Aldo Scimè/100 ANNI Malgrado tutto ricorda l’amico che mai fece mancare il suo contributo di idee. Pubblichiamo un’intervista del 2012 di Salvatore Picone, una delle tante “conversazioni” su Sciascia e il suo forte legame con contrada Noce. “Un uomo d’altri tempi che mi ha insegnato a considerare attentamente ogni cosa e non essere mai superficiali. Ricordarlo per il centenario della nascita significa trasmettere alle nuove generazioni il valore della memoria di uomini che hanno lasciato un segno alla storia culturale e civile di Racalmuto e della Sicilia”. La nostra proposta: una piazza di Racalmuto porti il suo nome
Le estati nel luogo dove Leonardo Sciascia ha scritto quasi tutti i suoi libri raccontate da Aldo Scimè, uno dei suoi amici più cari. I libri, la raccolta delle verdure, il cibo e il vino per gli “amici” che arrivavano da tutto il mondo stregati dai tramonti e dal silenzio. “Tutto qui si è spento nel 1989”
RACALMUTO – “Sembra incredibile che qui ci sia stato un fermento culturale elevato rispetto al deserto di oggi”. Passeggia ancora tra i suoi ulivi, guarda i vigneti e l’uva da raccogliere Aldo Scimè, racalmutese doc, grande amico di Leonardo Sciascia. “Non conviene più produrre, i costi sono elevatissimi. Stiamo vendemmiando solo per il piacere di mantenere il vigneto. Ma non conviene più”.
Scimè è uno dei gentiluomini della contrada Noce, la campagna dove Leonardo Sciascia ha trascorso tutte le estati della sua vita e dove ha scritto quasi tutti i suoi capolavori. Tutte le estati tranne una, quella del 1989. “Leonardo venne qui l’ultima volta a marzo, è morto a novembre dopo aver trascorso parte dei mesi estivi a Milano per via della malattia”. Si commuove Scimè che qui torna sempre, stregato, come dice lui, dai tramonti che richiamano l’Amor sacro e l’Amor profano dei Tiziano e dai profumi forti ed intensi.
Aldo Scimè, classe 1924, è stato uno dei primi giornalisti Rai in Sicilia, poi negli anni Settanta diviene, fino al 1982, segretario dell’Assemblea Regionale Siciliana e voce autorevole negli ambienti culturali dell’isola, che lo portò alla guida della prestigiosa Fondazione Whitaker di Palermo. Sua l’inconfondibile voce dei servizi Rai sulla Sicilia che oggi circolano in rete in alcuni speciali dell’istituto Luce e della stessa Rai. Servizi sulle miniere, sulla politica, sul mondo contadino, le cui immagini spesso erano realizzate da Emanuele Cavallaro, Nenè, altro signore della Noce che qui ha trascorso gli ultimi anni della sua vita.
Scimè e Sciascia, legati da un’amicizia antica. Sempre vicini, sin da ragazzi. Ora Scimè mantiene il peso di un’eredità enorme guidando, assieme ad altri, la Fondazione dedicata ad uno dei più grandi scrittori ed intellettuali del Novecento europeo. Ma tutto parte da qui, da questa zona della Sicilia che si affaccia al mare. “In questa campagna – scriveva lo scrittore – ho iniziato prima a leggere e poi a scrivere”.
“C’era la guerra e la mia famiglia si stabilì a Racalmuto – ricorda Scimè – Con Leonardo stavamo sempre in piazza, al Circolo, al teatro dove mettemmo in scena, nel 1942, I nostri sogni di Ugo Betti”.
Com’era la vita di Sciascia in campagna?
“Non aveva telefoni – ricorda Scimè – e quando ne aveva bisogno veniva vicino la mia casa dove c’era la cabina telefonica posizionata in una vecchia stalla. Stava qui a parlare con i giornalisti, i politici, gli artisti. E spesso dettava i suoi interventi ai giornali, parola per parola, come si faceva una volta”.
La contrada Noce è a pochi chilometri da Racalmuto. Qualche anno fa fu minacciata dal sogno di un avveniristico aeroporto che avrebbe rovinato tutto. Dopo la morte di Sciascia sono in pochi a venire qui d’estate, ma resta sempre ‘un lembo di Eden perduto’ come lo definì Gesualdo Bufalino, uno dei tanti amici della Noce”.
Com’è la Noce senza lo scrittore?
“Ci sentiamo tutti più soli. Leonardo parlava poco, era un tipo taciturno ma suppliva con lo sguardo: i suoi occhi esprimevano allegria, subito dopo una battuta di spirito, intelligenza e indignazione e più spesso ironia, ma non c’era mai cattiveria”.
