Fondato a Racalmuto nel 1980

“Ecco come è nato il mio Libro”

Ad Ucria la presentazione, in anteprima nazionale, del libro L’eretico don Paolo Miraglia di Carmelo Sciascia. L’ intervento dell’Autore

Un momento della presentazione

Un saluto ed un ringraziamento a tutti i presenti. Tra i presenti ringrazio in modo particolare lo storico Salvatore Lo Presti (ormai un amico), già  citato nelle premesse del libro insieme a chi, a Piacenza ed in Sicilia, ha in vario modo  contribuito alla stesura di questo saggio. Il libro è infatti non un romanzo ma un saggio storico, che ha cercato di colmare quel particolare vuoto che si era creato intorno alla figura di un vostro illustre concittadino qual è stato don Antonino Paolo Miraglia Gullotti.    Per questo credo sia importante la presenza del sindaco Vincenzo Crisà, in rappresentanza di tutta la comunità,  come la presenza del Presidente della pro loco avv. Francesco Niosi,  del prof. Antonio Matasso e l’avv. Iole Nicolai   che  hanno dato la loro disponibilità per partecipare a questa  pubblica conversazione, ed inoltre ringrazio i soci tutti e gli amici del  Circolo Monte Castello che ci ospita.     Credo di avere ringraziato tutti, se qualcuno mi è sfuggito, spero non me ne vogliate.

Un prete piacentino don Franco Molinari, docente di storia all’Università Cattolica, in un suo saggio, scritto e pubblicato nel 1982, intitolato “Motivi profetici e violenze polemiche nel Savonarola di Miraglia (1895-1899)”, esprimeva la necessità che la sua vicenda venisse studiata e sviscerata da uno storico imparziale ed obiettivo. Fino ad allora, e possiamo dire fino ad oggi, infatti si era affrontato il paradigma Miraglia in maniera ironica e spesso dispregiativa o se ne negava qualsiasi valore storico-religioso, lasciando che la sua figura venisse inghiottita dal tempo.

L’esercizio della damnatio memoriae a Piacenza non è nuovo. Ne era stato vittima un altro illustre personaggio: San Corrado, protettore di Noto. Il nobile Corrado era un discendente della famiglia Confalonieri. La famiglia che aveva fatto parte della congiura ed uccisione di Pier Luigi Farnese,  Duca di Piacenza-Parma (il Ducato nasce con questa denominazione), pertanto se ne dovevano perdere le tracce. Pensate che Corrado era stato ritenuto Santo a furor di popolo a Noto subito dopo la sua morte avvenuta nel 1351. In Sicilia infatti, San Corrado era andato pellegrino, era stato beatificato nel 1515 e canonizzato nel 1625. Nonostante tutto a Piacenza c’era e c’è chi ancora ne nega la santità, non a caso gli veniva costruita e dedicata una chiesa solo negli anni ottanta del Novecento.

Come è nato il libro? Avevo letto un articolo, sul giornale online Ilpiacenza.it, del mio amico giornalista Renato Passerini, che teneva una rubrica su tutte le novità editoriali locali. L’articolo riguardava una pubblicazione  della Banca di Piacenza “Sei anni di vita piacentina 1894-1899” a cura di Corrado Sforza Fogliani ed Antonietta De Micheli. Il libro riprendeva e riportava cronologicamente articoli di alcuni giornali dell’epoca. In molti di questi articoli si scriveva di un certo don Paolo Miraglia, prete scismatico siciliano. La lettura di questi articoli mi incuriosirono a tal punto che son voluto andare alla fonte, in una ricerca sempre più spasmodica, che è durata circa tre anni. È stato un viaggio affascinante nell’Italia post unitaria. Io ero abituato a viaggiare, da quasi 50 anni ho viaggiato in particolare da Piacenza alla Sicilia e viceversa, questa ricerca, cioè questo libro, mi portato virtualmente in giro per l’Europa e perfino in America, fisicamente mi sono trovato ad Ucria l’anno scorso,  e quest’anno di nuovo ci ritorno volentieri per questa presentazione.

Come tutti i siciliani sparsi nel mondo restiamo legati alla definizione di paese così come descritto nel libro “La luna e i falò” da Cesare Pavese: “Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti”. E questo lo sapeva bene il nostro Miraglia, sapeva bene che Ucria c’era, era il paese dove sua mamma ed i suoi cari lo aspettavano e spesso perciò ritornava a trovarli, ricordiamo la data del 30 aprile  1899 per lo sposalizio di suo fratello, in quell’occasione, nonostante l’avversione del clero locale, incontrerà anche le autorità ed il sindaco che lo sosterranno. Così come oggi dopo più di un secolo lo troviamo ancora tra noi per raccontarci delle sue vicissitudini e cosa più importante del suo pensiero.

