Fondato a Racalmuto nel 1980

Tutto sembra, tranne quello che è

Cucina siciliana. “Falsomagro”

Antonio Fragapane

Ciò che appare non è. In che senso, vi starete chiedendo. Nessuna ambizione filosofica da parte nostra, figuriamoci, però la gastronomia siciliana, a volte, induce a fare tali arditi pensieri. Ma torniamo coi piedi per terra.

Esiste una particolare specialità isolana che tutto sembra, appunto, tranne quello che effettivamente è. E già dal nome è tutto un programma: il Falsomagro. Intanto, come ci piace fare sempre, un po’ di storia. Secondo una prima ipotesi, tale ricetta risalirebbe alla dominazione angioina, quindi francese, risalente al XIII secolo. Sarebbero stati gli chef transalpini (gli stessi che, poi, nel ‘600 inizieranno a essere chiamati monsù) a cucinarla per primi e a farla conoscere presso la corte reale di Palermo e, da lì, a diffonderla sull’intera l’isola. Tesi che sarebbe sostenuta anche dall’origine etimologia del nome che qualifica il piatto, secondo cui “Falsomagro” deriverebbe dall’unione dei due termini francesi farci e maigre, ovvero “carne magra con ripieno”. Ma c’è chi, per la stessa espressione, invoca viceversa il significato di “ripieno magro”, ma capirete ben presto che tale ipotesi è categoricamente da scartare. Una seconda ipotesi storica, invece, farebbe derivare la ricetta del Falsomagro direttamente dalla Spagna, poi introdotta in Sicilia dai dominatori Aragonesi nel ‘400, o forse anche prima. Ma l’origine iberica desta molte perplessità, soprattutto considerando la peculiarità della ricetta, decisamente molto più affine alle caratteristiche della cucina francese, che in Trinacria ha permesso l’introduzione delle tecniche di condimento e farcitura delle pietanze, oltre all’uso di prodotti allora molto singolari come la cipolla, la salsa bèchamel e la pasta frolla salata: praticamente, parte della genesi della rivoluzione gastronomica siciliana.

Adesso, però, veniamo ai fatti concreti, almeno secondo noi. Appare assai probabile che il nome “Falsomagro” derivi invece dagli etimi dialettali isolani farsu e magru, ovvero “falso” e “magro”, a indicare quello che in effetti – e letteralmente – il piatto in questione è, cioè una vera e propria “impostura” culinaria, per scriverla alla maniera sciasciana, tanto da venire usato oggi addirittura in maniera proverbiale: essere un falsomagro. E la si può considerare una ricetta frutto di tutto ciò che una dispensa casalinga possa contenere e offrire a chi si appresti ad accendere i fornelli, infatti non è assolutamente un caso che in Sicilia tale specialità sia tipica dei giorni di festa, dalla domenica fino al Natale, Capodanno incluso, chiaramente. E, a questo punto, a voi giudicare la veridicità o meno di questo assunto. Dunque, il Falsomagro (conosciuto anche come Bruciuluni) è composto da un “involucro”, in genere una fesa di vitello di medio spessore, che racchiude dentro una farcitura realizzata con trito di manzo, pangrattato, uova, pecorino, uva passa, pinoli, noce moscata, caciocavallo, salame, cipolle e salsa di pomodoro. In più, ovviamente, sale, pepe nero, olio extra vergine d’oliva, prezzemolo e vino rosso per sfumare in cottura.

La “ricetta” appena esposta potremmo definirla classica, “alla palermitana”, ma ne esistono anche altre due succulenti varianti: la prima, “in bianco”, caratterizzata dall’uso di latte, sedano, vino bianco e, nella farcia, di lardo, spinaci e brodo. La seconda, in crosta di pasta sfoglia, in cui, oltre a tutti gli ingredienti già indicati, si uniscono inoltre mortadella e pane raffermo. Che ne dite? Vi starete certamente chiedendo dove stia il magro nell’elenco propostovi. Vi sveliamo un segreto: ce lo stiamo ancora domandando anche noi…

 

 

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