Leonardo Sciascia e Giuseppe Tulumello, storia di una passione e di un’amicizia
Questa è la storia di una passione e di un’amicizia. La passione di due ragazzi che nel primo trentennio del secolo scorso, in un piccolo paese dell’estremo Sud, lontano da tutto e da tutti, ma tuttavia al centro del mondo, hanno coltivato assieme – e assieme ad altri – emozioni amori avventure. Passioni che diventarono lezioni d’università, storie scritte e recitate, storie vere e inventate destinate a prendere vita sul palcoscenico. E a Racalmuto il palcoscenico della vita raccontata era il teatro comunale “Regina Margherita”. Lo era per molti ragazzi che hanno vissuto lì le prime esperienze e i primi brividi. Brividi del sipario che si alza, dei riflettori su un attore, della voce di un tenore, dei fischi dal loggione, delle prime occhiate alle fanciulle, dei baci su uno schermo. Storie di teatro e di cinema. Piccole storie di due ragazzi di Racalmuto degli anni Trenta: Leonardo Sciascia e Giuseppe Tulumello.
Nanà e Pidduzzu, questi i loro nomignoli affettuosi, nel 1936 hanno appena 15 e 17 anni. I due si frequentano, vanno assieme in quel teatro che in quel periodo ospitava anche il cinematografo. Ed è proprio qui, tra questi stucchi dorati e ombre ottocentesche, che i due stringono rapporti, guardando insieme film e commedie, scoprendo attori e registi. Nella piccola sala di Racalmuto in quegli anni, ed esattamente nel 1934, arriva il “sonoro”. Il primo film parlato proiettato al Regina Margherita fu La canzone dell’amore. Nel 1935 Leonardo Sciascia si trasferisce a Caltanissetta. Lascia in paese zie e zii, amici e compagni d’avventure. Ma Nanà e Pidduzzu continuarono a scriversi, a scambiarsi giudizi sui film. Il quindicenne Sciascia, con una grafia riconoscibile e già matura, scrive cartoline all’amico Pidduzzu. Cartoline coi volti dei divi del cinema, da Charles Farrell a Marta Eggerth. L’8 gennaio 1936 Sciascia comunica a Pidduzzu: «Ho comprato i primi due cineromanzi per la tua collezione. Sono intitolati Aldeberan e Amo tutte le donne». Nelle cartoline manda spesso saluti per altri amici e coetanei come Nenè Cavallaro, Luigi Alba, Gigi Busuito, Marco Matrona e Luigi Infantino, suo compagno di classe alle elementari, in seguito tenore lirico di successo.
Non passerà tempo, e il 14 gennaio Sciascia s’informa sulla programmazione al cine-teatro racalmutese: «Che films si proietta giorno 2 febbraio, se il films è buono verrò. Qui si proietta “Passaporto rosso”. Magnifico». Il 24 aprile 1936 parla invece della sala che frequenta a Caltanissetta: «Qui tutto vecchio solamente nel cinema qualche novità come: Ma non è una cosa seria, film come tu sai pirandelliano con il simpatico De Sica, Loenghrin, Diario di una donna amata (Miranda), Ragazzi della via Pai, Tutta la città ne parla, potente films fantasioso. Il tesoro dei Faraoni con il comico E. Cantor, Via Lattea con Arold Loydol». E chiede da chi sono interpretati i due film in programmazione a Racalmuto, La primula rossa e Il padrone delle ferriere. Le cartoline di quegli anni spesso riproducono volti di attori e attrici famosi, divi del cinema ormai familiari al pubblico, spesso giovane, del “Regina Margherita”. Una cartolina inviata da Sciascia a Tulumello, il 19 settembre del ’37, ritrae il volto della Eggerth: «Caro Pidduzzu, prima di partire ho cercato di salutarti ma mi è stato impossibile; scuserai ora il mio ritardo a scriverti. Il tuo “Casanova” e gli altri libri potrai ritirarli da mio zio. Ieri sera ho visto il film “Il Duce in Sicilia”, abbastanza lungo e non privo di interesse. Scrivimi tu qualcosa di buono. Cordialmente ti saluto».
