Fondato a Racalmuto nel 1980

Otto Viaggiatrici per l’Otto Marzo

Otto figure femminili che, tra il Settecento e l’Ottocento, intrapresero viaggi avventurosi regalando nuove conoscenze utili alle generazioni future.

Ester Rizzo

Mary Henrietta Kingsley era nata a Londra il 13 ottobre del 1862, primogenita di un medico che aveva la passione per i viaggi e di Mary Bailey. Sua madre era stata la ”domestica di casa” con cui il padre aveva avuto una relazione e che fu costretto a sposare quattro giorni prima che Mary venisse alla luce. Dopo due anni, la coppia ebbe un altro figlio, Charles. L’ infanzia di Mary fu molto triste: suo padre viaggiava al seguito di uomini ricchi e aristocratici e sua madre, essendo una ex domestica, non era ben accetta in società e cominciò a soffrire di depressione passando intere giornate a letto.

Mary Kingsley non fu mandata a scuola, non aveva amiche con cui giocare e viveva reclusa fra quattro mura in una casa alla periferia di Londra. Imparò a scrivere e leggere da autodidatta e iniziò a divorare i libri della biblioteca paterna. Era affascinata dai resoconti di viaggio che il padre le inviava. Da sola riuscì ad imparare il latino, studiò matematica e fisica, scienze e biologia. Arrivò così all’età di venti anni prigioniera di quella casa e del lavoro di cura che esigeva una madre perennemente malata. Solo nel 1888 riuscì a trascorrere una settimana a Parigi ma al suo ritorno le condizioni di salute di sua madre erano peggiorate e lei non si allontanò più dal suo capezzale.

Nel 1892, dopo la morte dei suoi genitori avvenuta a pochi mesi di distanza l’uno dall’altra, Mary si ritrovò prostrata dal dolore ma libera. Decise così di partire per Le Canarie. Esplorò tutte le isole e affascinata dalla bellezza del viaggiare al rientro in patria iniziò a programmare un viaggio nell’Africa Occidentale.

Il problema che sorse subito fu quello di cercare una motivazione che giustificasse quella partenza ”da donna sola” e la trasformasse in qualcosa di accettabile per la morale e le convenzioni dell’epoca. Così Mary addusse una scusa dicendo che lo faceva per un obbligo morale nei confronti del padre che non aveva potuto completare una ricerca sulla popolazione di quei luoghi. Vincendo le altrui perplessità e il biasimo di alcuni, nell’agosto del 1893 finalmente partì. Nel suo bagaglio diverse gonne lunghe rigorosamente nere, corsetti e stivali di pelle e poi un equipaggiamento fotografico, bottiglie di formaldeide per conservazione di piante e insetti, medicine e due diari, uno per gli appunti personali e uno per la raccolta di dati scientifici.

Fu un viaggio faticosissimo, pieno di insidie in cui varie volte si ammalò sfiorando la morte ma proseguì sempre, nonostante lo stupore e spesso la riprovazione dei capitribù quando la vedevano arrivare nei loro villaggi. Così scrisse lei stessa al ritorno da quel primo viaggio: “Voglio avvertire tutte le vecchie zitelle che si sentono propense a intraprendere lo studio dell’Africa che saranno tempestate di imbarazzanti domande su dove sia il loro marito … vi sconsiglio di dire che non avete un marito, io ci ho provato e non porta ad altro che a domande peggiori. È meglio dire che lo state cercando e che si trova nella zona dove siete dirette, così susciterete empatia e la gente vi aiuterà”.

Dopo quel primo viaggio ne seguirono tanti altri effettuati, finalmente, come ricercatrice professionista e come scrittrice. Queste qualifiche ufficiali le permisero di avere garanzie e un rimborso spese. Quando girava per il continente africano, anche se era una donna sola, la chiamavano rispettosamente “Sir Mary”.

E “Sir Mary”, viaggio dopo viaggio, diventò esperta di antropologia e anche delle malattie di cui soffrivano quelle popolazioni. Spesso, avendo appreso vari rimedi, quando incontrava dei malati non esitava a curarli.  Si spinse fino alle zone dove vivevano le tribù di cannibali Fang, riuscendo a instaurare un rapporto basato sul reciproco rispetto. Dopo altri innumerevoli viaggi nel 1900 giunse a Città del Capo dove si prodigò per assistere i prigionieri di guerra boeri colpiti da febbre tifoide. Quella sua generosità però le fu fatale: contagiata anche lei, morì il 3 giugno dello stesso anno.

