Salvatore Filippo Vitello: “La nostra festa di Pasqua, non c’è dubbio alcuno, fa parte della autentica pietà popolare, sorretta da una fede genuina”

Nell’approssimarsi della Festa di Pasqua, nella quale tradizione religiosità popolare e identità comunitaria grottese si incrociano in un coacervo di emozioni difficilmente distinguibili, mi pare opportuno per ragioni di chiarezza e di genuino rispetto della fede popolare della nostra comunità operare una netta distinzione tra religiosità popolare e pietà popolare, anche al fine di dare senso e significato alla nostra festa pasquale e distinguerla nettamente da quelle “processioni” che Papa Francesco nella enciclica Fratelli tutti annovera nella categoria di Pedagogia mafiosa.
La pronuncia antimafia è contenuta al punto n. 28 del capitolo primo (Le ombre di un mondo chiuso) dell’enciclica di Papa Francesco, “Fratelli Tutti”, dedicata alla fratellanza e all’amicizia sociale, dove si può leggere testualmente che: “La solitudine, le paure e l’insicurezza di tante persone, che si sentono abbandonate dal sistema, fanno sì che si vada creando un terreno fertile per le mafie. Queste infatti si impongono presentandosi come ‘protettrici’ dei dimenticati, spesso mediante vari tipi di aiuto, mentre perseguono i loro interessi criminali. C’è una pedagogia tipicamente mafiosa che, con un falso spirito comunitario, crea legami di dipendenza e di subordinazione dai quali è molto difficile liberarsi”.
Per la prima volta nella storia della Chiesa Cattolica, in un’enciclica papale c’è la più alta denuncia e condanna contro le mafie e la loro nefasta “pedagogia” di persuasione occulta, aggregazione a delinquere e proselitismo criminale. Un agire mafioso ormai consolidato che continua a riproporsi nella forma di un subdolo e immediato surrogato di falsa giustizia sussidiaria per i più deboli.
Se le mafie sono come sono una grave minaccia anticristiana, capace persino di inquinare, infiltrare e corrompere pezzi antichissimi della religiosità popolare, di penetrare persino in parti della stessa amministrazione temporale del “deposito della fede”, c’era da attendersi questa importante analisi contro le mafie infiltrate anche nella religiosità popolare.
Siamo di fronte a una autentica novità nel magistero dei papi, specialmente di quelli che si sono succeduti dopo il Concilio Vaticano II, che rafforza la pastorale, significativamente elaborata ed acquisita nella prassi di fede e nella catechesi, a volte sofferta fino al martirio come nel caso di Don Pino Puglisi e del Beato Livatino.
“Fratelli Tutti ” entra nella storia della letteratura papale anche in quanto enciclica antimafia che suggella un concetto fondamentale: la pietà popolare e la legalità non possono essere disgiunte.
Pietà popolare e legalità è una problematica internazionale, anche se deriva da realtà locali presenti in determinate zone del nostro paese. Il rapporto tra pietà popolare e religiosità popolare sono aspetti conflittuali. Religiosità popolare non vuol dire fede cristiana. La differenza tra “religiosità popolare” e “pietà popolare”, secondo la lezione di Paolo VI, può essere intesa in un contesto di riflessione sulla fede vissuta dalla gente comune e sulle pratiche religiose che caratterizzano la vita dei cristiani.

1. Religiosità popolare: Questo termine si riferisce a una forma di religiosità che nasce dal popolo, spontanea e radicata nella cultura di un determinato territorio o comunità. È caratterizzata da espressioni di fede che, pur non sempre avendo un fondamento teologico sistematico, sono profondamente sentite e vissute nella quotidianità. La religiosità popolare può comprendere culti, feste, processioni e altre forme di devozione che spesso si collegano a tradizioni storiche locali. Sebbene possieda un valore importante, Paolo VI avverte che la religiosità popolare può essere superstiziosa o folkloristica, distaccandosi dalla comprensione piena e matura della fede cristiana.
