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Il 25 Aprile e la nostra Costituzione, nata dal sacrificio dei partigiani

In questa giornata di festa non si tratta solo di fare memoria del passato, e neanche solo di commemorare caduti, ma di fare un bilancio su come e quanto si sia continuati a liberare o invece si sia rimasti fermi o addirittura caduti all’indietro

Salvatore Filippo Vitello

«Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero, perché lì è nata la nostra Costituzione».(Piero Calamandrei, 26 gennaio 1955)

La nostra Costituzione, come ci ha ricordato Calamandrei, uno dei padri costituenti, è nata dal sacrificio dei partigiani, dalla lotta di liberazione contro il fascismo, da una scelta di campo contro un regime autoritario, razzista, che non esitò a schierarsi con i nazisti per schiacciare la dignità degli uomini e asservire altri popoli.

Nel celebrare il 25 aprile, questo significato profondo, costitutivo della nostra democrazia, non può essere ridotto a pura liturgia. Esso è un impegno concreto e attuale che chiama tutti i cittadini alla responsabilità individuale e collettiva. Il 25 aprile è la matrice e la ragione profonda della nostra Costituzione, che ha accomunato le diverse culture nei valori dell’antifascismo, perché essa è una Costituzione antifascista. Lo è perché ripudia la guerra; perché rifiuta la discriminazione fra gli uomini; perché vuole una società inclusiva che ripudia le disuguaglianze ed i privilegi;  perché vuole la sovranità del popolo in istituzioni democratiche; perché afferma e garantisce il prevalere della legalità contro l’oppressione criminale della mafia, della corruzione, del malaffare, del dominio e della sopraffazione.

In questa giornata di festa non si tratta solo di fare memoria del passato, e neanche solo di commemorare caduti, ma di fare un bilancio su come e quanto si sia continuati a liberare o invece si sia rimasti fermi o addirittura caduti all’indietro. In questa riflessione bisogna chiedersi quali siano le cause realistiche delle sofferenza sociali e che parte se ne ha nel produrle.

La “liberazione” è un processo continuo, che deve continuare di generazione in generazione. Le nuove generazioni devono faticosamente riappropriarsi di quella cultura e le più anziane hanno il dovere del magistero democratico verso le prime. Si tratta, allora di ragionarci sopra. E si ragiona dialogando e, naturalmente, radunando gente disposta a farlo. Se ogni persona pensa di poter bastare a se stessa, come talvolta accade, allora la cosa non funziona e neanche inizia. E’ paradossale che non si riesca a trovare elementi di confronto e condivisione tra le forze politiche, là dove tutti sembrano convergere sul ruolo che la guerra di liberazione ha avuto nella costruzione della nuova democrazia italiana e sul ruolo della nostra democrazia nella costruzione dell’Unione europea

In campo politico, nella specie nel ragionare sui fondamenti istituzionali dello Stato, quindi per la riforma delle istituzioni pubbliche per rinsaldarvi processi democratici che appaiono in forte crisi, ravvivandovi la partecipazione popolare, occorre un confronto ampio ed aperto tra tutti gli orientamenti culturali presenti nel nostro panorama socio-politico. In questo “nostro” 25 aprile chiediamoci che apporto abbiamo dato nell’anno trascorso dalla precedente “festa” all’evoluzione dei processi democratici verso forma più avanzate di liberazione dalle sofferenze sociali, in un clima geopolitico caratterizzato da morte e desolazione. Come abbiamo contribuito a contrastare i progetti di dominio, oppressione e di morte insiti nelle dinamiche delle superpotenze.
In che misura abbiamo esteso i diritti sociali delle persone che nelle varie e multiformi società appaiono destinate a vivere nelle “periferie esistenziali”. In che misura si è riusciti a far comprendere la democrazia alle generazioni più giovani. In che misura abbiamo contribuito a raggiungere una coscienza più realistica delle sofferenze sociali.

E, soprattutto, per concludere, chiediamoci se sentiamo ancora il dovere morale di agire per la liberazione da tutte le forme di oppressione che tendono a conculcare la libertà dell’individuo, violando il dovere universale del rispetto dell’uomo e della sua dignità.

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Salvatore Filippo Vitello

Procuratore generale presso la Corte d’Appello di Roma

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