Fondato a Racalmuto nel 1980

Santa Rosalia tra agiografia ed iconografia

Le riflessioni di Carmelo Sciascia a margine di un incontro alla galleria Biffi Arte di Piacenza

Santa Rosalia di Racalmuto

“Antoon van Dyck in Sicilia: il pittore, i gesuiti e “l’invenzione” di Santa Rosalia!, questo il tema affrontato in un incontro alla galleria Biffi Arte di Piacenza in questo 2025. La relatrice è stata Fiorenza Rangoni, docente del Dipartimento di studi umanistici, Scienze dei Beni Culturali dell’Università degli studi Roma Tre, autrice di diverse pubblicazioni di storia dell’arte e, particolare che a noi interessa in questa occasione, autrice di ricerche e studi proprio su van Dick.

Mi è venuto spontaneo aggiungere nuove riflessioni personali prendendo le mosse dallo studio della docente.

Oggi al mio paese Racalmuto (di infanzia e di formazione) si ritiene essere patrona del paese Santa Rosalia, che in qualche modo ha spodestato Maria Santissima del Monte che ne deteneva in passato l’esclusiva. Si sostiene perfino che il paese abbia dato i natali alla Santa, contravvenendo a quanto sostenuto nel Martyrologium Romanorum: “Panormi natalis sanctae Rosaliae, virginis Panormitae”. (Papa Urbano VIII-1630).

Il padre gesuita Giordano Cascini nell’opera Santa Rosalia Vergine Palermitana scrivendo che: “V’era l’immagine della Santa dipinta nel muro da poi in qua rovinata, e quella, che vi ha oggi in tela è assai nuova, cioè del 1600; ma della prima immagine, restandole ben fissa nella mente, un valente dipintore del medesimo luogo, detto il Monocolo di Racalmuto il cui nome è Pietro D’Asaro, n’ha fatto fuori un bello esemplare…” ci tramanda l’idea che in una chiesetta di Racalmuto dedicata alla Santa esistesse una immagine dipinta a muro. Quest’affresco sarebbe stato sostituito poi da una tela realizzata dopo il 1625 da Pietro D’Asaro, che sarebbe stato ispirato proprio dall’immagine originale a muro di mano ignota che si era nel tempo rovinata.

Questa tela, di cui si erano perse le tracce sembra essere la stessa che si trova oggi nel duomo di Delia, cittadina del nisseno, che dista pochi chilometri dalla stessa città natale di Pietro D’Asaro. Di storicamente certo rimane una pergamena datata 10 agosto 1625 dell’Arcivescovo Giannettino Doria a testimoniare l’invio da Palermo a Racalmuto di un reliquario argenteo contenente frammenti costali di Santa Rosalia. Va ricordato come Giannettino Doria oltre ad essere cardinale, negli anni 1624-1626, quelli che a noi interessano maggiormente, fu luogotenete del Regno di Sicilia. Il cardinale era figlio di Gianandrea Doria e di Zenobia Del Carretto e proprio i Del Carretto furono in quei tempi signori di Racalmuto: spiegato così l’invio del prezioso dono.

Il legame con i Del Carretto-Doria fece sì che il culto della Santa si diffondesse immediatamente in tutta la Liguria ed in quei paesi che con essa confinavano. Basti pensare come attraverso gli Appennini giungevano le merci da Genova alla pianura Padana, ricordiamo a proposito la via del sale e la via dell’olio. Da piacentino non posso non sottolineare come il fiume Trebbia, che attraversa tutta la provincia emiliana, nasca proprio a Torriglia, e di Torriglia era marchesa Zenobia Del Carretto-Doria che aveva creato ad Ottone (alta val Trebbia in provincia di Piacenza) uno dei Monti di Pietà.

Ricordiamo ancora come alcuni feudi (di Croce e di Casanova) dell’appennino piacentino erano stati assegnati nel 1575 dallo stesso imperatore Carlo V ai Doria, che ne mantennero il possesso fino al 1797.