Fu rispettata la sua ultima volontà di essere sepolta in mare. Mary Kingsley detiene un primato: fu la prima donna europea a raggiungere, a 4.100 metri, la sommità del Monte Camerun.

Alexandra David- Neel fu un’altra viaggiatrice detentrice di un primato: è stata la prima donna occidentale a giungere, nel 1924, a Lhasa, città all’epoca vietata agli stranieri. Per giungervi camminò per otto mesi partendo dalla Mongolia e attraversando il Tibet. Riuscì nell’impresa travestendosi da mendicante e sotto una lunga e logora tonaca nascose un coltello, un revolver, un po’ di gioielli e varie monete d’argento. Occultò, in una specie di cintura, un termometro, una mini-bussola e una coroncina tibetana realizzata con 108 pezzi di cranio umano e negli stivali ripose accuratamente mappe e appunti sul tragitto.

Alexandra David era nata in Francia a Saint Madè il 24 ottobre del 1868. Sin da ragazza asseriva di voler vivere inseguendo il suo senso di libertà e infatti a diciotto anni inforcò una bicicletta e da Bruxelles si diresse in Spagna per poi arrivare in Inghilterra. A Londra iniziò a studiare filosofie orientali, a perfezionare il suo inglese e si iscrisse financo alla massoneria. Divorava libri e coltivava idee anarchiche e femministe. Per non farsi mancare nulla intraprese anche gli studi di Canto, studi che in seguito le tornarono utili.

Grazie ad un’eredità, ottenne i soldi per potersi recare in India e lì, a Madras, perfezionò il sanscrito e iniziò a praticare yoga. A forza di girare l’India in lungo e largo i soldi finirono e così, per guadagnarsi da vivere continuando allo stesso tempo a girare il mondo, diventò una cantante lirica.

In un viaggio nel continente africano incontrò un ingegnere ferroviario, Philippe Neel e nel 1904 lo sposò. Supponiamo che sia improbabile che lei si sia follemente innamorata. Forse, a trentacinque anni, ritenne conveniente convolare a nozze anche per garantirsi una situazione economica più tranquilla.

Alexandra però non poteva restare invischiata in una relazione matrimoniale, lei aveva un amore che non poteva tradire: il viaggio. In verità cercò di diventare una buona moglie ma non ci riuscì e cadde addirittura in uno stato depressivo che le procurava continui e forti mal di testa e un perenne senso di nausea. Capì che quei malesseri erano legati alla mancanza di libertà e scrisse al marito: ”Sei l’unica persona al mondo a cui mi sento legata ma non sono fatta per la vita matrimoniale”. Philippe comprese il disagio e le propose un viaggio in Asia per ritrovare la salute, la serenità e l’interesse per la vita. Le regalò un biglietto di andata e ritorno per stare via un anno e mezzo. Alexandra preparò i bagagli, salutò il marito e ritornò a girovagare per il mondo. Si preoccupò però di rassicurare Philippe dicendogli: ”Ritornerò tesoro, tra appena diciotto mesi sarò di nuovo qui con te”. Ma quel biglietto di ritorno non fu utilizzato. Per più di dieci anni scrisse ogni giorno a Philippe e periodicamente gli inviava faldoni di manoscritti da far pubblicare. La relazione coniugale, anche se può sembrare strano, continuò: ogni tanto il marito le chiedeva di rientrare e lei rispondeva che lo avrebbe fatto ma aveva ancora bisogno di un po’ di tempo. Tornò al tetto coniugale dopo ben quattordici anni e dopo aver attraversato Nepal, Birmania, Giappone, Corea e Cina. Ad attenderla oltre a Philippe, una folla di giornalisti. I suoi scritti sul Tibet costituiscono delle preziose testimonianze su quel Paese prima del 1950. In un suo saggio” Pour le vie” (firmato con lo pseudonimo di Alexandra Myrial) denunciò il peso del matrimonio e della maternità che gravava troppo sulle spalle delle donne.

Fu insignita della medaglia d’Oro della Società geografica di Francia e nominata Cavaliere della Legione d’Onore.

Morì a 101 anni in Provenza e poche settimane prima aveva rinnovato il passaporto con l’intenzione di programmare un nuovo viaggio in Asia. Amava ripetere: “Chi viaggia senza incontrare l’altro non viaggia, si sposta”.

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