2. Pietà popolare: La pietà popolare, invece, è una forma di religiosità più intima e personale che esprime una devozione più consapevole e riflessiva, pur sempre radicata nelle tradizioni popolari. Paolo VI sottolinea che la pietà popolare è una espressione genuina di fede che non si limita a rituali esterni, ma porta con sé un desiderio di approfondimento spirituale e di crescita nella fede. Essa è più legata alla preghiera personale, alla meditazione, alla riflessione sui misteri della vita cristiana e sulla presenza di Dio nella vita dell’individuo. La pietà popolare non si esaurisce in pratiche superficiali, ma apre il cuore alla vera esperienza di Dio.
Paolo VI, nel suo insegnamento, ha enfatizzato che la pietà popolare ha un valore che va rispettato e integrato, ma che è fondamentale orientarla verso una fede più matura e cosciente, capace di comprendere e vivere il messaggio del Vangelo in maniera piena.
La Religiosità popolare esprime certezze che si trasmettono tra le generazioni. Le certezze che riguardano, tra le più importanti,la malattia, la morte ed anche la violenza, si trasmettono, come esercizio esorcizzante, attraverso la religiosità popolare.
Questa è la principale ragione per cui le mafie nel tempo si sono infiltrate nella religiosità.
Le mafie sono sistemi culturali che per esistere, anche come sottosistemi di potere e di violenza, hanno bisogno di Dio.
Le certezze esistenziali degli uomini che riguardano Dio, la vita, la morte sono presenti anche nelle mafie. Queste le troviamo infatti nei riti di iniziazione delle mafie (il santino bruciato con le gocce di sangue dell’affiliato e il giuramento di morte in caso di “tradimento”). Proprio per queste ragioni le mafie hanno bisogno di controllare la religiosità popolare.
Alla religiosità popolare mafiosa si contrappone la pietà popolare. Se le mafie propongono un dio violento la pietà popolare trasmette certezze di amore. Nel rapporto tra uomo e donna la religiosità popolare mafiosa trasmette un modello di patriarcato. Questo comporta, come i fatti dimostrano, che se la donna del mafioso assume ruoli di capo questa diventa più violenta degli uomini. La religiosità vuole affermare una violenza necessaria per il legame sociale. La pietà ci dice che i valori sono l’amore e la solidarietà con il fratello.
La chiesa è impegnata per una fedele espressione della fede popolare ma deve accettare, anche a rischio della vita, di dovere entrare in conflitto con la religiosità popolare mafiosa.
La religiosità popolare mafiosa non esprime la fede pur utilizzando gli stessi strumenti espressivi della pietà popolare, quale appunto le processioni. Questo confronto tra religiosità popolare mafiosa e pietà popolare lo si risolve con l’educazione.
La repressione, anche all’interno della chiesa, è forte ed autorevole, basta per tutti la scomunica pronunciata da Giovanni Paolo II nella piana di Agrigento. La scomunica, stante la finalità di emenda, che è alla base della dottrina penale cattolica, non comporta abbandono della persona ma ricerca di dialogo a fini di recupero. Non sempre ciò si realizza. Può succedere come è già successo che si simili una conversione per eludere la sanzione penale.

La nostra festa di Pasqua, non c’è dubbio alcuno, fa parte della autentica pietà popolare, sorretta da una fede genuina (mia nonna piangeva al passaggio dell’urna). Essa esprime una tradizione viva che non si riduce ad una manifestazione folkloristica.
È un cammino che si sviluppa insieme alla nostra storia. La presenza, mai venuta meno, dei giovani non la riduce ad una mera celebrazione nostalgica del passato. La nostra festa è come una casa comune, ossia il luogo in cui convivono tradizione, identità ed accoglienza, nella legalità. La ricchezza della nostra storia è data dalla enorme vitalità che la festa racchiude, senza cadere nel ripiegamento su noi stessi. Nella festa noi ritroviamo le nostre radici. La nostra è una festa che nasce dal cuore. Ecco perché non è stata mai inquinata dalle mafie. Uno scudo insuperabile contro la presenza mafiosa è stato eretto dai giovani, impegnati nella festa, quale che fosse la loro provenienza sociale, che hanno permesso ad essa di mantenere l’autentica ispirazione cristiana e popolare, impedendo la sua strumentalizzazione per ragioni di potere, talvolta anche contro lo stesso ceto ecclesiastico.