Molte notizie su Santa Rosalia e la sua agiografia possono essere dedotte dal libro del già citato Giordano Cascini “Di Santa Rosala Vergine Palermitana libri tre” (pubblicato postumo a Palermo appresso i Cirilli -da Decio Cirillo- nel 1651). Per quanto riguarda l’aspetto iconografico non si può prescindere invece dalle incisioni attribuite a Valerien  Regnard  a corredo dell’edizione del 1627 della “Vita S. Rosaliae virginis panormitanae e tabulis et parientis” per Valeriano Regnarzio Roma 1627.  V. Regnard incisore, non si sa se belga o francese, di sicuro lavorò con i gesuiti, e nell’incisione allegata al testo del ‘27 rappresenta Santa Rosalia con le braccia conserte prospicente la Madonna con bambino ed ai lati i Santi Pietro e Paolo.

Non bisogna dimenticare che la storia della Santa viene proposta proprio da Giordano Cascini, che vuole riappacificare ed unificare la turbolenta comunità palermitana. Instabilità politica, lotte di potere all’interno dell’aristocrazia locale e tra le città isolane, la miseria delle campagne e il sovraffollamento della città provocavano miseria e malattie, non a caso il propagarsi di epidemie necessitava la figura di una nuova Santa Patrona che ridesse autorità al potere religioso e politico e fiducia alla popolazione.

La scelta dell’Arcidiocesi cadde così su questa monaca basiliana, il cui culto era già diffuso in Sicilia, soprattutto nei paesi dei monti Sicani. La monaca già santificata per volontà popolare era conosciuta soprattutto tra i poveri, adesso doveva risultare gradita anche alla nobiltà locale. Rosalia, divenuta di nobile origine, prenderà nuovo slancio dalle visioni della suora bivonese suor Maria Roccaforte, che ne sosterrà la permanenza e la costruzione della sua chiesa a Bivona, lì dove era vissuta.

Tesi espressa anche da padre Paolo Collura che scriverà come probabilmente tutto sia nato dalla “fervida fantasia della monaca benedettina bivonese suor Maria Roccaforte, avallata dalla bonomia del suo confessore p. F. Sparacino S.J.” (Santa Rosalia nella storia e nell’arte-Flaccovio 1977).

Queste tesi, come la tradizione per il culto di Santa Rosalia, del festino e del trionfale carro barocco, sono ben documentati dall’antropologo Valerio Petrarca nella sua “Genesi di una tradizione urbana” (Palermo 1986), libro da tenere presente soprattutto per la sua ricca e completa Appendice documentaria. Ma non solo, perché riporta anche delle splendide incisioni, alcune riprese dal “Di Santa Rosalia” del Cascini, altre da In M. Del Giudice ed una della Collezione Pitrè.

Il Cascini riesce così, partendo da un sogno di suor Maria Roccaforte, a creare la figura della Santa come la figlia di Sinibaldo Sinibaldi, cresciuta alla corte di Ruggero, discendente di Carlo Magno. Dalla scelta di nobilitare la figura di questa nuova religiosa, ecco la necessità di costruire un’immagine che dal punto di vista estetico possa celebrarne la grandezza e la santità con una degna iconografia.

Per quanto detto di Santa Rosalia a noi interessa, sulla scia degli studi su van Dick di Fiorenza Rangoni, l’aspetto iconografico e celebrativo.

