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La cucina siciliana tra storia e curiosità. “Frascatula”

Da Santa Elisabetta, piccolo centro dell’Agrigentino, un gustoso piatto dal sapore d’altri tempi

Antonio Fragapane

Esistono itinerari enogastronomici siciliani poco conosciuti (o ancora inediti) chiamati “Strade del Vino” o “Vie dei Sapori”, percorsi che spesso coincidono con molte delle arterie viarie che solcano in lungo e in largo la nostra isola. Le stesse strade che tutti noi ogni giorno percorriamo, magari senza conoscere quale importante veicolo di promozione e valorizzazione possano invece costituire per la nostra terra. Ed è in una di queste ipotetiche “Vie” – molte delle quali ancora tutte da creare – che emerge un prodotto gastronomico tipico di un piccolo paesino dell’entroterra agrigentino, Santa Elisabetta, dove alla rinomata tradizione (e produzione) casearia, si affiancano particolari ricette provenienti direttamente dagli anni in cui l’economia locale era basata in buona parte sulla lavorazione della terra.

Oggi scriviamo, infatti, della Frascatula, ovvero una particolare crema ottenuta con farina di grano duro unita all’acqua con cui, precedentemente, vengono lessate (a volte anche con l’inedito utilizzo di aglio) le verdure caratteristiche delle nostre terre e reperibili in base alla stagione: dal finocchio selvatico al pomodoro, dal cavolo alla carota, con l’aggiunta finale di un filo d’olio extra vergine d’oliva e, secondo i gusti, anche di una grattata di pecorino stagionato, il tutto per far rivivere i sapori genuini dell’antica cucina contadina siciliana.

La Frascatula ha il grande merito d’essere una ricetta molto semplice ma dal notevole valore organolettico che non ci si aspetta: unisce, infatti, un sapore d’altri tempi a una consistenza morbida e vellutata, sapida e avvolgente, una goduria al palato. Presente in lontani ricordi gastronomici anche delle province nissena ed ennese (dov’era però genericamente conosciuta come “Farinata” o “Polenta siciliana”), una sua importante traccia scritta la si ritrova nell’opera di Michele Amari Storia dei Vespri Siciliani, dove il famoso autore riporta l’episodio che vide protagoniste le donne di Messina che sfamarono i loro soldati con acqua e polenta durante uno degli assedi delle truppe francesi proprio alle mura della città peloritana nel 1282. L’origine della Frascatula risale infatti a un periodo della storia isolana durante il quale le condizioni economiche non garantivano alla maggior parte delle famiglie l’acquisto giornaliero di ciò che serviva loro per sfamarsi, quindi ci si arrangiava come meglio si poteva, reperendo tutto ciò che la natura metteva liberamente a disposizione, a volte – soprattutto al ritorno dalle faticosissime giornate di lavoro – letteralmente “rastrellando” i bordi delle strade e dei vicoli, dove anche al solo girare di un angolo ci si poteva imbattere in vere e proprie coltivazioni spontanee.

Ma è proprio a Santa Elisabetta che la Frascatula si caratterizza e si contraddistingue in quegli anni, economicamente poveri (e a volte poverissimi) ma al contempo ricchi d’iniziativa e creatività culinarie, tanto da unire l’immediata disponibilità degli ingredienti a una notevole velocità di realizzazione, che nella vita dei campi e dei pascoli è stata da sempre una componente fondamentale di qualsiasi piatto.

Oggi, a dimostrazione del cambiamento dei tempi, nella ricetta della Frascatula è stato inserito anche l’uso del soffritto di pancetta, un tocco di modernità che aggiunge certamente più gusto alla pietanza ma che la allontana dal sapore originario, cui invece invitiamo i lettori ad approcciarsi.

La Frascatula (termine la cui etimologia potrebbe essere fatta risalire all’etimo latino fractata, ovvero “tritata”, in riferimento all’uso delle verdure sminuzzate nella preparazione) rappresenta attualmente uno dei tanti piatti siciliani ingiustamente molto poco conosciuti al di fuori del loro locus tipico, in cui vantano sì la peculiarità della tradizione ma dove, al contempo, non sempre sono oggetto di una autentica ed effettiva riscoperta gastronomica, che invece sarebbe auspicabile anche alla luce della possibilità – come si scriveva poco sopra – di poterne creare delle “Vie dei Sapori” finalizzate a promuovere e valorizzare il reale valore di specialità dall’origine antica e semplice ma dal sapore assolutamente accattivante.

 

 

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