli anni in cui hai iniziato a scriverne e che città è oggi?
Palma nella realtà di oggi ha fatto passi da gigante soprattutto nel settore ambientale con la gestione del servizio di Nettezza Urbana in house. Ma rimangono ancora sacche di miseria culturale e sociale e soprattutto è esploso, purtroppo, il triste fenomeno della emigrazione di ritorno questa volta di intere famiglie, poiché anche se sono state avviate diverse opere pubbliche, la disoccupazione continua ad essere un problema irrisolto. Bisogna considerare però il ruolo positivo delle Scuole che con le loro iniziative hanno saputo trasmettere alle nuove generazioni il rispetto delle Istituzioni, rifuggendo dal triste fenomeno della omertà.
Tu definisci Palma “Una nobile città”, aggiungendo, però, che tanti fatti nel tempo ne hanno proiettato una immagine fosca ed invivibile
Ho definito Palma una nobile città poiché è legata alla Donnafugata del Gattopardo con i suoi personaggi, i suoi monumenti e con la storia della Santa famiglia dei Tomasi di Lampedusa che annovera la Venerabile Suor Maria Crocifissa della Concezione [ la Beata Corbera del Romanzo] ed il cardinale teatino santo Giuseppe Maria Tomasi. Ma con l’assassino del grande magistrato Rosario Livatino ad opera di tre giovani palmesi della stiddra, con gli omicidi del mio grande amico dottor Giulio Castellino e del Vigile Urbano Giovanni Fazio, la sua fosca immagine purtroppo si e’ viepiù proiettata all’esterno come una cittadina violenta ed irredimibile.
Quali sono oggi le priorità che la città deve affrontare?
Completare il risanamento ambientale nei quartieri della periferia dove ancora mancano i servizi primari e la pavimentazione di diverse strade. Affrontare il problema dei prospetti di migliaia di vani abusivi privi di intonaco la cui situazione guardando dalla strada statale 115 offre una immagine spettrale. Creare cooperative giovanili per affrontare il dramma della disoccupazione giovanile con il precipuo obiettivo anche di creare in loco guide turistiche in grado di potere accogliere il turismo che auspico, quello religioso. Guide turistiche alle quali consentire di partecipare a corsi specifici sulla storia ed i personaggi della patria del Gattopardo chiamata Donnafugata.
Le iniziative di Agrigento Capitale della Cultura coinvolgeranno anche il territorio della provincia. Quale ruolo avrà Palma?
Palma potrà avere un ruolo di appoggio al Comune di Agrigento e al Parco Archeologico della Valle dei Templi ma svolgendo anche un ruolo di protagonista avendo un sindaco all’altezza del compito, ma a patto che si possa creare un comitato ristretto di intellettuali per potere scegliere le iniziative idonee con le quali potere offrire in tutto il mondo l’immagine del suo splendore e del suo nobile passato.
Montanelli sosteneva che l’unico “padrone” del giornalista è il lettore. Secondo te, anche alla luce della tua lunga esperienza, è così oggi?
Certamente l’unico padrone e’ sempre il lettore. Il grande Indro sentenziò però che bisogna “combattere per quello cui credete”. “Perderete tante volte come ho perso io. Ma solo una potreste vincere e cioè quella che si incaglia ogni mattina davanti allo specchio”. Io mi identifico in questa massima poiché nei miei lunghi anni di giornalismo penso di aver potuto camminare nel mio paese, e nelle altre mie importanti sfere professionali, a testa alta. L’onorevole Salvatore Sciangula quando era in visita elettorale a Palma con le sue lunghe braccia mi stringeva la mano ed esprimeva la sua stima con la frase “saluto il Montanelli di Palma”
Oggi molti quotidiani sono in crisi. Qual è la tua riflessione su questo problema. Tu che sei e sei sempre stato una firma di prestigio della carta stampata?
Purtroppo i social hanno assestato un colpo mortale al giornalismo di carta stampata che io continuo ancora a servire e difendere poiché costituisce il baluardo per la difesa della verità della libertà e della democrazia.
Hai raccontato tanti fatti. Una storia che non avresti mai voluto raccontare
Era il 6 Giugno del 1986, ho subito un attentato. Di notte hanno dato fuoco alla mia macchina e mia moglie per lo spavento ha perduto il bambino che teneva in grembo o la bambina dei miei sogni che sarebbe stata il bastone della mia vita. E naturalmente il barbaro assassinio del mio grande amico di famiglia Giulio Castellino.
Dicevamo 60 anni di giornalismo. Qualche collega che ti piacerebbe ricordare
Domenico Zaccaria e Pippo Fava, mio grande amico, che ho accompagnato a Palma per un suo reportage e che mi ha scelto come collaboratore per le riprese del film a Palma di Verner Schroeter dal titolo Palermo oder Wolfsburg, che vince nel 1980 l’Orso d’Oro al Festival di Berlino.
E chi tra i tanti personaggi che hai incontrato
Sicuramente Papa Giovanni Paolo II. Era il 12 ottobre del 1986, e avemmo con il papa una udienza in occasione della canonizzazione del Cardinale Teatino Giuseppe Maria Tomasi. Ricordo con emozione la sua carezza, accompagnata dalla parola, ripetuta tre volte, “speriamo, speriamo, speriamo”.
Con quali parole ti piacerebbe chiudere questa conversazione
Con la celebre frase di Giacomo Matteotti: “ucciderete pure me ma l’idea in me non la ucciderete mai. I miei figli si glorieranno del proprio padre. Viva l’Italia e Viva il Socialismo”. Questa esortazione del martire socialista ha costituito la stella polare della mia vita.