Ci racconti la giornata dello scrittore in campagna?
“Era un tipo piuttosto metodico; in campagna come in città regolava il suo tempo dedicando la mattinata alla lettura e alla scrittura e nel pomeriggio a lunghe passeggiate. Se eravamo in paese lo accompagnavo spesso nel suo percorso che attraversava il centro abitato da una estremità all’altra (“da punta a punta” del paese, come si diceva e si dice ancora da queste parti)”.
Ha un ricordo particolare del suo amico alla Noce?
“Mi diceva che meditava, per tutta la stagione invernale, sulla trama del libro da scrivere, nella casa di campagna alla Noce e poi scriveva di getto senza pentimenti. Leggeva il dattiloscritto del suo libro appena finito alla moglie Maria e qualche volta anche a me, soprattutto in campagna. Io penso il libro nei mesi invernali – mi diceva – e poi lo scrivo alla Noce. Ricordo particolarmente Il contesto che mi lesse in un pomeriggio d’estate appollaiato sui gradini della scala nella vecchia casa di campagna. Non aveva una bella voce ma alla lettura dei suoi testi la voce si trasformava, vibrava di commozione soprattutto nel finale che chiudeva il racconto; e con sguardo penetrante guardava il suo interlocutore negli occhi”.
Chi erano gli Amici della Noce?
“Gli amici erano pochissimi, selezionati da lui, ma crescevano col crescere della sua fama, con il successo e le polemiche che accompagnavano spesso l’uscita di un nuovo libro. C’erano due categorie di amici: quelli scelti da Leonardo, Gesualdo Bufalino, Claude Ambroise, Ferdinando Scianna, Vincenzo Consolo; poi c’erano gli amici della Noce: Carmelino Rizzo, Nicola Patito (Nicuzzu), Nenè Cavallaro, Pietro Amato, Salvatore Restivo Pantalone, Calogero Castiglione, Gigi Scibetta, Pio Lo Bue, Angelo Brucculeri, ma anche Salvatore Sciascia (l’editore) e il generale dei Carabinieri Renato Candida. Quasi tutti amici della Noce, categoria che diede il titolo ad una fortunata pubblicazione che ospitava ogni anno un testo accompagnato da una incisione. Cominciò Leonardo con un testo sulla contrada Noce accompagnato da una incisione di Giancarlo Cazzaniga, seguirono una pubblicazione all’anno per sette anni: i fascicoli contenevano testi di Vincenzo Consolo e una incisione di Luigi Verricchio; Matteo Collura con Antonietta Viganone, Mario La Cava con Bruno Caruso, Gesualdo Bufalino con Luciano Cottini, e ancora lo stesso Sciascia con Walter Piacesi, Sebastiano Addamo con Franco Rognoni”.
Ci può raccontare un episodio di quand’eravate ragazzi a Racalmuto?
“Nel 1944 Leonardo ed io partecipammo ad un convegno a Racalmuto nel corso del quale sostenemmo tesi contrastanti. Il convegno fu animato dagli interventi di entrambi che dialogavamo senza riuscire a trovare un’intesa (avevamo circa vent’anni). Il giorno dopo riprendemmo la consueta passeggiata in paese (e le conversazioni nelle sale dell’amato Circolo Unione) ed ebbi la tentazione di riprendere la discussione interrotta ma Leonardo mi fermò: “Lascia stare, mi disse sorridendo, non ne vale la pena”.
Stare in campagna significava per Sciascia leggere e scrivere, pensare, incontrare gli amici e dedicarsi alla cucina, al buon cibo e all’ottimo vino con quella etichetta, “Regalpetra”
“Leonardo era astemio ma sul tema del vino tornava spesso nei suoi libri. Uno dei più fortunati, Il mare colore del vino. Era un esperto di buona cucina, lui stesso andava in giro a raccogliere verdure ed erbe aromatiche che spesso utilizzava per i suoi piatti tradizionali. ‘Un piatto – diceva – è come un buon libro, bisogna saperlo cucinare bene'”.
Cala la sera sulla campagna della Noce. La signora Nina, moglie di Aldo Scimè, recupera dalla cantina una bottiglia del vino “Regalpetra”. Sull’etichetta le parole di Gesualdo Bufalino: La Noce… Per tanti il nome di una amena campagna, per me un lembo di Eden perduto.. da cui si scorge un pino lontano e bellissimo.
Il vino è forte. Si potrebbe continuare a conversare, i ricordi sono tanti. Vale la pena però tornare per un’altra passeggiata con la speranza di ritrovare quelle lucciole scomparse e poi riapparse che aprono, nel ricordo di Pier Paolo Pasolini, L’Affaire Moro.