A questo proposito la studiosa sostiene che la prima immagine che abbiamo di Santa Rosalia è quella dipinta da Vincenzo La Barbera che rappresenta la Santa nell’atto di intercedere per salvare Palermo dalla peste: lo sguardo è infatti rivolto alla SS Trinità e Maria, mentre con le mani indica la città: il monte Pellegrino ed il porto. Il quadro che si trova al Museo Diocesano era stato commissionato dal Senato del capoluogo siciliano ed eseguito nel 1624 per un compenso di 50 onze (F. Meli “Degli architetti del Senato di Palermo nei secoli XVII e XVIII”). Vincenzo La Barbera era di Termini Imerese ma di origini genovesi, come genovese era l’Arcivescovo e viceré Giannettino Doria e liguri i Del Carretto, signori di Racalmuto. E tra Genova e Palermo si era giocato anche il destino di una grandissima pittrice come Sofonisba Anguissola, sepolta per sua scelta a San Giorgio dei genovesi a Palermo. Il 12 luglio del 1624 era avvenuto l’incontro tra l’ultranovantenne Sofonisba Anguissola ed il ventenne van Dick  che così testimonia l’evento nelle pagine del suo Diario: “… mi diede diversi avvertimenti non dovendo pigliare il lume troppo alto, faccio che le ombre nelle rughe della vecciaia non diventassero troppo grande, et molti altri buoni discorsi come ancora conto parte della vita di essa per la quale conobbe che era pittore de natura et miraculosa et la pena pagiore che ebbe era per mancamento di vista non per dipingere: la mano era ancora ferma senza tremula nessuna”. Il Fiammingo dirà più tardi di aver ricevuto maggiori lumi da una donna cieca che dallo studiare le opere dei più insigni maestri. Di questo incontro ci rimane il ritratto di una Sofonisma dallo sguardo vigile ed attento, quasi un passaggio di consegne da una ritrattista ultranovantenne, oramai un’icona, ad un giovane poco più che ventenne, rappresentante della nuova pittura barocca.

Da un primo esame dei due quadri, di quello di La Barbera a Palermo (1624) e di Pietro D’Asaro nel nisseno, a Delia (post 1625), notiamo delle analogie: le mani rivolte a protezione della città, la presenza di Dio assiso nell’alto dei cieli, la presenza degli angeli, di un teschio ed infine la presenza della corona di rose e di candidi gigli. Comunque nulla vieta di pensare che lo stesso D’Asaro abbia visto il quadro di La Barbera ed abbia realizzato un’opera che pur avendo dei tratti comuni, risulta essere superiore per resa pittorica ed espressività iconografica, tanto da essere considerata un prototipo del manierismo isolano.

E van Dick? La figura di questo pittore può essere riassunta da quanto scrisse il seicentista storico dell’arte Giovanni Pietro Bellori: ”Grande per la Fiandra era la fama di Pietro Paolo Rubens, quando in Anversa nella sua scuola sollevossi un giovinetto portato da così nobile generosità di costumi e da così bello spirito nella pittura che ben diede segno d’illustrarla ed acrescerle splendore”. Quindi riassumendo diciamo che van Dick nasce ad Anversa nel 1599, fu allievo di Rubens, venne in Italia dove assimilò la pittura di Tiziano, viaggiò molto, tra Italia (Genova, Roma, Firenze, Venezia, Mantova, Milano, Torino, Palermo), Fiandre, Francia, Olanda ed Inghilterra, morirà a Londra il 1641. Come si sa erano forti i legami che si erano costituiti tra i Gesuiti e Rubens, non a caso il pittore da loro ebbe diverse commissioni, questo agevolò senza dubbio i rapporti dello stesso van Dick con quest’ordine religioso. Non a caso abbiamo un ritratto del gesuita Nicolas Trigault in abito cinese eseguito sia da Rubens che da van Dick negli stessi anni (1616-17). Ma non solo, sappiamo anche che il Nostro, faceva parte di una confraternita religiosa la Compagnia dei Giovani Celibi ad Anversa, non a caso in quella città giunsero le reliquie di Santa Rosalia nel1629.

