Fondato a Racalmuto nel 1980

Sembrava uscito da una fiaba tramandata a voce

Mimmo Butera debordava in intelligenza, carisma, ironia, eloquio, passioni. Sapeva trasformare il dolore e il peso del vivere in una forma di felicità

Mimmo Butera

La prima reazione è stata, non è possibile, non può essere, non ci credo. Se non fosse che la cerchia anche larga degli amici conosceva le difficoltà in cui Mimmo si dibatteva da qualche mese, a conclusione di uno slalom esistenziale con cui ha fatto i conti sempre col sorriso sulle labbra. Ma eravamo tutti abituati al «modello Butera»: parlava dei suoi malanni con una levità che sfiorava l’irrisione. Per questo, quando, nell’ estate del 2021, si era diffusa la voce che la sorte gli aveva riservato una nuova, pericolosissima curva da affrontare, molti di noi hanno pensato, vabbè se la caverà anche stavolta. Non è stato così, purtroppo, perché nel dicembre di quell’anno Mimmo ci ha lasciati. Purtroppo per lui, soprattutto. Purtroppo per l’amatissima figlia e per la moglie, Maria Chiara e Antonella. Purtroppo per gli altri familiari. E purtroppo per noi tutti, per gli amici. Purtroppo per la comunità intera, perché quando si perde un’intelligenza così sfavillante e fresca è come se si spegnesse una luce, un punto di riferimento, un porto di sapienza antica.

Il destino lo ha voluto eccessivo in tutto. Debordava in intelligenza, carisma, ironia, eloquio, passioni. Stare con lui era divertimento puro, distillato di piacere, concentrato di ragione, allegria in purezza. Utilizzava il registro colto e quello istrionico con eguale disinvoltura e con risultati di intrattenimento talmente stupefacenti che meritavano un pubblico più vasto: e solo chi ha avuto il privilegio di passare del tempo insieme a lui può confermare.

Era un singolare personaggio, di quelli che lasciano sempre una folata di leggerezza quando ti passano accanto. Eppure, pensandoci ora, forse perché ancora turbato dalla sua scomparsa, Mimmo mi ha sempre dato l’impressione di un essere fuggevole; di una creatura preziosa e fragile, impossibile da trattenere oltre il dovuto. A un certo punto – questo è il mio ricordo –, a un certo punto delle serate, degli incontri, delle feste Mimmo svaniva, andava via come se sfumasse. E Mimmo? Che fine ha fatto Mimmo? Boh, non c’è più, se ne è andato. Non so bene come dirlo, e non so nemmeno se questa descrizione gli appartenga davvero, ma è così; probabilmente perché il tempo passato con lui mi sembrava sempre insufficiente.

Camminava come saltellando, anzi «molleggiando», e sembrava uscito da una fiaba tramandata a voce, come quelle che leggeva alla figlia sotto l’albero di Natale. Perché questo era Mimmo Butera, prima di ogni cosa: parola. Parlava, raccontava, leggeva, ricordava aneddoti, condiva una discussione con mille dettagli gustosi e tratteggiava un personaggio, insistendo su un tic o su un difetto, con allegra profondità e senza quella perfidia che dalle nostre parti è pane quotidiano.

La prima volta che lo conobbi si presentò, una sera, a casa di noi studenti universitari – più grandi di lui di qualche anno – a Palermo. Ricordo un ragazzino dal viso particolare, simpatico e ammiccante, gli occhi golosi di vita e di nuove conoscenze, pantaloni abbondanti e quella parlata con la esse sibilante mai aggressiva e anzi piacevole. Da allora Mimmo non solo è rimasto nei nostri cuori e non se n’é mai andato, ma per noi è diventato (dopo avere conosciuto le sue traversìe, anche familiari, iniziate troppo troppo presto) un esempio di resilienza: e dispiace di dovere usare una parola abusata in questi tempi.

E’ stato un uomo forte e di principi saldissimi. Lettore onnivoro e con una qualche punta di sanissima, ma involontaria vanità soprattutto quando citava a memoria, recitava una poesia o teneva un discorso. Ha fatto quello che ha voluto, in fondo. Ed è una banalità ricordare che con la testa che aveva in dote poteva spiccare voli più alti. Ci ha pensato la salute malferma a mettere zeppe sul suo cammino e dopo la laurea si è dovuto fermare alla prima soluzione professionale che gli si è presentata a tiro. Ma bisogna essere Mimmo Butera per vivere così, malgrado tutto, bisognava essere uno come lui per trasformare il dolore e il peso del vivere in una forma di felicità.

Ma mi piace fissare la circostanza che è stato anche un uomo molto fortunato, non foss’altro perché non era facile essere amato così diffusamente come lo era lui. Ha poi avuto l’enorme soddisfazione di avere una figlia per cui stravedeva, di una famiglia premurosa e confortevole. E una donna accanto, amatissima, che gli è stata compagna di un viaggio non sempre liscio e mai gli ha lesinato l’appoggio e il sostegno ottimista, anche quando tutto sembrava andare a rotoli, anche se il mondo sembrava girare male solo per loro, solo per il povero Mimmo.

Ora i suoi eterni compagni di viaggio saranno Leonardo Sciascia, Luigi Pirandello, Vincenzo Consolo e Umberto Eco: copie dei loro libri giacciono con lui. Li ha voluti accanto a sé nell’ora estrema, assieme allo stemma del Partito Comunista, fede politica alla quale non derogò mai. In quel partito Mimmo scrutava il messaggio di fondo che era quello di un riscatto possibile, come il suo; nelle battaglie di falce e martello la vicinanza agli emigrati come lo fu suo padre che si spezzò la schiena nelle miniere di carbone del Belgio.

Forse queste poche righe grondano di ovvietà che uno come Mimmo non meriterebbe. Tuttavia, alla fine, una cosa si può dire di lui con certezza: era un uomo molto amato e questo fa sì che lui non sia morto veramente perché a lungo sarà ricordato. La sua vita è stata troppo breve e molto angustiata; e tuttavia bisogna ringraziare il Cielo per avercelo dato così, anche per poco tempo.

 

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