Otto figure femminili che, tra il Settecento e l’Ottocento, intrapresero viaggi avventurosi regalando nuove conoscenze utili alle generazioni future.

Alexandrine Petronella Francina Tinne non fu allevata ascoltando fiabe per l’infanzia ma resoconti di viaggio. Quando suo padre morì, diventò una delle ereditiere più ricche dei Paesi Bassi. Era nata il 17 ottobre del 1835 all’Aia, figlia di una baronessa e di un mercante. Restò orfana a dieci anni e con la cospicua eredità, intraprese con la madre molti viaggi per mete vicine o lontane: Norvegia, Italia, Medio Oriente ed Egitto.
Sia Alexandrine che la madre Henriette furono le prime donne occidentali a risalire il corso del fiume Nilo per trovarne la sorgente. A differenza di Nelly Bly che viaggiò sempre con un bagaglio leggero, Alexandrine si portava dietro una quantità esagerata di bagagli. Oltre le cose necessarie come la macchina fotografica e tutto l’occorrente per sviluppare le foto e gli strumenti per raccogliere i campioni botanici, nei suoi bauli da viaggio sistemava posate d’argento, servizi da tè in porcellana cinese, ombrellini da sole, abiti eleganti ed una quantità impressionante di derrate alimentari. A tutto ciò si aggiungevano cinque pistole ed un revolver. Da questo elenco è facile intuire che aveva bisogno nei suoi spostamenti di tantissimi cosiddetti ”portatori”. Alexandrine risolse il problema acquistando nei vari territori decine e decine di schiavi che poi puntualmente rendeva liberi nelle varie tappe del viaggio.
Dopo un “fidanzamento lampo” si rese conto che non era pronta a ”diventare moglie” e decise così di vivere la sua vita viaggiando.
In Europa i giornali la definirono una “giovane e bella cavallerizza temeraria, che padroneggiava molte lingue, tra cui l’arabo” e questa notorietà le fu utile quando, stabilitasi nel Maghreb, iniziò a denunciare le condizioni disumane in cui versavano gli schiavi ed ottenne di edificare un alloggio per “schiavi liberati” proprio vicino alla sua residenza.
La sua figura venne anche descritta da Mario Tobino nel romanzo “Il deserto della Libia”. Alexandrine Tinne fu anche una ricercatrice: durante le sue spedizioni scoprì varie piante, introducendo 24 nuove specie di cui diciannove della famiglia della menta. Purtroppo, la sua collezione di reperti etnografici, che era conservata a Liverpool, fu distrutta dai bombardamenti della Seconda guerra mondiale, o almeno così si sostenne allora. Oggi alcune fonti riportano che la notizia era falsa.
Dopo aver viaggiato per l’Egitto, il Congo, la Tunisia, il Sudan e l’Algeria, nel 1869, organizzò una spedizione per esplorare il deserto del Sahara, desiderosa di conoscere personalmente i Tuareg ma proprio in quel viaggio trovò la morte. Fu assassinata con due colpi di spada e il suo corpo non fu mai ritrovato. Probabilmente i suoi innumerevoli e preziosi bagagli da depredare furono la causa della fine della sua vita.
Alexandrine Tinne fu sicuramente una donna temeraria e coraggiosa che sfidò la mentalità vittoriana del tempo che assegnava alle donne solo il ruolo di angeli del focolare. A Leida le hanno intitolato una piazza e un edificio la ricorda ad Amsterdam. Un piccolo indicatore sul Nilo, porta il suo nome tra gli altri esploratori. Anche in Marocco, a Tangeri, una targa la ricorda.
Isabella Bird era nata, quattro anni prima di Alexandrine, nel North Yorkshire. Era figlia di un Pastore della Chiesa anglicana e di una madre insegnante di catechismo che cambiavano spesso residenza a causa dei trasferimenti paterni. Sin da piccola iniziò a soffrire di mal di schiena e altri disturbi che però miracolosamente sparivano ad ogni suo viaggio.
Raccontò il suo primo viaggio in America in un libro e quando ritornò in patria iniziò a collaborare con vari giornali. Nel 1827 si recò in Australia e poi proseguì per le Hawaii, per il Colorado arrivando fino in Giappone. Fu proprio in Giappone che, al Consolato di Hokkaido, si imbatté in una spedizione scientifica formata, ovviamente, da soli uomini che si accingeva a partire per studiare la popolazione indigena Ainu che praticava il culto degli orsi. Loro la snobbarono e lei, stizzita, diede uno sguardo agli innumerevoli bagagli che quelli si stavano portando dietro e disse che erano troppi e li avrebbero intralciati nell’impresa. Così avvenne: Isabella con il suo bagaglio leggero di venti chili arrivò per prima alla meta. Dopo il Giappone visitò Hong Kong, Shangai, Saigon e si fermò un po’ di tempo nella penisola di Malacca.
Ricordando i racconti di suo padre volle recarsi anche sul Monte Sinai ma all’arrivo alla meta rimase profondamente delusa e scrisse che lassù non c’era alcuna atmosfera spirituale e i monaci, che spesso erano ubriachi, stavano lì solo per spillare soldi ai turisti. Durante una traversata dell’Oceano Atlantico, nonostante infuriasse una tempesta così scrisse a riguardo del suo viaggio: “Sono così estasiata. Questo è come un mondo nuovo…libero, fresco, vitale, spensierato e privo di catene……niente campanelli alle porte, niente servitù, nessunissimo obbligo, niente inutili tentavi di portare a compimento tutto quello che si dovrebbe fare. Soprattutto niente nervosismo e niente convenzioni”.
Dopo ave scorrazzato per il mondo in lungo e in largo, a cinquant’anni si sposò con il medico John Bishop. Il matrimonio durò solo cinque anni a causa della morte del coniuge. Subito dopo un breve periodo di lutto, Isabella si recò in India e fondò il “John Bishop Memorial Hospital”. Si spinse fino in Corea per documentare la devastazione della guerra ma fu imprigionata e rinchiusa in una casa che poi venne data alle fiamme: fortunatamente si salvò in extremis.
Il suo ultimo viaggio la portò in Marocco dove percorse, da sola, a cavallo le montagne dll’Atlante. Morì serenamente a 73 anni a Edimburgo, nel letto di casa sua. Nella sua stanza vi erano già i bauli pronti per ripartire alla volta della Cina.
Isabella Bird Bishop è stata la prima donna ad essere ammessa alla Royal Geographic Society nel 1892 e un anno dopo ben altre quindici donne furono accolte come socie con la maggioranza dei voti. A nulla valsero le proteste dei soci più anziani e conservatori. Uno di loro scrisse: “Noi per principio contestiamo la capacità delle donne di produrre sapere geografico. Il loro sesso e la loro formazione le rendono inadatte al viaggio di esplorazione…esse rappresentano uno dei fenomeni più raccapriccianti della fine di questo secolo…”. Ma ormai la strada era aperta.