Oggi alla Fondazione Sciascia di Racalmuto la tavola rotonda sui cinquant’anni del romanzo che descrisse l’Italia democristiana. Oltre ad Adriano Sofri interverranno Fabrizio Catalano, Antonio Di Grado, Barbara Distefano, Giuseppe Traina e Francesco Merlo: “Liberiamolo dalla cronaca politica che gli è piovuta addosso”
Mezzo secolo dopo, i pensieri, le sofferenze, le condanne al potere, i silenzi di chi è solo, le parole di Leonardo Sciascia consegnate a Todo modo, tornano a vivere (o a morire?) nel luogo dove, in parte, sono state fissate dall’inchiostro, nero su nero, di una ormai vecchia macchina da scrivere la cui luce della campagna illumina ancora i suoi tasti filtrando timidamente dalle persiane socchiuse della casa di contrada Noce dove giace l’Olivetti 22 il cui ticchettio incuriosiva il contadino Nico Patito, morto nove anni fa, scambiandoli addirittura per «colpi che sapevano fare bersaglio». E del resto – come scrisse Vincenzo Consolo cinquant’anni fa recensendo Todo modo – «Sciascia anche questa volta indignerà parecchia gente, farà gridare allo scandalo, all’irriverenza».
Gli bastava il solo dito indice a Sciascia per scrivere quello che ha scritto. E oggi, lontani dalle polemiche, dagli attacchi e dagli insulti, ci resta solo il valore narrativo dei suoi libri non più legati al contingente del momento? Eppure Sciascia ancora sembra che parli, inascoltato, dalla sua Racalmuto-Regalpetra che soffre, come tanti centri, lo spopolamento e la mancanza dell’acqua. Parlano le migliaia di carte che ha destinato alla sua Fondazione e che, in circostanze come questa dei cinquant’anni dalla pubblicazione di Todo modo, vengono esposte in occasione della tavola rotonda di oggi (inizio alle ore 17) a cui partecipano Fabrizio Catalano, Antonio Di Grado, Barbara Distefano, Francesco Merlo, Adriano Sofri e Giuseppe Traina.
«Dopo mezzo secolo bisogna liberare il libro dalla cronaca politica che gli è piombata addosso a causa del delitto Moro e del film di Petri che esorcizzava i toni del romanzo – sottolinea il direttore letterario Di Grado – certamente bisogna legarlo al Contesto ed è anche questo un libro sul contesto di corresponsabilità della classe dirigente di allora, ma non è il processo al Palazzo di Pasolini». «Penso invece che dobbiamo fare i conti con questo libro ancor oggi scomodo – dice Barbara Distefano, giovane ricercatrice all’estero e studiosa dello scrittore di Racalmuto – storicizzare è importante, ma il rischio di isolare i contesti precisi è sempre quello di perdere di vista le costanti che resistono da un contesto storico-politico all’altro».
«Il sistema raccontato da Sciascia si è dissolto con Mani pulite e lui non ha fatto in tempo a vedere quello che aveva previsto – chiosa Adriano Sofri che ritorna a Racalmuto dopo sei anni, allora invitato al convegno sull’Affaire Moro – quelle pagine sono largamente utili e più preziose oggi che allora e i partiti come la Dc che fanno finta di rimpiangere non si possono più immaginare» (e invece esistono, eccome, partiti che tornano trionfanti in Sicilia e non solo: e qui, nel paese di Sciascia, alcuni giorni fa, il trentatreenne Andrea Sciascia è stato neoeletto segretario cittadino della Nuova DC di Totò Cuffaro).
Nelle lettere esposte per la prima volta a Racalmuto alcune valutazioni di chi, nell’inverno del 1974, lesse Todo modo: da Sebastiano Addamo a Sergio Morando a Giovanni Arpino e Italo Calvino; e poi una lettera dello scrittore ad Antonio Motta e quella recensione di Consolo che parlò di «chi conosce soprattutto i suoi polli, l’imbecillità dei polli che detengono il potere e li usa, li manovra come vuole. Un potere che porta al delitto, alla distruzione alla fine. Todo modo, nel migliore dei modi».
Per Calvino, che scrive a Sciascia il 5 ottobre, si tratta di una «versione infernale dell’Italia democristiana». E Sergio Morando, il 17 dicembre: «La soluzione di una trama poliziesca non con la scoperta del colpevole ma con l’uccisione del solo che potrebbe scoprirlo… Da grande moralista il finale». Il 6 febbraio ’75 la lettera dattiloscritta da Torino firmata dal poeta Giovanni Arpino: «Leggo cose curiose e vaganti sulla critica a Todo modo. E non so se ridere o piangere. C’è una strana mania di istituzionalizzazione in giro, magari per semplici accenni agli editoriali politici». «Mio nonno considerò sempre questo libro tra i suoi più riusciti – racconta Vito Catalano, secondogenito di Anna Maria Sciascia – tra l’altro è il primo scritto nella nuova casa della Noce. Iniziò a lavorarci a Castellina in Chianti e lo concluse a Racalmuto. Viceversa, Il contesto, pubblicato tre anni prima, iniziò a scriverlo in campagna e lo concluse in Toscana».
Due libri, Il contesto e Todo modo, che sono le due facce dell’Italia di quegli anni, semplificati nella celebre attualissima battuta dello scrittore scomparso trentacinque anni fa Il potere è altrove, ora titolo di un recital con Ivan Giambirtone e Fabrizio Catalano in scena al teatro di Racalmuto. Ironia della sorte, novant’anni dopo il giorno in cui Pirandello riceve il Nobel e il cui spirito pirandelliano dell’uomo solo aprì, mezzo secolo fa, Todo modo.
da “la Repubblica“ (Palermo) del 9 dicembre 2024