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Quando la Storia ci mette lo zampino

Cucina siciliana: Iris, Rizzolo e Ravazzata

Antonio Fragapane

All’inizio era una morbida pasta brioche, la stessa che quasi certamente abbiamo ricevuto in eredità dai dominatori francesi (gli Angioini), ripiena di una gustosissima farcitura di ragù di carne e piselli, quello classico, ennesimo lascito ricevuto da altri nostri antichi conquistatori, stavolta però saraceni. Questa bontà assolutamente rappresentativa dell’essenza della Sicilia (involucro dolce e ripieno salato…) se cotta in forno era chiamata ravazzata, e costituiva uno dei classici del cibo di strada isolano, palermitano in particolare, trovabile in qualsiasi rosticceria e mangiabile praticamente ovunque, allora come oggi. Calda, spugnosa e, a ogni morso, fonte di un profumo e di un sapore estatici. Contemporaneamente, però, sempre nella città panormita, la si poteva anche trovare nella versione fritta, da sempre considerata l’originale, molto più impegnativa ma dal gusto inconfondibile.

L’unica differenza? Beh, il nome, perché infatti se cotta in olio bollente questa specialità era chiamata rizzolo, un’autentica bomba calorica dalla croccante panatura esterna che avvolgeva sempre un ripieno di ragù di carne e piselli. Penserete come possa essere possibile unire una pasta dolce, poi fritta, a una farcitura sapida, e noi vi rispondiamo che non solo tutto ciò è stato concepito ma che il risultato è una delle leccornie più buone che possano essere gustate in Sicilia. Laddove il velluto della brioche contrasta con la consistenza della crosta dorata, per poi passare al carattere del ripieno di sugo, carne trita e piselli, è un costante sfiorare l’essenza di questi stessi ingredienti, diversi tra loro ma tanto compatibili da formare una preziosissima unità gastronomica, anche nella variante “bianca”, ripiena di spinaci e ricotta di pecora.

Ma poi la Storia ci mise il suo zampino. Era il 1901, quando al Teatro Massimo di Palermo sarebbe andata in scena la prima di un’opera attesissima del Maestro Pietro Mascagni (lo stesso che poco più di dieci anni prima, nel 1890, aveva acquisito fama mondiale con la sua Cavalleria rusticana). Il fervore in città era palpabile, a tutti i livelli, e il noto pasticcere Antonio Lo Verso, per omaggiare l’evento, ebbe un’idea pazzesca, quasi “sacrilega” quanto però folgorante, come avviene allorché il genio s’illumina: utilizzare un impasto già famoso e amatissimo, quello del rizzolo, per riempirlo con un ripieno dolce. Semplice, no? Apparentemente, però. E cosa usare per imbottire la nuova specialità?

La scelta cadde su un super classico, la farcitura dolce siciliana per eccellenza: una crema di ricotta di pecora lavorata con tocchetti di cioccolato fondente. L’unione di questi due “giganti” della gastronomia isolana avrebbe fatto tremare i polsi a chiunque fosse stato sano di mente, ma la commistione riuscì perfettamente tanto che divenne in un batter d’occhio famosa e apprezzata almeno quanto l’opera che la ispirò, anche nel nome: la nuova specialità fu chiamata, infatti, “Iris”, esattamente come il lavoro del Mascagni che, ovviamente, a Palermo ebbe un’accoglienza trionfale, venendo addirittura rappresentato in ben quattordici applauditissime repliche che in città fecero accrescere un sempre più entusiasta amore per la lirica e che, non si dimentichi, lanciarono un capolavoro dolciario ancora oggi tra i più apprezzati nell’intera Sicilia.

 

 

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