È di quell’anno la realizzazione ad Anversa del quadro noto con il nome di Matrimonio mistico di Santa Rosalia, noto anche come Incoronazione di Santa Rosalia, o Madonna con Bambino, Santa Rosalia ed i SS. Pietro e Paolo, oggi a Vienna. Il quadro venne eseguito proprio per festeggiare l’arrivo delle reliquie della Santa, invio effettuato proprio dal Cascini nel 1628 per la Confraternita dei Celibi. In realtà c’era stato anche un precedente invio di reliquie nella città belga portate da Roma dal padre gesuita Florent de Montmorency prima del ’28. Anversa era l’avamposto del cattolicesimo e preminente era la presenza dei gesuiti, non a caso ila chiesa principale era stata dedicata a Sant’Ignazio di Loyola e decorata dallo stesso Rubens (1615/20).

Di Santa Rosalia van Dick realizzerà cinque quadri, due sono a Palermo, uno all’Oratorio del Rosario ed un altro a Palazzo Abatellis. La scrittrice palermitana Giuseppina Torregrossa in un articolo del 2023 ci presenta il pittore come un agente segreto che vive in Italia sotto falso nome, perché compare col nome di Vandechi (van Dick italianizzato) nel registro della Pasqua del 1621 della parrocchia romana di S. Lorenzo in Damaso (allora in via Corte Savella oggi via Monserrato), e perché amico di George Gage (nel registro romano Giorgio Gaggio). Questo soggiorno romano è testimoniato dal ritratto che van Dick fece al cardinale Guido Bentivoglio, oggi alla Galleria Palatina di Firenze.

Di George Gage, che era veramente un agente inglese a Roma per conto di Giacomo I Stuart, van Dick ci ha lasciato un ritratto un po’ scanzonato, dove l’inglese è rappresentato tra due figuri poco rassicuranti che sembra lo vogliano imbrogliare vendendogli un falso, una statua moderna come fosse un’opera antica. L’opera oggi si trova alla National Gallery di Londra.

Comunque va sottolineata una strana coincidenza, come partendo dal Cascini, un gesuita palermitano, si giunga ad un altro gesuita (in incognito) inglese come Gage. Così come Rubens aveva fatto opere per i Gesuiti, per i Gesuiti lavorerà anche il suo allievo van Dick. Ma, va da sé, siamo nel Seicento ed i Gesuiti erano l’Ordine religioso più potente, non a caso il percorso del corteo per il festino, sostava in primis davanti al Collegio dei Gesuiti poi alla Casa Professa (Gesuiti), e solo dopo davanti le chiese dei Teatini e dei Domenicani.

Tornando a noi, sappiamo che van Dick giunse a Palermo nella primavera del 1624, probabilmente invitato, per farsi ritrarre, da Emanuele Filiberto di Savoia, che era stato nominato viceré di Sicilia per volere del re di Spagna Filippo IV. Probabilmente il pittore fiammingo, essendo in contatto con religiosi d’alto rango, avrà avuto contatti con lo stesso cardinale Giannettino Doria, che scontento probabilmente della rappresentazione del pittore La Barbera, avrebbe commissionato al fiammingo una nuova tela della Santa. Surclassato così La Barbera diventerà proprio van Dick l’inventore dell’iconografia di Santa Rosalia.

Il ritratto di Emanuele Filiberto di Savoia venne comunque eseguito ed il risultato fu splendido, oggi il quadro si trova a Londra. A Palermo sembra abitasse in via de’ bottai, così si deduce da ciò che ci suggerisce il Paruta riferendosi ad un certo “Antonio Fiamengo” che abitava in via de’ Bottari.

Van Dick a Palermo non passava sicuramente inosservato. Abbiamo al riguardo una descrizione del suo portamento e del suo vestiario quando era a Roma e nulla vieta pensare fosse lo stesso a Palermo: “risplendeva in ricco portamento in abito e divise… perciò oltre li drappi si ornava il capo con penne e cintigli, portava collane d’oro attraversate al petto, con seguito di servitori” (Bellori). A testimoniarci il suo portamento ed il suo abbigliamento rimane la testimonianza di uno splendido Autoritratto adesso all’Ermitage di San Pietroburgo.

il primo quadro di Santa Rosalia come abbiamo detto è stato eseguito da La Barbera, probabilmente perché non si voleva che lo eseguisse uno straniero, ma, ne sembra convinta la nostra Fiorenza Rangoni, il van Dick, su indicazione del Cascini avrebbe redatto il primo bozzetto poi realizzato dal pittore termitano.

