Fondato a Racalmuto nel 1980

La pace non si prepara con le armi ma con il dialogo

Le considerazioni dello scrittore Carmelo Sciascia a margine della lettura dell’ autobiografia di Papa Bergoglio. Libro che nasce dalle conversazioni tra il Pontefice ed il vaticanista Fabio Marchese Ragona

Carmelo Sciascia

Tutti sappiamo cos’è e come si manifesta il déjà-vu, l’illusione di vivere al presente situazioni come già vissute precedentemente. Questo fenomeno psichico, presente in molti di noi, lo trovo ricorrente quando leggo dei libri. Praticamente si manifesta sempre ogni qual volta leggo soprattutto delle autobiografie. So cosa diranno di sé gli autori delle proprie vite. Anche perché di solito sono delle personalità in vista di cui si sa tutto o quasi. In altri termini: nelle autobiografie si rimarca ciò che sappiamo e ciò che ci vogliono far sapere. Lo stesso è successo con la lettura di “Life” l’autobiografia di Papa Francesco, editrice HarperCollins.

Libro che nasce in seguito ad una serie di conversazioni tra il Pontefice ed il vaticanista Fabio Marchese Ragona. Life in italiano si traduce con vita. “La nostra vita: la mia, la tua che stai leggendo, quella dell’umanità”, ci chiarisce il nostro Francesco. Nelle pagine conclusive si dice chiaramente come raccontare la storia personale del Papa vuol dire raccontare la storia dell’umanità degli ultimi ottant’anni: dal 1936 anno di nascita di Bergoglio fino al 2024 anno di pubblicazione del libro.

La storia siamo noi, ce lo aveva ricordato un altro Francesco, Franceso De Gregori nel 1985: ”perché la gente che fa la storia/ quando si tratta di scegliere e di andare/ te la ritrovi tutta con gli occhi aperti/ che sanno benissimo cosa fare”. La storia la fa la gente, la fanno le scelte della gente, lo schierarsi della gente, il loro essere partigiani. Papa Francesco, se nella prima parte scrive del déjà-vu, nella seconda parte invece no. Perché da capo della Chiesa ci dice espressamente cosa fare, quale strada percorrere per migliorarci. Ci dice come migliorare la società in cui viviamo ed il mondo dove ci troviamo immersi, come una piccola cellula, parte del corpo vivo dell’intera umanità.

Bergoglio, figlio di emigrati italiani, dopo essere stato gesuita, diventa prima vescovo ausiliare, poi arcivescovo di Buenos Aires nel 1998, cardinale tre anni dopo ed infine Papa nel 2013. Nel suo discorso al Collegio cardinalizio, prima di essere eletto Papa, aveva indicato il suo programma pastorale che sarebbe poi il corrispettivo del programma elettorale di un uomo di Stato. La parola d’ordine del suo discorso: Evangelizzare. Nell’affermare che “la Chiesa è chiamata a uscire de sé stessa e ad andare verso le periferie”, Bergoglio prende posizione contro una Chiesa autoreferenziale, “l’autoreferenzialità è una sorta di narcisismo teologico” ed una “mondanità spirituale” che impedisce a Gesù di uscire dalla sua casa (Gesù non bussa per entrare ma per uscire). Il Papa deve fare uscire la Chiesa da sé stessa per andare verso le periferie esistenziali. Da queste premesse costruisce il suo programma: “una Chiesa missionaria in uscita, con una Curia romana riformata”. Ed ecco allora mettersi in cammino e approdare a Lampedusa, la porta d’Europa, dove approdano i disperati vittime di guerre e carestie, pensare sempre alla sua terra l’Argentina, la terra dei dispersi, dei desaparecidos e delle madri di Plaza de Mayo, portare avanti il dialogo interreligioso con gli ebrei, gli ortodossi e con i fratelli musulmani.

La Chiesa di Papa Francesco è diventata “una Chiesa in cammino, in ascolto, come solo una mamma sa fare”. “Nessuno può avere Dio per Padre, se non ha la Chiesa per Madre”, un concetto già espresso dallo scrittore San Cipriano vescovo di Cartagine nel lontano 258. È nota la sua presa di posizione contro la terza guerra mondiale “a pezzi”, cioè diffusa in tante parti del mondo, che non ci riguarda quando si svolge in terre lontane e che ci preoccupa solo quando la sentiamo vicina. “Fermate le armi! Fermate le bombe!”, già, bisogna ricordarlo ai nostri governanti che la pace non si costruisce armando i popoli, esportando armi, che faranno crescere il Pil (l’Italia è tra i maggiori produttori ed esportatori di armi) ma faranno morire tanta gente innocente, così come avviene oggi in Ucraina, a Gaza ed in tutto il medio oriente, come in tante altre parti del mondo.

“Mafiosi, pentitevi!” aveva gridato nella valle dei templi ad Agrigento Giovanni Paolo II nel 1993, concetto ribadito oggi da Papa Francesco, che però non si rivolge solo ai mafiosi ma in primis ai governanti: “Fermate le armi! Fermate le bombe! Fermate la sete di potere! Fermatevi, in nome di Dio! Basta, vi prego!”. Il suo appello costante e martellante per la pace dovrebbe essere accolto non solo da ogni uomo di buona volontà ma da tutti quei governanti che continuano a trincerarsi dietro una filosofia della sopraffazione che vuole la pace frutto degli armamenti.

La pace non si prepara con le armi ma con il dialogo, il buon senso, la diplomazia! Questa la via che ci indica il Pontefice, l’unica percorribile, l’unica strada che può portare alla pace. La guerra oltre a far morire innocenti, a distruggere gli uomini, distrugge l’ambiente. Lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo va di pari passo con lo sfruttamento delle risorse della terra. Basta pensare ai profughi delle guerre come ai profughi dei cambiamenti climatici che fuggono, ora dalle bombe, ora dalla siccità e dalla devastazione dei fenomeni meteorologici. Nonostante tutto, Bergoglio ci lascia con un messaggio di speranza, progettando una Chiesa che abbracci ed accolga tutti, che sappia costruire con fiducia il futuro, un futuro di pace e di fratellanza!

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