Elio Vittorini, un altro siciliano, sosteneva che bisogna far parte di  “un’umanità che ha per patria il mondo”. La Patria di don Paolo Miraglia fu l’Italia unita,  indipendente dal potere temporale del Papa, ma fu anche l’Europa (la Svizzera, l’Inghilterra, la Francia): fu infine anche l’America, dove proseguì la sua missione  evangelizzatrice presso  gli italiani emigrati oltreoceano. Don Paolo Miraglia fu quindi, partendo da Ucria, questa cittadina dei Nebrodi, un cittadino del mondo.

Il Nord ed il Sud d’Italia sono stati così diversi e così uguali da confondere spesso un  viaggiatore distratto. A Piacenza c’è ad esempio un bellissimo museo dell’emigrazione, realizzato proprio dai missionari di San Carlo meglio conosciuti come scalabriniani. È stato proprio il vescovo Scalabrini ad istituire l’ordine, per portare assistenza materiale e conforto religioso agli emigrati piacentini, che lasciavano in massa le colline dell’Appennino emiliano per cercare fortuna nelle Americhe. Ed è stato proprio Scalabrini, vescovo quegli anni a Piacenza, a scontrarsi con  don Miraglia, capitato in quella città come e perché,  lo saprete solo vivendo e leggendo il libro, perché al riguardo ci sono diverse ipotesi.

C’è in questo Museo dell’emigrazione a Piacenza una teca di cristallo che rappresenta il vescovo Giovan Battista Scalabrini in preghiera davanti a San Vittore, primo vescovo di Piacenza, affinché liberasse la città dallo scisma miragliano. L’autore è un certo Giuseppe Manzo ed il lavoro è stato eseguito a Lecce nel 1900. La scultura oltre ai già citati personaggi rappresenta un lungo serpente, simbolicamente don Miraglia. È stato donato da Mangot, che era stato segretario del Vescovo Scalabrini, ad un novizio dell’ordine missionario nel 1917. Questo per dimostrare come era visto don Paolo da parte della gerarchia vescovile locale nel primo ventennio del Novecento, concezione che si è protratta nel tempo.  Il Nuovo Giornale, giornale della Diocesi piacentina, in un numero speciale dell’anno scorso, dedicato alla santità di Scalabrini  gli riservava ancora un trafiletto poco lusinghiero.

Dicevo, il Nord come il Sud. In Sicilia, come tutti sapete, c’era stata l’esperienza dei Fasci a fine Ottocento, sarà stato anche per questo che la cosiddetta rivolta del pane è partita dalle mie parti a Canicattì, nel 1898 al grido di “abbasso la tassa sul bestiame, vogliamo lavoro” e si estese subito dilagando in tutta la Penisola. L’aumento del prezzo del pane era insopportabile per le fasce popolari, per questo a Piacenza scoppiò una rivolta, la rivolta del pane appunto, guidata dalle donne: le donne erano proprio le popolane che avevano frequentato e frequentavano l’Oratorio miragliano di San Paolo. Donne additate come prostitute, perché chiedevano un costo calmierato del pane. Scrive il vescovo Scalabrini all’amico Bonomelli, vescovo di Cremona: “Qui a Piacenza, per esempio abbiamo il noto ribelle che della libertà si serve per eccitare, sotto mentite apparenze, l’odio di classe e seminare discordie. Quando si lascia predicare e stampare , come egli fa, che si può resistere violentemente contro l’autorità che si debbano schiacciare gli infami del potere, ed altre bestialità consimili, qual meraviglia che succeda poi quello che qui è successo?… io dico ancora che se non si pensa a togliere da Piacenza questo focolare di insubordinazione e di discordia presto o tardi si dovranno lamentare nuovi e, forse, più gravi disordini. Si sono sciolti e si sciolgono circoli socialisti, si sono arrestati e si arrestano i caporioni dei partiti sovversivi, e va benissimo; ma perché si deve lasciar sussistere qui una congrea di malviventi, sotto la scorta di un birbo matricolato…” (il birbo matricolato è Miraglia s’intende).

La lettera continua e mette in evidenza i contatti dell’alta gerarchia  clericale con il potere politico, in particolare fa riferimento al ministro Zanardelli (prima ministro e poi Capo del governo), per chiedere un energico intervento da parte delle Istituzioni. Intervento che ci sarà ,e sarà molto pesante!

