Incontriamo a Racalmuto Giovanni Impoco, tra i più importanti collezionisti degli scritti di Leonardo Sciascia. Da Tripoli, dove è nato, si è trasferito in Italia negli anni Settanta: “Pensavo di trovare un Paese migliore. Sciascia è stato il mio scudo”.
È sempre alla ricerca di qualcosa che riguarda lo scrittore di Racalmuto. Da cinquant’anni insegue gli scritti di Leonardo Sciascia e ogni tanto torna a Racalmuto “per respirare l’aria di Regalpetra”. Lui è Giovanni Impoco, 72 anni. Lo abbiamo incontrato a CasaSciascia. È venuto per fare un regalo alla collezione di Pippo Di Falco.
Quando nei primi anni Settanta, Impoco, è venuto in Italia, da Tripoli dove è nato e dove ha vissuto tutta la giovinezza, pensava di trovare un Paese diverso: “E invece ho trovato un’Italia terribile – dice – Pasolini ucciso, Aldo Moro rapito e giustiziato dalle Brigate rosse, la mafia, le bombe a Bologna e a Milano, il terrorismo. Non riuscivo a capire il contesto storico dell’epoca, finché un giorno non leggo un articolo di Sciascia, che non conoscevo. Mi sono detto – Quest’uomo scrive delle cose che io sento nel cuore”.
Che Paese speravi di trovare?
Intanto ti devo raccontare degli italiani a Tripoli. Negli anni ’50 e ’60 le nostre condizioni non erano tanto buone. Mio padre mi chiese di dargli una mano e così ho iniziato a lavorare giovanissimo. Nel ’67 scoppiò la guerra con gli israeliani, qualche italiano fu scambiato per ebreo e fu ammazzato. Tra guerre e colpi di Stato siamo quindi tornati in Italia. Ero contento di tornare nella nostra patria, non vedevo l’ora. Anche perché sin da ragazzino ho coltivato un interesse culturale. L’Italia era per me il luogo dei teatri, dei musei, delle biblioteche. Purtroppo ho trovato, nel ’71, un’Italia terribile.
Poi è arrivato Sciascia…
Dopo aver letto i suoi libri mi son reso conto della grandezza di quest’uomo generoso, giusto. Ho iniziato a raccogliere le cose più facili e via via le cose più rare. E poi anche gli articoli, gli scritti nelle riviste. Sciascia ha scritto molto. Di recente ho trovato “Sabato Sera”, il giornale che si faceva ad Agrigento dove ci sono alcuni scritti di Sciascia. Mi sono rifugiato nei suoi libri. È un autore che ti prende per mano e ti fa conoscere gli altri autori, i siciliani poco conosciuti, i francesi.
Hai girato mezza Italia, conosci librerie e negozi di antiquariato…
E non solo l’Italia. In Cina ho trovato la traduzione di A ciascuno il suo con in appendice una rara intervista allo scrittore. Ho portato la copia a CasaSciascia. In Pensilvenia ho trovato La contea di Modica, un volumone di fotografie di Giuseppe Leone con testo di Sciascia. E a New York, in una libreria ebraica, la traduzione in Ebraico di un altro romanzo. Guardando il libro di Sciascia in quella libreria cinese mi sono detto – il battito d’ali di una farfalla a Racalmuto può causare un diluvio a Pechino? Tra l’altro ho scoperto in una rivista letteraria cinese, che il traduttore prima di tradurre il libro ha voluto conoscere l’autore. Si sono incontrati a Roma, hanno trascorso due giorni insieme. Sciascia ha parlato dell’Italia, dei mali della Sicilia.
È stato facile “inseguire” Sciascia?
Per niente. È stato ed è difficile. Solo una misteriosa miscela di circostanze mi ha fatto arrivare ai suoi scritti. A Montecatini ha trovato i Quaderni di Galleria, la rivista edita a Caltanissetta dall’editore Sciascia, diretta dall’omonimo scrittore. Quando vinse il premio “Prato”, insieme a Sbrana, fecero dei quadernetti con tutte le foto. Li ho trovati. E così tante tante altre cose. Considera che non utilizzo il computer. Grazie al telefono ho trovato tutto. Da un po’di anni mi chiamano i librai.
Perché la necessità di avere le prime edizioni?
Perché nelle prime edizioni sento il profumo dell’epoca. Vuoi mettere Il giorno della civetta del 1961? Nelle nuove edizioni, inoltre, non troviamo più le note, i risvolti delle prime edizioni. Certo, per chi non lo ha mai letto, inizi da dove vuole.
Hai mai conosciuto lo scrittore?
No, mai. Solo dopo che è morto mi son detto perché non l’ho cercato. Quel giorno del 1989 ero a lavoro. Ho letto i giornali e ho saputo. Ci sono rimasto molto male ed ero arrabbiato, troppo giovane, ci avrebbe dato ancora tanto. Da allora leggo e rileggo. L’Affaire Moro l’ho letto almeno cinque volte e scopro sempre nuove cose.
Racalmuto, invece. Quando l’hai scoperta?
Conosciuta la città attraverso i suoi scritti, vent’anni fa sono venuto la prima volta a Racalmuto-Regalpetra. Non finivo mai di accarezzare la statua di bronzo. Il paese natale di uno scrittore è sempre un luogo mitico. Lui qui tornava a scrivere. Le case, il circolo, la scuola. Tutto parla di lui. Quando torno mi piace parlare con la gente, vedo come cambiano le generazioni. L’ironia è sempre quella. Una volta uno mi ha detto che Sciascia veniva in paese perché qui gli si addrumava la cuda.
Sei tornato anche per lasciare qualcosa di raro…
Certo. Per stare un po’ con i miei amici racalmutesi e poi per accompagnare fino a CasaSciascia la prima edizione di Favole della dittatura, edizione Bardi del 1950, stampato in poco più di duecento esemplari. Ne ho trovato una copia in più ed è giusto stia a Racalmuto, nella casa dove le Favole furono pensate e scritte. Ed è bello che si lavori per far conoscere questi luoghi, come state facendo qui anche con la “Strada degli scrittori”. Ho incontrato, oltre a Pippo Di Falco, Felice Cavallaro che ha ideato questo percorso che lega gli scrittori di questa zona della Sicilia. Parlare dei luoghi degli autori nati e vissuti qui, farli conoscere ai tanti appassionati e ai giovani è un lavoro encomiabile che tutti dovrebbero fare in Italia, e non solo per dare un futuro alla memoria, ma per capire, come è successo a me, dove viviamo e cosa noi tutti possiamo fare per cambiare un po’ le cose che non ci piacciono.
Da malgradotuttoweb, 3 novembre 2020