LA MEMORIA Lo schizzo, oggi conservato nella casa-museo Sciascia di Racalmuto, ritrae lo scrittore alla “Tavolozza” e fa rivivere la passione per i luoghi diventati punti cardinali dei soggiorni dello scrittore a Palermo. Una storia di chiacchiere, amici e incontri
Si può solo immaginare la scena: Mino Maccari e Leonardo Sciascia alla galleria “Tavolozza”. Stanno per presentare il catalogo delle opere del celebre pittore senese esposti in varie mostre alla galleria di Vivi Maggio Caruso, che dalla metà degli anni Sessanta contribuì, con la sua rinomata galleria d’arte, al risveglio culturale della città.
Il celebre pittore, estroverso e disinvolto, recupera un esemplare del libro appena stampato con la copertina verde. Sul contro-frontespizio Maccari inizia a disegnare. Due spadaccini con abiti settecenteschi. Uno è Sciascia, l’altro è Maccari: porgono un fiore a Vivi Caruso appoggiata ad una grande tavolozza. Lei splendida, in posa come un’attrice americana, mentre fuma l’ennesima sigaretta. Su un tavolino basso un telefono, un bicchiere e una bottiglia di whisky. E poi la dedica firmata dallo scrittore e dal pittore: «Presentatore e Presentato presentano i loro omaggi alla Presentatrice».
Era l’autunno del 1970, esattamente cinquant’anni fa. La signora Vivi, per anni compagna di Bruno Caruso, rifilò la pagina e incorniciò il pregiato disegno (inchiostro su carta, cm 23,3 x 17). Un pezzo unico rimasto conservato per lungo tempo nella sua casa, accanto alle opere di Chagall, Morandi, Guttuso; poi donato a Leonardo La Rocca, il gallerista grande amico della signora Vivi che ha raccolto l’eredità artistica di Bruno Caruso, occupandosi della divulgazione delle opere del celebre pittore siciliano, creando l’Archivio Caruso.
Il disegno di Maccari firmato anche da Leonardo Sciascia, una vera rarità per intenditori e appassionati, finisce adesso, grazie al bibliofilo Pippo Di Falco, in una parete della casa-museo di Racalmuto dove visse per lungo tempo lo scrittore che a Maccari, nella primavera di quel 1970, dedicò tra l’altro un numero di “Galleria”, la rivista dell’editore nisseno Salvatore Sciascia, da lui diretta.
«Vivi teneva questo disegno a casa – ci racconta Leonardo La Rocca, il gallerista di via La Farina – e ogni volta che ne parlava ricordava la differenza tra Sciascia e Maccari, quant’era riservato e timido lo scrittore, l’opposto di com’era invece il pittore. Che sia finito nel paese di Sciascia, in quella casa dove da giovane ha scritto, a beneficio di tutti, credo sia il regalo più bello che potessimo fare allo scrittore per i suoi cento anni».
Maccari, Sciascia e Vivi Caruso. Un sodalizio vero. La signora Vivi trascorreva persino il Natale a casa Sciascia, come spesso facevano anche Maurilio Catalano, Giancarlo e Flora Gazzaniga e altri: «Lo adoravo – disse anni fa Caruso alla studiosa Lavinia Spalanca – è stata una perdita grande per il Paese. Capiva tutto, gli dicevamo sempre che era un indovino. Rispondeva: “io non sono un indovino, due più due fa quattro”».
Questo disegno di Mino Maccari, appartenuto all’amica gallerista e altri che fece probabilmente quella stessa sera, come quello dedicato all’avvocato Angelo Perna, grande amico di Sciascia, reso pubblico recentemente da un’iniziativa lodevole degli “Amici di Leonardo Sciascia”, restituisce non solo i sentimenti di amicizia di grandi uomini e grandi donne che frequentavano le gallerie d’arte in quel periodo, ma la vivacità e l’atmosfera che c’era negli ambienti culturali negli stessi anni in cui si devastava urbanisticamente la città.
Erano gli anni in cui Sciascia da Caltanissetta si trasferiva nell’irredimibile Palermo: «Ci sto come en tourist», scrisse, definendosi un “regnicolo”, così chiamati dai palermitani «i siciliani nati in altri luoghi dell’isola».
Eppure il maestro di Regalpetra seppe ritagliarsi in città un percorso minimo, quasi disegnando un paese all’interno della città, delimitato da pochi luoghi: il giornale L’Ora, la casa editrice Sellerio, librerie e biblioteche, e le gallerie “Arte al Borgo”, “La Robinia” e “La Tavolozza”, quest’ultima frequentata assieme a Renato Guttuso e dove per la prima volta fu esposta l’ormai celebre “Vucciria”.
In una Palermo che offriva spesso – come scrive Felice Cavallaro ricordando tra le pagine di “Sciascia l’eretico” quegli anni con le stesse parole dell’autore del Contesto – uno spettacolo indecoroso con l’immondizia che arriva alle ginocchia e la mafia alla gola, Sciascia divide il pomeriggio e la sera tra le gallerie d’arte e la “Sellerio”, quasi fossero circoli di paese, come quello che lui frequentava sin da ragazzo a Racalmuto, raccontato nelle pagine delle Parrocchie di Regalpetra. Salotti artistici e letterari, luoghi sacri della conversazione, veri cenacoli animati dalla presenza del grande letterato scomparso il 20 novembre di trentun anni fa.
«In galleria si parlava – ricordava Maurilio Catalano, uno dei fondatori di “Arte al Borgo” – e ci divertivamo pure. In occasione delle prime inaugurazioni, per risparmiare e per darci un tocco di originalità, offrivamo, al posto di tartine e spumante, patate bollite ancora fumanti e vino… E parlavamo tanto e di tutto».
«In queste gallerie lo scrittore legò molto con alcuni artisti divenuti suoi amici – ricorda ancora La Rocca – amava soprattutto le incisioni di Luigi Bartolini, di Tono Zancanaro, dello stesso Maccari, tutti antifascisti. Oggi non è più così, non ci sono più quei personaggi. Ma vedo un certo interesse tra i giovani. Basta tenere alta la qualità delle opere e magari avere la fortuna di ritrovare un pezzo forte». Come quel pittoresco disegno di Mino Maccari, l’artista-narratore dell’irriverenza, realizzato mezzo secolo fa con la caricatura a se stesso, a Sciascia e a Vivi Caruso, tre personaggi dentro una scena pirandelliana.
da “Repubblica Palermo” del 4 dicembre 2020