Lo scrittore e giornalista Raimondo Moncada, che da tre anni lotta contro il tumore, lamenta i lunghi tempi di attesa per una colonscopia. “Alle autorità sanitarie dico: Riuscite a mettervi nei nostri panni?
Lo scrittore e giornalista Raimondo Moncada, che da tre anni lotta contro il tumore, lamenta sul suo profilo facebook i lunghi tempi di attesa per una colonscopia.
Scrive Moncada: “Non aderirò più in futuro alla campagne di prevenzione contro il cancro promosse dalle istituzioni sanitarie della provincia di Agrigento… Mi riserverò di andare in piazza in occasione della prossima campagna di lotta contro i tumori solo per urlare la mia amarezza. A casa mia, nella mia terra, mi sento abbandonato, senza un punto di riferimento, sicuro, pronto, immediato.
I vertici sanitari non possono farmi la testa tanta sull’importanza dei controlli, sull’importanza della loro tempestività, aggiungendo pure che salvano la vita. È vero, salvano la vita ma in un sistema sempre efficiente, in ogni fase: dalla prevenzione, alla diagnosi, alla cura, all’assistenza continua post terapie e interventi.
A causa di un evento interno al mio provato corpo, che mi ha fatto molto spaventare perché ha interessato l’area operata a giugno 2022 (tralascio i dettagli), ho cercato a ottobre di prenotare in tempi ragionevoli una colonscopia. Con tanto di ricetta medica, mia moglie va al CUP, il centro unico di prenotazione dell’Asp di Agrigento. Propongono una data che mi lascia a bocca aperta. Ma come? Sono un codice 048 (il marchio dei pazienti oncologici), sono ancora dentro il percorso di esami e visite periodiche per tenere sotto controllo la patologia e l’area dove è stato rimosso il male, e mi rinviano così a lungo? Propongono l’esame non tra un mese, non tra due, non nel 2025, ma nel febbraio 2026 se intendo farlo a Sciacca.
La soluzione? Presentarsi in una struttura privata e pagare, pagare, pagare. E quindi? Decido di emigrare fuori dalla mia provincia, dentro la mia autonoma regione siciliana. Posso risalire per un esame di nuovo a Bologna? Aereo, permanenza… Tralascio i costi.
Mi presento così all’ospedale di Cefalù, struttura privata convenzionata col sistema sanitario pubblico. Due ore e mezzo di macchina per arrivarci. Sto due giorni. Faccio l’esame il 7 novembre. Ho una diagnosi che mi mette ancor più in allarme. L’esame si deve comunque ripetere e con urgenza, perché il medico non riesce a completare l’indagine.
Di nuovo la trafila, di nuovo a sbattere la testa a muro: prescrizione medica urgente, codice oncologico 048, quesito diagnostico che si presenta con la sua evidente gravità, referto allarmante del medico di Cefalù che si rende subito disponibile a ripetere l’esame entro la settimana successiva. Ma non me la sento di rimettermi in macchina, soffro a stare seduto per tanto tempo. E allora riprovo la strada del CUP del servizio sanitario pubblico. Ora c’è l’aggravante del referto di Cefalù.
Così penso io, così spero. Mi propongono due date: vicino a casa mia a novembre 2026; all’ospedale di Canicattì il 14 agosto 2025. Scelgo la data del 2025. Un medico mi consiglia di accettare qualsiasi data e qualsiasi destinazione perché poi mi avrebbero chiamato da una struttura dell’ASP, tale CUR, nell’ambito di un progetto per l’abbattimento delle liste d’attesa. Ancora, vista l’urgenza, da martedì 12 novembre giorno della prenotazione, attendo la chiamata.
E nel frattempo? Vista l’urgenza e i preoccupanti episodi che non si arrestano, mia moglie prenota in un centro diagnostico privato a Sciacca che, pagando, nel giro di una settimana mi sottopone all’esame che avrei voluto e dovuto fare in un ospedale pubblico perché ne ho pieno diritto e perché se si dovesse verificare una difficoltà – come accaduto – accedi subito ad altri reparti. Pagato e servito!
Se fossi stato costretto in questi tre anni a pagare ogni esame, ogni visita, ogni farmaco, i due interventi chirurgici, i tre ricoveri, sarei morto prima e mi sarei risparmiato il lungo e incerto calvario. Dove si prendono i soldi per affrontare col privato la lotta contro le aggressioni tumorali? Chi farebbe un prestito a uno che rischia di non esserci più? Quale assicurazione si farebbe avanti per tutelare la salute di un cittadino italiano?
Alle autorità sanitarie dico: riuscite a capire quello a cui si è costretti ad andare incontro? Riuscite a mettervi nei nostri panni, nelle nostre carni lacerate, nelle nostre teste sempre allarmate, nei nostri cuori che impazziscono di battiti al primo sospetto sintomo? Questa non è la mia sanità, la sanità di cui ho bisogno. Sono un paziente che in questa fase del suo percorso ha sintomi o complicazioni che non possono attendere due anni. Sono un paziente X, come altri pazienti oncologici e altri pazienti con altre gravi patologie che hanno le loro necessità e urgenze, che hanno bisogno della sanità pubblica perché senza morirebbero. Siamo pazienti che ogni notte si addormentano sperando che l’indomani mattina la malattia non si risvegli con noi”.
Raimondo Moncada