Nel nuovo “giallo” di Gaetano Savatteri La Magna Via, pubblicato da Sellerio, il passaggio dal paese di Sciascia. L’incontro dei personaggi di fantasia con quelli reali che si offrono di fare visitare i luoghi del paese ai Lamanna, a Piccionello e Suleima.
Parlando di libri gialli, serve molta “grammatica della fantasia” per poterne scrivere uno. Storie e indizi che nel corso di una indagine, attraverso la soluzione di un enigma, fanno poi riaffiorare il vero. Quella verità che, nei luoghi dove è ambientato il romanzo di cui parleremo, la ragione spesso si sovrappone alla follia. Così è se vi pare!
La fantasia fino ad un certo punto, avrà pensato il giornalista Salvatore Picone quando ha letto il suo nome fra le trame dell’ultimo romanzo noir di Gaetano Savatteri, La Magna Via appena pubblicato da Sellerio. Un libro che, probabilmente, lo scrittore usa per sfidare i paradossi della sua terra, intervenendo direttamente nel racconto, utilizzando spesso i veri nomi di alcuni dei protagonisti mischiati a quelli di fantasia.
Dopo aver percorso da Palermo i sentieri della Via Francigena, passando da tanti centri dell’isola, ecco che la penna di Savatteri fa arrivare a Racalmuto, non a piedi, Saverio Lamanna e suo padre, e l’amico di quest’ultimo, Mimì.
Un viaggio per ritrovarsi. Giungono arrivando con un passaggio di un noto ingegnere da “Al Minsar”, l’antica fortezza del Castelluccio, scendendo per le colline e le strette “trazzere” di campagna fin dentro il centro abitato.
Come si dice dalle nostre parti panza e prisenza; e qui come la fantasia dell’autore avrebbe potuto anche imporre, non ci sono amministratori comunali ad accogliere il gruppo di illustri camminatori. Diversamente la prisenza è potenza e i nostri fortunati personaggi – Lamanna, Piccionello, la bella Suleima e Mimì – hanno la fortuna di imbattersi nella “restanza” di Salvatore Picone: un giovane cittadino conosciuto da tutti che conosce le trame della lunga Storia del paese, le memorie e le tradizioni, e che si offre, come fa spesso, orgoglioso di guidarli.
Nella realtà, al nome “letterario” di Salvatore Picone (che speriamo di potere vedere in futuro raccontato anche nella fortunata serie televisiva Màkari della Rai) corrisponde proprio al nome e cognome del giornalista, animatore di tante iniziative culturali e autore lui stesso di alcuni libri dedicati a Racalmuto. Amico nella vita dello scrittore, nel libro è il simbolo della “restanza”, termine che si accorda con resistenza e speranza. Quel tutt’uno che fa uscire rafforzati dalle criticità di certi luoghi; quella forza positiva che, malgrado tutto, obbliga a reagire con coraggio, diventando resilienza.
I camminatori di Màkari, una volta giunti a destinazione, incontrano quindi Picone e con gustoso sapere li guida fra i “santuari della memoria” del paese; la storia prende così corpo già nell’albergo in cui alloggiano le cui le stanze portano i nomi di alcuni tra i più noti personaggi letterari dei libri di Sciascia: Bellodi, il professor Laurana, Don Mariano… “La tua stanza si chiama l’Abate Vella, Peppe – un prete basso e grosso che raccontava minchiate proprio come te”.
Come avrebbe potuto il nostro Totò Picone non dire la verità, nonostante la rigogliosa fontana con “molte bocche”, in cui li aveva condotti, l’acqua si perde nel nulla e l’acquedotto regionale è a secco! Perchè nascondere che il paese, un tempo demograficamente numeroso, si spopola ogni giorno sempre di più – “un tramonto lento e inesorabile” – e che comunque lui ugualmente spera di restarvi e farvi crescere la figlioletta Giada.
Giunti ai piedi della scalinata della chiesa di Maria SS. del Monte, il giornalista di Racalmuto mostra a Lamanna la lapide posta sul muro del Circolo dei salinari e zolfatari, a pochi passi dal municipio.
È la frase che parla dell’onorevole in visita al circolo che, dopo tante promesse, dopo aver rotto l’unica lampada a disposizione dei soci, lascia i minatori al buio. Come non poteva dunque indicare quelle parole scritte da Leonardo Sciascia in uno dei suoi libri “autoctoni”, ancora attuali; frasi che inducono il papà di Lamanna a rivolgersi al figlio per dirgli che scrive storie e le pubblica: “…impara dai grandi scrittori”.
Succede di più. Nella parte in cui il gruppo si reca nella casa in cui visse il Maestro di Regalpetra, ecco l’incontro con Pippo Di Falco (“l’uomo dal furore di avere libri”) e poi Gigi, Ignazio, Lillo, Giovanni, Peppe e altri di quel gruppo di “CasaSciascia” più volte citato nelle pagine del libro. “Un posto piccolo dove è nato un grande”, lo definisce il padre di Lamanna. In fondo un po’ come Màkari, replica Saverio, da dove si vede comunque il mare.
La sera vanno tutti insieme a cena nel corso della quale avvertono degli spari. Forse un omicidio? Un morto? Un ferito? La macchina rossa era dei sicari? È Ignazio a mostrare tutto il parapiglia che ne è scaturito dalla fuga della folla, che in quel momento riempiva la piazza.
E così, dopo la “sparatina”, ci piace pensare che Peppe Piccionello, specularmente alla sua figura, incontra proprio a Racalmuto (il paese, come si sa, dell’autore di questo racconto) alcuni dei veri, tanto quanto lui, “nostrani” personaggi savatteriani.
Il resto della storia è nelle pagine del nuovo romanzo di Gaetano Savatteri in parte ambientato, come richiesto da tanti Racalmutesi, nella nostra terra di sale, zolfo e irriverenza.