Fondato a Racalmuto nel 1980

Otto Viaggiatrici per l’Otto Marzo

Otto figure femminili che, tra il Settecento e l’Ottocento, intrapresero viaggi avventurosi regalando nuove conoscenze utili alle generazioni future

Ester Rizzo

Ida Laura Reyer Pfeiffer nella prefazione di un libro che racconta il suo viaggio in Islanda così scrisse: “Caro lettore ti prego di non irritarti se scrivo così tanto di me. Sono in molti a pensare che il desiderio di viaggiare non sia adatto ad una donna, ma spero che perdonerai questa mia caratteristica innata”.

Ida Laura Reyer nacque a Vienna il 4 ottobre 1797. Era la quinta di sei fratelli e suo padre era un agiato mercante di tessuti che morì prematuramente quando lei aveva nove anni. Anche se inusuale a quei tempi, fu proprio il padre che le inculcò, al pari dei figli maschi, un’educazione spartana senza distinzioni di sesso. Gli amici di famiglia raccontavano che sin da bambina Ida correva fuori casa per vedere passare le diligenze che lasciavano la città. La piccola era un’accanita lettrice di libri di viaggi e di avventura che l’attiravano irrefrenabilmente e le permettevano di evadere dal “quotidiano”. Alla morte del padre, la madre ritenne di impartirle un’educazione diversa, soprattutto più confacente ad una ragazza; così la sua vita iniziò a “riempirsi” di bambole, pianoforti, ricami, lezioni di cucina e di catechismo che lei detestava fortemente. Ida arrivò al punto che per non strimpellare sui tasti del pianoforte si procurava graffi sulle dita e le bruciava con la ceralacca. Invano supplicava la madre di farle studiare biologia e matematica ma il diniego era sempre motivato dalla spiegazione che le materie scientifiche non erano adatte ad una signorina.

Quel terribile cambio di rotta della sua vita la portò ad ammalarsi e la malattia provvidenzialmente le concesse un po’ di libertà in più nella scelta degli studi.

Ida si innamorò del suo giovane precettore ma la madre si oppose alla loro relazione. Costretta dalle difficoltà economiche in cui versava la famiglia, a ventidue anni, dovette sposare un uomo molto più anziano di lei, l’avvocato Pfeiffer e con lui generò due figli. Fu un matrimonio triste e senza amore, vivevano in ristrettezza economica a causa di un tracollo finanziario e lei, per contribuire economicamente, faceva la segretaria e dava lezioni di pianoforte. Furono anni venati di malinconia e così scriveva: “Solo il cielo sa cosa ho sofferto. Vi sono stati giorni in cui vi era solo pane secco per la cena dei miei figli”.

Nel 1842, diventata vedova e con i figli già grandi, decise di realizzare il suo sogno di esplorare il mondo. Ma con quale scusa avrebbe potuto giustificare il suo allontanamento senza alimentare pettegolezzi?

Ebbe un’idea geniale: avrebbe detto che desiderava compiere un pellegrinaggio e così nessuno avrebbe avuto nulla da ridire. Non ci si poteva certo opporre ad un viaggio compiuto per fede e devozione. Si recò così in Terrasanta ma da lì, una volta libera, continuò a viaggiare per il Medioriente e l’Africa settentrionale per nove mesi. Erano viaggi spartani, fatti in economia, spesso avvalendosi di passaggi gratuiti. A volte Ida, indossando abiti maschili, si mescolava tra la folla per poter osservare più liberamente il comportamento delle popolazioni incontrate nel suo peregrinare. Tornata in Austria accettò la proposta di un editore di pubblicare i suoi diari di viaggio. Accettò, ma pretese che restassero anonimi per non irritare i parenti che consideravano disdicevole il suo comportamento. Le pubblicazioni la resero economicamente indipendente e finalmente iniziò a girare il mondo a piacimento Questa viaggiatrice percorrerà 140.000 miglia per mare e 20.000 miglia per terra. Mentre si trovava in Oriente scrisse sul suo diario: «In quella mischia ero davvero sola e confidavo solo in Dio e nelle mie forze. Nessuna anima gentile mi si avvicinò».

Ida Pfeiffer fu anche la prima donna bianca che nel 1852 si recò nella giungla di Sumatra abitata dai batak, ritenuti mangiatori di uomini. In quell’occasione riuscì a salvarsi dicendo ai cannibali: “la mia testa è troppo vecchia e dura per essere mangiata”: il saggio capo tribù iniziò a ridere e la lasciò libera.

Il suo primo viaggio intorno al mondo durò due anni e sette mesi. Si imbarcò da Amburgo per raggiungere il Brasile e poi il Cile. Da qui poi attraversò l’Oceano Pacifico approdando a Tahiti fino ad arrivare all’isola di Ceylon. Risalì attraverso l’India fino al Mar Nero e alla Grecia sbarcando a Trieste e ritornando a Vienna.

Il suo secondo viaggio intorno al mondo invece durò quattro anni: da Londra arrivò a Città del Capo per poi esplorare il Borneo ed avere contatti ravvicinati con i “tagliatori di teste” del Dayak. Attraversò l’Oceano Pacifico in senso inverso, arrivò in California e iniziò a percorrere tutti gli Stati americani.  Dopo tali imprese fu ammessa a far parte delle Società geografiche di Berlino e Parigi, ma non di quella inglese, negata alle donne.

I musei di Vienna custodiscono, ancora oggi, piante, insetti e farfalle che lei raccoglieva ovunque e portava in patria. Sicuramente se fosse stata un uomo avrebbe potuto partecipare a progetti ufficiali di ricerca o viaggi di esplorazione scientifica finanziati dallo Stato ma Ida era una donna e quindi fu osteggiata dal mondo accademico viennese e dallo stesso ministro dell’economia. Per far conoscere i reperti che aveva raccolto nei suoi viaggi aprì a Vienna una sorta di galleria privata dove, pagando un biglietto d’ingresso, si potevano ammirare i copricapi di alcune lontane tribù, le armi e le cinture dei Daiacchi del Borneo, libri scritti in svariate lingue e perfino una cesta intrecciata con capelli umani dove i cannibali adagiavano la testa mozzata del malcapitato.

La motivazione che la spingeva a viaggiare la troviamo nell’introduzione ad uno dei suoi libri: “Bisogna essere animati da vera passione per i viaggi e avere un desiderio invincibile di istruirsi e esplorare Paesi finora poco conosciuti”. Scriveva a matita, con una calligrafia piccola e minuta e raccontò i suoi sette viaggi in tredici volumi di diari che divennero best seller tradotti in sette lingue. Tra i titoli dei suoi libri vogliamo ricordare “Giro del mondo di una donna” e “Secondo giro del mondo di una donna”.

In una foto del 1856, giunta fino a noi, Ida è seduta su un divano con un vestito dell’epoca secondo la moda del periodo Biedermeier, con il capo coperto da una cuffietta bianca di pizzo, il braccio destro su un grosso libro e accanto a lei un enorme mappamondo. I suoi occhi non guardano l’obiettivo. È evidente che il suo sguardo è lontano e pare suggerirci che dentro quell’immagine formale esisteva uno spirito libero ed indipendente che nessuno avrebbe mai potuto imbrigliare.

Morì il 27 ottobre 1858 a causa di una malattia tropicale contratta in Madagascar, meta del suo ultimo viaggio. A lei sono intitolate una via a Monaco di Baviera ed una a Wilhelmshaven.

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