Fondato a Racalmuto nel 1980

“Vivo la Pasqua di Grotte come una Pasqua Pasoliniana”

Nostra conversazione con Giovanni Volpe. Al noto regista e autore teatrale è stata affidata quest’anno la regia delle suggestive rappresentazioni sacre della Settimana Santa di Grotte.

Giovanni Volpe

Sarà Giovanni Volpe, quest’anno, a curare a Grotte la regia delle rappresentazioni sacre della Settimana Santa. Una antica tradizione alla quale i grottesi sono profondamente legati e portata avanti negli anni con grande cura e passione dall’Associazione “Giudei Andrea Infantino”.

Una tradizione, inoltre, che a Grotte assume un fascino particolare grazie anche alla presenza di un Calvario, ritenuto tra i più belli e suggestivi della Sicilia, che nei giorni in cui si rievoca la passione di Cristo diventa il luogo di riferimento non soltanto dei grottesi ma ache di tanti turisti.

Fare la Regia di una serie di rappresentazioni sacre quali quelle che si mettono in scena a Grotte da decenni e nate attorno a un testo, “Il Riscatto di Adamo di Filippo Orioles, già molto datato se possiamo farlo risalire alla seconda metà del ‘700, non è cosa semplice – sottolinea Giovanni Volpe né, sia chiaro da subito, era mia intenzione”.

“Nel corso del tempo – aggiunge – sulla Pasqua di Grotte sono intervenute sempre più varianti e ritocchi. Non ne ricostruirò la genesi, né è mia intenzione seguire un percorso che filologicamente mi riporti al testo originale. La Pasqua di Grotte, è la Pasqua di Grotte e sebbene attinta al “mortorio” del religioso palermitano mantiene sue delle peculiarità che la rendono unica e la affrancano persino dal testo stesso, benché ad esso sia fedele.

A proposito del testo. Il Riscatto di Adamo è rappresentato in moltissimi comuni, e non solo siciliani, ma da nessuna parte è realizzato come lo si realizza a Grotte. Perché?

I versi dell’Orioles per noi sono fonemi concatenati a restituire il senso di una rabbia, di una compassione, di una crudeltà. Sono un susseguirsi e un inseguirsi di toni ai quali pur sostituendo alle parole una serie di numeri il senso giungerebbe lo stesso e per intero. Questo è avvenuto e avviene perché la trasmissione del testo scritto, sia in senso verticale – il passare dei decenni – che in senso orizzontale – e cioè tra contemporanei – è sempre avvenuto per via orale. Io conosco la “parte” non perché la studio su un copione, ma perché a furia di sentirla e risentirla ne prendo vezzi, vizzi e virtù. Questo a tutto vantaggio del fonema ma spesso a scapito del senso; eppure, benché sia capitato che chi recita non capisca fino in fondo quello che dice, il senso di ciò che dice arriva comunque a chi ascolta, che ne afferra il senso disposto com’è a dare credito sempre e comunque al “sacro”.

Tu sottolinei, inoltre, che se questa Pasqua a Grotte, con le sue rappresentazioni, sacre o profane che siano, non è scomparsa del tutto è merito dell’Associazione “Giudei Andrea Infantino”

Non dirò dei sacrifici, a volte delle lotte, che si sono dovuti sobbarcare per restare fedeli a un’idea, una visione, ma il loro merito più grande e aver creato una vera e propria scuola che è riuscita a tramandare la “tradizione” tutta grottese della messa in scena della Passione e Morte di Cristo alle varie generazioni che sino susseguite – e direi sopravvissute agli anni ’90 e al primo decennio del 2000, dopo il crollo di interesse degli anni Settanta e parzialmente degli Ottanta

Hai scritto che vivi la Pasqua di Grotte come una Pasqua Pasoliniana. Ci spieghi perché

