Il racconto di Elena Musso secondo classificato alla ottava edizione del Concorso letterario nazionale “Raccontami…o Musa”

“Figlia di un sogno” è il racconto di Elena Musso secondo classificato alla ottava edizione del Concorso Letterario Nazionale “Raccontami, o Musa”, bandito dalla Associazione culturale Musamusìa di Licata, presieduta da Lorenzo Alario, in collaborazione con la testata giornalistica online Malgradotuttoweb. Direttrice artistica del Concorso letterario la prof.ssa Angela Mancuso. Presidente della giuria Raimondo Moncada
“Figlia di un sogno”
di Elena Musso
Da bambina pensavo che le stelle fossero i sogni degli uomini che raggiungevano la luna per riuscire a realizzarsi. Erano così tanti gli abitanti della terra a sognare, che sembrava davvero realistico pensare che potessero riempire l’universo di quei puntini luminosi che trapuntano il blu del cielo e che gli abitanti della terra affidassero i loro desideri alle scie luminose delle stelle cadenti.
Doveva essere successo così a mia madre e mio padre, una sera d’estate. “Realizzeremo il nostro sogno!”, si erano detti.
Non avevo ancora sogni io, quando nacqui. Mi accolse un mondo asettico, senza odore di madre e senza suono di ninne nanne. Non ne sapevo nulla di sogni. Ma forse, nel vagito insistente nascondevo un richiamo, il desiderio di amore. E quell’embrione di sogno che, senza saperlo, stava sotto il cuscino della mia culla senza pizzi e trine, se ne volò nel cielo per diventare stella. Una piccolissima stella con un cuore di luce che incontrò una stella grande e luminosa che era il sogno di un uomo il quale, nonostante la vita lo mettesse spesso alla prova, non aveva mai smesso di sognare.
Era sempre stato affetto da un inguaribile ottimismo e aveva lottato per raggiungere ogni obiettivo che si era prefissato, senza mai perdersi d’animo.
Si era innamorato di quella ragazza piccola, minuta, dai lineamenti delicati e stringendola al suo cuore ve l’aveva chiusa dentro, proteggendola per sempre. Dal loro primo sì, nulla mai li aveva separati. Anzi, ogni nuova battaglia da affrontare insieme li aveva uniti ogni giorno di più. E sopra ogni cosa li legava la voglia di diventare genitori.
Un tavolo e quattro sedie, qualche pianta e poco altro arredavano la loro prima piccola casa ma anche lì avevano sognato un figlio a riempire le loro giornate.
Quando uscirono dallo studio medico lui abbracciò sua moglie e le disse: “Tranquilla, noi saremo genitori in un modo o nell’altro!”
Da quel momento, ogni giorno era stato pervaso da quel sogno e dalla certezza che lo avrebbero realizzato. Perché i sogni lo sanno da chi andare per diventare realtà, per regalare la felicità.
Ed ora erano dietro quella enorme porta a vetri, emozionati per l’incontro che li attendeva. Non stava più nella pelle. Stava per conoscere sua figlia, un momento aspettato da sempre. L’aveva concepita così, con la forza del pensiero dal primo giorno di vita insieme a sua moglie. Lui, istintivamente, le avvolse il braccio attorno alle spalle, quasi a proteggerne le emozioni che la agitavano dentro.
Non appena entrarono nella grande sala illuminata da ampie finestre, i miei occhi si fecero enormi e li fissai, mentre stavo tra le braccia di una donna con una divisa bianca. Lui, spinto da una forza di irrefrenabile amore si lanciò in avanti, a braccia aperte. Quello che lanciai, tuffandomi in quelle braccia protese verso di me, sembrò quasi un urlo liberatorio. Lui, tenendo la sua guancia appoggiata sulla mia piccola gota morbida, disse a sua moglie: “Amore, nostra figlia!”
Fu così, stretti in un unico abbraccio, che diventammo famiglia.
Fu molto tempo dopo che scoprii di essere figlia di un sogno. E i sogni, quando sono così grandi e speciali, possono anche fare paura. Ciò che si sogna sembra, a volte, così lontano dalla realtà che anche quando si realizza, pare irreale. Mi sentii irreale anch’io.
Mi guardai allo specchio e mi vidi quasi trasparente, ineffabile nel trambusto del mio essere che, ad un tratto, si percepiva sogno. La sensazione ancestrale dell’istante in cui un ventre inospitale mi aveva messa al mondo si impossessò dei miei pensieri. Immaginai una lotta contro natura a cui avevo dovuto, inevitabilmente, soccombere e quella sensazione di vuoto, di abbandono che il mio insieme di sangue, carne e ossa aveva sentito nel limbo in cui ero precipitata.
Furono giorni di domande e paure per risposte che risuonavano, comunque, senza senso. Furono giorni di silenzio e solitudine. Furono giorni senza sogni.
Fu una sera, coi gomiti e i pensieri poggiati sulla ringhiera di un balcone che, dopo tanto tempo, mi accorsi di nuovo delle stelle. Eccole lì, custodi dei sogni del mondo. Improvvisamente, sentii staccarsi da me ogni sensazione di paura e smarrimento che nell’ultimo periodo era diventata una zavorra pesante che mi inchiodava a terra, mente e corpo. Sentii schizzarmi fuori dal cuore quel grido del momento in cui mi ero lanciata, per la prima volta, tra le braccia di mio padre, verso lo sguardo trepidante di mia madre. Mi resi conto che tutte le mie domande trovavano la loro risposta in quel momento preciso. Sì, ero figlia di un sogno. Un sogno così grande che era stato capace di farsi realtà , di rendere me reale, togliendomi da quel limbo di abbandono in cui ero rimasta, in attesa di nascere davvero. Ero figlia di un sogno. In fondo, a pensarci bene, tutto l’Universo deve essere il sogno di Qualcuno che pervaso da un Amore assoluto, caparbio e volitivo, ha fatto in modo che quel sogno straordinario diventasse realtà. Siamo il sogno di qualcuno, tutti quanti. Sogni che si intrecciano e si nutrono del desiderio costante di realizzarsi.
Fu così che nacqui davvero, nel sogno caparbio di mio padre e mia madre che mi fecero realtà col loro Amore. E sono ancora qui… Anch’io a sognare.