Era un compito arduo sostituire quattro Sante: Agata, Cristina, Ninfa e Oliva, che erano state fino ad allora le protettrici di Palermo, con una sola Patrona.

Questo compito doveva premettere una iconografia pensata e predisposta dalla Chiesa, dai Gesuiti, rappresentati in questo caso dal Cascini che agiva seguendo le direttive del cardinale Doria.

Carmelo Sciascia

C’è da ricordare a proposito come un Santo cui rivolgersi per far cessare la pestilenza c’era già ed era San Rocco. San Rocco era un pellegrino francese del ‘300 che era venerato dalla chiesa cattolica come taumaturgo, con i chiari segni della peste che il Santo mostra sulla coscia. L’agiografia l’aveva posto sugli altari dell’intera Europa al di là di qualsiasi riscontro storico, come avvenuto con tanti altri Santi nel corso dei secoli. L’agiografia è un insieme di produzioni letterarie che comprendono la vita, i miracoli ed il culto degli stessi Santi, da non confondere con la storia che è l’insieme di documenti inoppugnabili che testimoniano un dato avvenimento, avvenuto in un determinato luogo e in un preciso momento. La fine della peste venne attribuita al rinvenimento delle ossa di Santa Rosalia che vennero portate in processione dall’arcivescovo Giannettino Doria in uno scrigno d’argento.

Storicamente a debellare la peste a Palermo contribuirono senza dubbio le misure messe in atto dal protomedico racalmutese Marco Antonio Alaimo, che s’intendeva  di peste e ragionevolmente si preoccupò delle infrazione alle misure di sicurezza.

I quadri di Santa Rosalia dipinti da van Dick faranno da apripista all’iconografia della Santa che, da allora in poi verrà raffigurata, nell’atto di proteggere la città di Palermo, assunta in gloria, incoronata dagli angeli, che intercede presso la Madonna e la Trinità. I simboli che caratterizzeranno Rosalia saranno il giglio e la rosa che compongono il nome stesso a rappresentare regalità e purezza ed il teschio simbolo di meditazione sulla morte e sulla vita eterna.

Oltre alle pitture ad olio di van Dick ci sono giunti quattro disegni preparatori per incisioni, oggi al British Museum di Londra. Alcuni disegni saranno utilizzati per le incisioni contenute in un piccolo volume di 20 pagine titolato Vita S. Rosalie Virginis Panormitanae Pestis Patronae iconibus expressa, che si trova ad Oxford. Questo volumetto viene menzionato negli Acta Sanctorum e sarebbe stato stampato ad Anversa nel 1629.

Un culto antico di Santa Rosalia si trova nelle città che furono sotto la signoria dei Chiaramonte e perciò logico pensare che il suo culto fu sostenuto e diffuso proprio da costoro. A Bivona troviamo una statua che sembra anticipare il gusto barocco, soprattutto per il fercolo. Il fercolo e la statua lignea sono del 1601 e sono stati scolpiti dal sacerdote Ruggero Valenti.

Alla base del fercolo sono intagliate episodi della vita della Santa, immagini da cui il Cascini cercò di trarre spunto per creare l’iconografia della Patrona che dai Monti Sicani si trovava ad essere trasmigrata nella capitale isolana.

Le delicate fattezze della statua ed il ricco decoro barocco, non si sa se siano stati visti dal van Dick, ma comunque nulla hanno da invidiare alle rappresentazioni della Santa dei suoi quadri!

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