In scena al Teatro Greco di Siracusa l’Aiace di Sofocle. Le impressioni dello scrittore Carmelo Sciascia
Come ogni anno anche quest’anno è possibile assistere alle rappresentazioni classiche che si svolgono nell’area archeologica siracusana. Dall’isola di Ortigia dove mi trovo stamattina, benché afflitto da un’accecante luce solare, scrivo le mie impressioni sulla tragedia vista ieri sera al teatro greco di Siracusa: l’Aiace di Sofocle.
Resto, come ogni anno, incantato di come l’apparato scenografico riesca a rendere drammaticamente visibile il dolore dei principali personaggi, quasi sempre eroi sconfitti dalla storia e travolti dagli eventi. Le intuizioni di alcuni registi e dei loro collaboratori fanno di ogni spettacolo un unicum nel panorama teatrale nazionale ed internazionale. A tutto ciò vanno aggiunti gli effetti cromatici che crea il cambiamento della luce: gli spettacoli cominciano con il chiarore del giorno e terminano con l’imbrunire della sera. Cambiano i colori del paesaggio ed i costumi degli attori così come la consistenza stessa delle pietre su cui si sta seduti, tutto si trasforma e diventa più cupo con il passare dei minuti, all’unisono tutto diventa più tragico, si tinge di quel rosso che è la tonalità propria di ogni tragedia. Ma ciò che mi colpisce è constatare come le opere classiche, nonostante siano trascorsi molti secoli, rimangono attuali, a testimoniare come, nonostante i tantissimi cambiamenti nel mondo e nella società, il gioco delle passioni umane sia rimasto lo stesso.
Ho visto dicevo l’Aiace con interprete principale e regista Luca Micheletti. Aiace, sconvolto dalla decisione di vedere assegnate le armi di Achille ad Ulisse, si scaglia contro gli Atridi (Agamennone e Menelao) impazzisce perfino, a causa anche dell’intervento di Atena (gli dei guardano con benevolenza chi si fa piccolo e con ostilità chi si crede grande). Viceversa, qualche millennio dopo, Einstein sosterrà che “Dio non gioca a dadi con l’Universo”, in quel periodo, nella Grecia classica gli Dei giocavano e non poco con gli uomini. La pazzia porterà Aiace a massacrare tutto il bestiame presente nell’accampamento, i buoi e le pecore che costituivano la riserva alimentare dell’esercito greco. Il risveglio dell’eroe sarà tremendo, di fronte al bagno di sangue degli animali trucidati, la sua decisione inamovibile sarà il suicidio.
È l’eroe omerico che a questo punto avrà il sopravvento. Per riscattare l’onore perduto, riacquistare la nomea dell’eroe qual era stato nelle tante battaglie della guerra contro Troia non rimane che il suicidio, il proprio sangue si aggiungerà al sangue versato dalla carneficina appena compiuta e lo riabiliterà.
È l’eroe omerico che non transige sulle proprie mancanze, è l’uomo del mondo antico che si nutre di valori e di comportamenti conseguenziali. Questa figura di uomo, tutto d’un pezzo diremmo oggi, si è tramandata nel tempo, credo si possa affermare sia andata avanti fino all’età romantica ed oltre, probabilmente fino alla metà del secolo scorso. La statura di Aiace non termina con la sua morte ma rimane, giganteggia anzi più di prima, infatti appare sulla scena un gigantesco scheletro, allegoricamente il suo corpo, trafitto dalla stessa spada che gli aveva donato Ettore e con la quale si era suicidato
Lo scheletro di Aiace rimane ed occupa tutta la scena a simboleggiare come attraverso il suo sacrificio, un gesto libero e volontario, avviene il riscatto dell’eroe. Oggi gli eroi contemporanei sono le personalità più in vista, uomini politici di primo piano, che hanno abbandonato da tempo il senso dell’onore come valore da difendere ad oltranza, e spesso ricorrono, per nascondere i propri fallimenti e il voltagabbana continuo, a giustificazioni meschine.
È la morale di questa società che è cambiata, dove all’etica dell’eroe omerico si è sostituita la dialettica di Odisseo (la furbizia ed il tornaconto personale).
Anche se noi lo notiamo adesso, forse perché avviene in maniera spudorata, lo stesso Omero comunque l’aveva prefigurato, tant’è che Ulisse interviene a favore della sepoltura del corpo di Aiace, pur essendo stato rivale di Aiace, contraddicendo le tesi degli Atridi che non avrebbero voluto la sepoltura del suicida perché considerato un traditore.
La seconda parte della tragedia infatti riguarda l’opportunità di seppellire il corpo di Aiace. Il fratellastro ed arciere Teucro affronterà Agamennone e Menelao che non volevano che Aiace venisse sepolto perché traditore (avrebbe voluto uccidere gli Achei quando sterminò le mandrie di buoi) così come la concubina Tecmessa aveva cercato di dissuaderlo dal suicidio chiamando in causa il figlioletto (interpretato dallo stesso figlio dell’attore-regista Luca Micheletti, scelta che ha suscitato l’empatia e il plauso degli spettatori).
Questa seconda parte è molto vicina alla dialettica di Antigone (la legge morale in opposizione alla legge dello Stato). Forse anche la più attuale e vicina a noi, basti pensare ai caduti di tutte le guerre passate come al dramma dei caduti nei conflitti a noi contemporanei.
La guerra di Troia è stata la madre di tutte le guerre, così ben descritta in tutti i suoi drammi dalla poesia e dalla tragedia greca, l’uomo moderno non è riuscito a trasformarla in un tabù e continua imperterrito a perpetrare, ahinoi, il dramma della violenza e della morte!
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Carmelo Sciascia
Scrittore