Chiedere a me di fare la Regia di una simile tradizione era una follia a pensarci bene, io vengo dal Teatro della finzione regno della verità, della dizione, della semiotica, della necessità della comunicazione, il Teatro degli autori colti, delle messe in scena secondo canoni e regole stabilite dalla drammaturgia o dalla fantasia autorale, perché chiedere a me? Avrei potuto, ammesso me lo lasciassero fare, in un colpo cancellare tutto, esaltare me stesso piuttosto che la tradizione, ma mi piace pensare l’abbiano chiesto a me perché io sono di Grotte e noto è il mio amore per questa nostra Pasqua, amore che ho sempre manifestato sia nei miei spettacoli teatrali che nei film che ho fatto, sia nel romanzo “Tonino” nel quale dedico pagine centrali nella storia che racconto proprio alla Pasqua di Grotte, Erbesso nella finzione e con lei ai meravigliosi dipinti che il maestro Renzo Collura, grottese anche lui, alla Pasqua ha dedicato nel suo ciclo pittorico Processione delle Ombre. Si, è vero, ho sempre vissuto e tuttora vivo la Pasqua di Grotte come una Pasqua Pasoliniana, in cui il Proletariato celebra la sua Passione nella più nota agonia della storia dell’Uomo. Certo Pasolini, ahimè, non ha vissuto, benché l’avesse profetizzata, la degenerazione della commercializzazione di tutto, feste religiose comprese, io che ne ho potuto verificare le varie derive, continuo però a pensare che la Pasqua di Grotte realizzata da gente che nulla ha a che fare con il Teatro e con lo spettacolo, conservi ancora un non so che di autentico e di spontaneo, per dirla tutta: di ontologico.

Cosa ci puoi anticipare della tua regia

Nella mia “regia”, lungi da me l’idea di far “Teatro”, ho esaltato al massimo la Tradizione, spogliandola dalle incrostazioni pseudo televisive che ne hanno inquinato la parlata, ne hanno addolcito l’impeto, aggraziato l’impatto. E io sono certo, che gli amici dell’associazione Andrea Infantino si sono rivolti a me non in quanto regista, anche, ma in minima parte, ma si sono rivolti a me in quanto grottese appunto, grottese, lo ripeto, amante fino all’inverosimile ( e me lo si consenta, studioso), di questa festa. Piaccia o no, la Pasqua a Grotte ci riporta alle nostre radici, ai nostri bisnonni, nonni, padri e ancora bisnonne, nonne, madri. Lo fanno le cantilene, lo fanno le parole, vissute più che recitate in un certo nostro modo, lo fanno i suoni. Tutto ciò che insomma ci mette in stretto contatto con le nostre radici appunto. Aggiungo che ho accettato a patto di essere guidato nelle mie scelte da due pilastri della Pasqua grottese che a pieno titolo e merito, sulla scia di lu zzi Luigi Lu Tuortu arriva fino a Niria, hanno gestito e gestiscono la Tradizione con tutto il rispetto di cui sono capaci, sono Alessandro Sanfilippo e Calogero Morreale: due mastini di guardia all’ortodossia, anzi la Treccani grottese della nostra Pasqua, i veri garanti del procedere nel tempo senza corruzione alcuna. Con loro a fianco e sempre di comune accordo abbiamo ragionato, sistemato delle cose, riportato il testo a quello originale dell’Orioles ripristinando anche l’annoso problema di un Processo dinnanzi a Pilato preso da altri testi e quest’anno invece ricostruito appunto secondo l’Orioles. Ho cercato con loro di sistemare qualche punto particolarmente lento, rivedere qualche costume, lavorare alle musiche lasciando loro più spazio nella diversità e lì dove il cambiamento è stato un po’ più evidente, come tutti i restauratori, si è lasciato visibile l’intervento odierno, talmente visibile che il pubblico non potrà non accorgersene, ma di questo non anticipo niente…

Chi saranno gli interpreti

Quest’anno la “squatra” (gli interpreti) è di gran lusso, tutti in età, tutti con esperienze pregresse e tanta, tantissima voglia di mettersi in gioco e tanta maestria nel farlo. E poi tanti giovani, non ne vedevo così tanti e tutti insieme, a Grotte, da decenni e con l’impegno di tutti quanti i coinvolti – non cito nessuno perché non voglio fare dei torti – con l’impegno di tutti, ma proprio tutti, dalle maestranze ai vari staff, si è lavorato con entusiasmo e dedizione consapevoli della giusta causa che stavamo condividendo.

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