La rivolta di Piacenza si concluse con due morti e numerosi feriti. Il bilancio a Milano pochi giorni dopo, grazie all’intervento di Bava Beccaris, insignito di medaglia regia, furono molti di più, 83 per la precisione. Un altro elogio giungeva, da parte di Crispi, al deputato Macola che aveva ucciso in duello Cavallotti. Felice Cavallotti ebbe a scrivere:”solfatare della Sicilia, dove le creature umane si sottraggono al sole soltanto per maledirlo” e le “creature che maledicono la vita lungo i solchi della valle del Po”. Cavallotti al Nord ha rappresentato ciò che per la Sicilia fu Napoleone Colajanni. Ancora una volta il Sud ed il Nord, uniti dalla stessa miseria, dalla stessa lotta. A proposito va ricordato come a Piacenza il 23 marzo del 1891nasceva la prima Camera del lavoro, anticipando Milano e Torino, che seguiranno a ruota.

Un momento della presentazione

Come il lavoro rappresenta la struttura economica della società, così la religione ne rappresenta la sua naturale sovrastruttura, annessa e connessa quindi al tessuto sociale tout court.

Politica e religione in Miraglia si incontrano e si intrecciano, formando un pensiero unico originale e libertario, pur rimanendo nel solco della religione cristiana di ieri e direi di quella cattolica oggi.

Mi sarebbe piaciuto fare questo incontro come una passeggiata storica a Piacenza, passeggiata che comunque intendo organizzare realmente. Inizierei questa passeggiata incontrando  alla stazione ferroviaria di Piacenza, città dove giunse nel maggio del 1895, proveniente da Roma, don Paolo Miraglia. Poi in sua compagnia sarei andato alla vicina basilica di San Savino dove iniziava il mese mariano il giorno 5 dello stesso mese, e del successo che avrebbe riscosso. Lì avrei parlato del prete don Marzolini, che aveva combattuto per l’unità d’Italia. Arruolatosi in Piemonte, aveva combattuto in Crimea, in Lombardia, nello Stato di Napoli e nel Veneto, e che avendo scelto di diventare prete gestiva da 38 anni proprio la  chiesa di San Savino. Poi mi sarei spostato in via Trebbiola al numero 4 dove era sorto l’Oratorio San Paolo, nell’ingresso laterale di Palazzo Costa, dove c’erano state le scuderie del Conte. Si sarebbe proseguito fino a Palazzo Scrivano sua dimora, in via della morte n.27 (così chiamata per la presenza della chiesa di San Cristoforo, dove una confraternita  assisteva i moribondi) attuale via Gregorio X. Si sarebbe attraversato Cantone dogana, l’attuale via G. Bruno, dove ha sede il tribunale e dove subì un primo attentato, da li raggiungere piazza Cavalli, cuore della città, dove c’erano state  le rivolte del pane e dove c’erano gli uffici comunali. Piazza Cavalli o dei cavalli dove c’erano e ci sono le due statue dello scultore Mochi. Infine attraversando via XX settembre si sarebbe arrivati al Duomo ed alla sede vescovile dove c’era Gian Battista Scalabrini. Proclamato beato da papa Giovanni Paolo II nel 1997 e Santo da papa Francesco nel 2022.

Don Paolo Miraglia, sacerdote della diocesi cattolica romana di Patti, era stato censurato dall’arcivescovo di Palermo, sospeso dal vescovo di Nicosia, sospeso a divinis dal Sant’Uffizio ed infine scomunicato due volte (tre in realtà se consideriamo il monito vescovile)!

Un momento della presentazione

Ancora una volta il Sant’Uffizio, che aveva a suo tempo condannato Gerolamo Savonarola, l’eretico fiorentino indicato dal Miraglia come esempio da seguire per rifondare la chiesa, torna protagonista della storia con i suoi anatemi. Nel 1497 Savonarola era stato scomunicato, impiccato e bruciato al rogo come eretico e scismatico. Nel 1997 è stata avviata una causa per la sua beatificazione: è considerato oggi, un servo di Dio.

Conosciuto fin da ragazzo, ho convissuto con un personaggio storico del mio paese: Fra Diego La Matina da Racalmuto, condannato per eresia, bruciato al rogo a Palermo nel 1658 per avere ucciso il suo inquisitore Juan Lopez de Cisneros. Sarà per l’ammirazione verso questo frate di “tenace concetto” (così Leonardo Sciascia nel libro In morte dell’inquisitore), che ho sempre guardato con simpatia qualsiasi eretico e trovato interessante qualsiasi eresia. In fondo l’eretico è chi non accetta dogmi, critica verità rivelate come assolute, è chi cerca e ricerca continuamente la verità, chi si interroga e dubita di qualsiasi ortodossia, ortodossia che spesso impedisce e reprime la comune libertà di pensiero. E questo è ciò che ha fatto anche il vostro concittadino don Paolo Miraglia!

Carmelo Sciascia

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