Centenario Chinnici. Nostra intervista a Giovanni Chinnici, figlio del giudice ucciso dalla mafia di cui ricorre oggi il centenario dalla nascita. Domani mattina il ricordo a Racalmuto organizzato dal Movimento Cristiano Lavoratori: “È bello potere celebrare questo importantissimo compleanno in mezzo a quei giovani ai quali Rocco Chinnici dedicò il suo impegno professionale ed umano”
La scorsa estate Giovanni Chinnici ha presentato a Racalmuto il suo libro Trecento giorni di sole dedicato al padre Rocco, invitato dal Movimento Cristiano Lavoratori. Ora torna nel paese di Sciascia per ricordare Rocco Chinnici nel centenario della nascita. Uno speciale compleanno che coincide con un altro compleanno da non dimenticare, gli 85 anni di Paolo Borsellino. Tutti e due nati il 19 gennaio, Chinnici nel 1925 e Borsellino nel ’40.
Giovanni Chinnici fa l’avvocato. Si occupa di diritto bancario, commerciale e della crisi dell’impresa. È specializzato nella tutela dei terzi nelle misure di prevenzione, è amministratore di aziende confiscate alla mafia e coadiutore dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata.
Avvocato, che valore ha per lei questo centenario?
Prima di tutto, per noi familiari, la ricorrenza ha un valore affettivo. Di nostro padre, anche a tanti anni dalla sua uccisione, sentiamo la presenza molto più che la mancanza ed è bello potere celebrare questo importantissimo compleanno in ambito scolastico, cioè proprio in mezzo a quei giovani ai quali Rocco Chinnici dedicò il suo impegno professionale ed umano ed anche il suo stesso sacrificio estremo. Sotto il profilo civile, è un’occasione di riflessione su quello che in questo secolo è successo nella nostra Terra e sul segno lasciato da molti siciliani onesti e valorosi.
L’iniziativa, tra l’altro, si svolgerà a Racalmuto, nella terra di Sciascia…
È molto interessante poter descrivere un parallelo tra due grandi siciliani, Sciascia e Chinnici, che in ambiti completamente diversi, culturale uno, istituzionale e giudiziario l’altro, hanno espresso i grandi valori di cui la Sicilia è intrisa ma che talvolta vengono nascosti dai disvalori che pure ci sono nella nostra Isola. D’altra parte, sono convinto che è proprio in una crescita culturale complessiva che ci sarà il riscatto della Sicilia. La risposta giudiziaria dello Stato ha avuto un ruolo importantissimo, ma non è di per se sufficiente a superare quel contesto di consenso subculturale in cui la mafia e la criminalità trovano manovalanza e sostegno.
Come diceva suo padre, ci sono tante persone oneste e occorre stare dalla loro parte. Come è cambiata la Sicilia negli ultimi trent’anni?
Mi sembra che grandi passi avanti siano stati fatti, soprattutto sotto il profilo della consapevolezza sui temi della mafia e della grande criminalità, al punto che oggi, quando mi capita di incontrare i ragazzi nelle scuole, è difficile far comprendere quale era la realtà in una città come Palermo negli anni Settanta e Ottanta. A Palermo c’erano centinaia di omicidi ogni anno e interi quartieri erano sotto il controllo esclusivo dei clan. C’era una sorta di tacito coprifuoco e, dopo le otto di sera, non si usciva di casa. Oggi è una delle città con il più basso numero di omicidi ed è viva e movimentata in ogni ora del giorno e della notte. Tutto ciò è stato possibile grazie al lavoro ed al sacrificio di uomini come Rocco Chinnici e di tanti altri siciliani onesti che si sono impegnati per migliorare la propria Terra e la propria gente. Di strada ne è stata fatta tanta, ma tanta ne rimane ancora da fare. Nella mia città, come in altre città del Sud, ci sono ancora contesti e quartieri poveri e degradati in cui è difficile affermare i principi di civile convivenza e – temo – gli stessi concetti di base del vivere democratico. Sono i serbatoi nei quali ancora la mafia, se pur fortemente ridimensionata e depotenziata rispetto a quella degli anni Ottanta, attinge la manovalanza e persino il consenso. In questi anni, ho parlato di antimafia due punto zero intendendo, con questa espressione suggestiva, l’auspicio di un impegno dello Stato che non sia soltanto più giudiziario e poliziesco, ma soprattutto economico e sociale. Dare a ogni cittadino la possibilità di un lavoro onesto e dignitoso, anche inventandolo. Questa credo che sia oggi la nuova frontiera del contrasto alla mafia e alla criminalità.
La memoria, diceva Sciascia, è libertà. Come racconteremo ai ragazzi questo valore della memoria che purtroppo si va perdendo…
Da un po’ di tempo assistiamo ad una certa “monumentalizzazione” dei cosiddetti eroi dell’antimafia, che li fa sentire ai giovani distanti dalla loro dimensione di cittadini normali. Da sempre, mi sforzo di tramandare ai ragazzi proprio il senso di normalità con il quale mio padre svolgeva il suo lavoro e come normale faceva percepire a noi figli e a chi gli stava accanto il suo impegno professionale e civico. In questo senso, la memoria ha un ruolo decisivo nella crescita individuale e collettiva dei nuovi siciliani e nel raggiungimento di una piena libertà democratica. Aggiungerei il senso di appartenenza alla nostra straordinaria Isola. Rocco Chinnici disse, durante un’intervista, di essere “siciliano in ogni cromosoma”. Naturalmente non intendo affatto negare l’importanza di essere e sentirsi europei e quanto possano incidere positivamente le esperienze di studio e di formazione internazionali; ma dal confronto con le culture e con i modi di vivere di altre realtà auspico che i ragazzi siano in grado di estrapolare il valore delle loro origini e delle loro radici. Scegliere di investire nel proprio futuro in Sicilia può essere una scelta più impegnativa e meno comoda, ma è certamente più sfidante ed appagante sul piano prospettico. La Sicilia è – oggi più che mai – una terra piena di potenzialità e sta a noi siciliani far sì che le nostre migliori risorse umane non vadano via per sempre. Forse è questa la vera sfida alla quale siamo chiamati.
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