E il 24 novembre del ’37, XV dell’epoca fascista, come si scriveva allora, il giovane Sciascia si sofferma su una compagnia composta da racalmutesi, la Filodrammatica dei Balilla: «Caro Pidduzzu…Nella tua leggo che prossimamente ci sarà una recita della Filodrammatica O.N.B. e ti sarei grato se quando questa avverrà me lo scriveste, giacché avrei il piacere di venire costà ad assistere a questa “principessa del lago”, che del resto, come tutte le altre operette dell’O.N.B. non sarà un granché; Ma io sono ugualmente desideroso di assisterci. Qui niente di nuovo e di buono solo che si è inaugurata, come in tutti i comuni, una lapide a ricordo delle sanzioni, e che si proiettano film magnifici come “Squadrone bianco”, “Desiderio”… E figurati che in questi giorni a cinema ho visto nuovamente la “Stella di Valencia” che abbiamo visto a Racalmuto circa due anni fa. Saluti cordiali per te e famiglia».
Del resto Leonardo Sciascia frequenta spesso casa Tulumello dove può discutere e scambiare libri con l’amico Pidduzzu, che aveva studiato in seminario. Ne farà cenno, vent’anni dopo, ne Le parrocchie di Regalpetra: «In quel tempo frequentavo la casa di un mio amico; era un buon compagno, usciva dal seminario, portava lenti grosse come fondi di bottiglie. Mi piaceva suo padre: un bell’uomo sanguigno, col pizzo bianco. Finì che mi consideravo più amico del padre che del figlio. All’uomo piaceva stare a discorrere con me, e a me piaceva quel che mi raccontava della libertà e dell’onestà che c’era in Italia prima della guerra, come lui diceva. Mi diceva – figlio mio, vedrai quello che ancora farà questo pagliaccio; farà la guerra, di sicuro; manderà al macello i figli di mamma. Un po’ ne ero scandalizzato, sentir chiamare pagliaccio l’uomo di cui il vescovo, il giorno della mia cresima, e c’eravamo tanti ragazzi, aveva ringraziato Dio, ché era stato un segno di grazia mandarcelo, specialmente per noi bambini, e non avremmo dovuto dimenticarlo nella preghiera della sera. E poi, la guerra mi pareva dovesse essere una gran bella cosa. Ma mi piaceva stare a sentire il padre del mio amico».
Leonardo Sciascia e Giuseppe Tulumello, tramontata la stagione della giovinezza, degli incontri continui, delle sere al cinema e delle passeggiate su e giù nella piazza di Racalmuto, s’incontravano ormai raramente. Qualche volta a Racalmuto, al Circolo Unione.
Sciascia è morto alla fine del 1989. Tulumello quindici anni dopo. Del carteggio e dei ricordi conservati da Tulumello rimane poco: prima di morire Pidduzzo ha bruciato quasi tutto pur di conservare l’intimità di una vera amicizia.
Di una lunga lettera di quegli anni rimane uno stralcio che fa sempre riferimento all’amore dei due per il cinema e non solo: «Caro Pidduzzu, ho letto la tua lettera e ho visto con piacere che il tuo giudizio su ‘Giuseppe Verdi’ è stato alquanto conforme al mio… e mi raffermo quindi nella mia ipotesi di essere infallibile in fatto di cinematografo». Una grande passione, quella per il cinema e per il teatro, che qualche anno dopo queste lettere, porterà Sciascia, assieme ad un gruppo di amici, a realizzare la rappresentazione teatrale de I nostri sogni di Ugo Betti, in scena, con più repliche, al teatro Regina Margherita dal 19 dicembre 1943. Sciascia ne curò la regia assieme all’amico Aldo Scimè.
Piccola storia di ragazzi di paese, legata ad un luogo metafora di una generazione, quella di Leonardo Sciascia e di Giuseppe Tulumello, cresciuta con la passione del teatro e del cinema e dei libri. Cresciuta in quei palchi umidi e nobili, sotto quel cielo affrescato di colori dove trionfa il Sole, e con gli occhi sulle esperienze di vita recitate da attori famosi o di periferia.
Microstorie di paese. Storie di ragazzi legate a questo amato teatro. Ma anche – com’è naturale – ai primi amori, alle prime ragazze. Segreti tra veri amici spesso scritti in codice: «E la Balilla? Viene ancora a cinema? – scrive Nanà a Pidduzzu – Non mi parli più della Balilla. Che cosa ne è stato. L’hai incontrata?». Chissà. Ma questa è un’altra storia.