A mio ricordo non mi pare di avere visto sospetti mafiosi sotto l’urna o tra i giudei. Oppure ancora “inchini” dell’urna davanti a certi numeri civici.
La festa non è stata mai in mano a certi personaggi che approfittano di essa e dei soldi per avere potere. Certo non sempre la fede che anima la festa si è espressa in modo cristiano.
Il tema della festa è infatti di natura antropologica. Fa parte dell’uomo e quindi i limiti della natura umana circondano inevitabilmente la festa cattolica. Tuttavia bisogna sempre tendere a recuperare alla festa cattolica lo spirito di una fede liberatoria. Su questo aspetto forse la nostra festa nel tempo ha sofferto dei limiti. Nel passato abbiamo tutti assistito a persone, che dopo aver bevuto ettolitri di vino, si collocavano sotto l’urna, rifiutando di allontanarsi. O ancora alcune condotte violente sfociate in rissa nei pressi dell’urna, durante la processione. Va anche detto che nel tempo, grazie all’impegno dei giovani, questi inconvenienti sono stati superati.

Questi segni di cambiamento dimostrano che non ci siamo rassegnati alla disperazione, a quella disperazione che Fellini ha descritto mirabilmente nel film Le notti di Cabiria, dove si racconta la speranza di un sogno di libertà, la resilienza di una donna che, pur vivendo una vita segnata dalla sofferenza e dal disincanto, non perde mai la capacità di sognare e sperare. Il significato del film va al di là della singola storia di una prostituta e si estende alla riflessione sulla condizione umana, sulle disillusioni, ma anche sulla capacità di rinascita, sulla ricerca di amore e di dignità, e sulla lotta incessante contro le ingiustizie sociali. Nel film Cabiria partecipa a una processione religiosa che si svolge a Roma, in cui viene portata in scena la processione del “Corpus Domini”.
La partecipazione alla processione segna un momento di profonda riflessione per Cabiria, che è uno dei pochi momenti in cui si allontana temporaneamente dalla sua vita quotidiana di prostituta e dalla dura realtà che la circonda.
Il cambiamento che la processione le opera è sia esteriore che interiore. In quel momento, Cabiria sembra vivere una sorta di esperienza mistica, un breve allontanamento dalle difficoltà della sua vita. Questo episodio, tuttavia, non rappresenta una vera e propria trasformazione duratura, ma piuttosto una parentesi di speranza e di riscatto emotivo. La processione, con la sua dimensione collettiva e religiosa, le offre una temporanea sensazione di purificazione e speranza, ma alla fine non cambia la sua condizione di vita. La sua ricerca di un amore autentico e di una vita migliore continua, come riflesso della sua eterna speranza e resilienza.
Anche quando potrebbe essere parso che la festa di Pasqua della nostra piccola comunità avesse perso la sua originaria vocazione, siamo riusciti, insieme e con spirito comunitario, senza distinzione di appartenenza. a dare ad essa un volto rinnovato perché nella trasmissione della tradizione non siamo rimasti gli stessi. La festa ci ha cambiato…ed in meglio.
Questa è la nostra forza e il nostro monito di legalità, che giovani come Niria Infantino ed Antonio Diloro (non sono sicuro del cognome o soprannome, ma a Grotte sicuramente hanno compreso di chi si tratta), e tanti altri che non so indicare, ci hanno lasciato in eredità, confidando nell’impegno, nell’entusiasmo e nella responsabilità di tutti coloro che nel tempo si sono succeduti e continuano a succedersi.
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Salvatore Filippo Vitello, originario di Grotte, è Procuratore generale presso la Corte d’Appello di Roma