Nel chiostro del Museo Archeologico di Licata un’altra mostra di Toponomastica femminile racconta le donne protagoniste delle Arti minori

Per lunghi secoli si è tramandata la superstizione che asseriva che le donne a bordo delle imbarcazioni portassero sfortuna. Probabilmente a causa di ciò, è stata obliata tanta storiografia locale. Oggi invece è ampiamente dimostrato come le donne, in vari Paesi Europei, esercitavano il mestiere di pescatrici. In Sicilia ricordiamo le pescatrici delle isole Eolie che, fino agli anni 50, si avventuravano tra le acque dell’arcipelago eoliano. Riscontriamo altri equipaggi composti da sole donne anche in Irlanda e in Spagna. È stato inoltre accertato che equipaggi misti si imbarcavano dalle coste della Svezia, della Norvegia, della Grecia a da alcune località della Bretagna. Alle donne a bordo spettava il compito di cernere il pescato e poi pulirlo.
Il rapporto tra le donne e il mare viene sapientemente, se pur sinteticamente riassunto, nella mostra di Toponomastica femminile esposta nei locali del Chiostro S. Angelo a Licata (dalle ore 9 alle ore 13 fino a sabato22 Marzo) In occasione della Settimana UNAR.
Si srotolano così agli occhi dei visitatori, le storie di donne forti e operose di vari centri marinari che, a causa dell’assenza prolungata degli uomini imbarcati, svolgevano un ruolo e fondamentale e centrale sia in seno all’organizzazione familiare ma anche nel commercio dell’attività di pesca. Erano, in maggior parte, le donne, che” lavoravano” il pescato e lo vendevano; sempre a loro erano spesso demandate altre attività collaterali come la produzione delle reti e il rammendo delle vele o i procedimenti per limitare l’usura del cordame per preservarlo il più a lungo possibile. Erano donne forti che sovente aiutavano gli uomini nella tecnica di pesca con la sciabica o giravano l’argano per tirare in secco le barche. Un pannello è dedicato alle storie delle Retare, donne di tutte le età che, d’estate all’aperto e d’inverno in locali chiusi vicino al fuoco, costruivano le reti e una volta terminato il lavoro le piegavano, le posizionavano sul capo e andavano a consegnarle ai committenti nei vari porti. A San Benedetto del Tronto nel locale Museo del mare alcune foto documentano il loro lavoro e la città le ricorda anche con una statua a loro dedicata.

Anche le Pescivendole trovano spazio nella mostra: donne che si stagliavano sul profilo della costa scrutando l’orizzonte e con le bilance di ottone fra le mani. Nel museo della Civiltà marinara delle Marche alcune foto le ritraggono anche attive nella lavorazione del pesce, in enormi stanzoni dove lavoravano dall’alba al tramonto contribuendo ad apportare un’ulteriore fonte di reddito alle famiglie.
Ampio spazio viene dato alle Corallare come quelle di Torre del Greco dove, nel 1805, nacque la prima fabbrica per la lavorazione del corallo in cui iniziarono, con un regio permesso, a lavorare un centinaio di donne. Le loro mani erano le più abili e delicate per tagliare i rami di corallo più sottili. Alla fine dell’Ottocento su 4000 addetti ai lavori ben 3000 erano donne e questa attività permise a tante di non cadere nella miseria più nera che le avrebbe costrette a prostituirsi.
L’ultimo pannello ci fa immergere nel mondo delle Pirate. Molte donne solcarono i mari, nascondendo le proprie sembianze dentro abiti maschili. Di loro troviamo tracce negli scritti dello storico greco Polibio, nato nel 200 a. C.

Polibio ci racconta di Teuta, regina degli Illiri che solcava le onde del Mare Adriatico depredando ricche navi per alleviare le sofferenze della miseria in cui versava il suo popolo. Una sorta di antesignana di Robin Hood.
Di altre Pirate sono giunte fino a noi solo narrazioni orali. Certa invece l’esistenza dell’irlandese Grace O’Malley (1.503) che entrò in conflitto con la regina Elisabetta. Le due potenti donne , dopo un negoziato, stipularono un accordo che pose fine alle sommosse dei ribelli irlandesi.
Prima di Grace O’Malley, i pannelli raccontano la storia di Jeanne de Bellleville (1300) soprannominata la Tigresse bretone e di altre Pirate dei secoli successivi come Jacquottwe Delahaye, Charlotte de Berry, Ching Shih, Gertrude Imogene Stubis. Storie singolari e affascinanti che invitano ad un percorso di approfondimento e che sicuramente meritano conoscenza.

Nel chiostro del Museo Archeologico di Licata un’altra mostra di Toponomastica femminile racconta le donne protagoniste delle Arti minori. Un suggestivo percorso si snoda fra illustratrici, mastre vetraie, miniaturiste, incisore, scenografe, costumiste, ceramiste e mosaiciste che hanno attraversato i secoli fino ai nostri giorni. Anche in questo caso la mostra è visitabile tutti i giorni fino a sabato 22 Marzo dalle ore 9 alle ore 13.