Fondato a Racalmuto nel 1980

La cucina siciliana tra storia e curiosità. “Manna”

Speciale Natale. Molto usata in pasticceria, se ne ottengono torte e biscotti, delicati torroncini e gustosissime creme, diventate la farcitura più caratteristica dei panettoni artigianali di Castelbuono, celebri ed esportati in tutto il mondo

Antonio Fragapane

Esiste una pianta che suda. Non ci credete? E allora seguiteci. Facciamo un salto indietro nel tempo, ormai ci sarete abituati, anzi, approfittiamo di queste righe per scusarci del jet lag che vi causiamo ogni volta. Dicevamo del ritorno al passato, IX secolo d. C., quando in Sicilia ebbe inizio la dominazione dei saraceni. Abbiamo già stilato il lungo elenco di ingredienti, prodotti, leccornie e metodi di lavorazione che gli arabi, in trecento anni, importarono sulla nostra isola. Adesso, aggiungiamone un altro, una linfa estratta con un sistema molto particolare e da un preciso tipo di albero, il frassino. Il prodotto di cui stiamo scrivendo è però molto più antico della sua introduzione siciliana, nell’area mediterranea è infatti conosciuto da millenni, tanto da essere stato citato – e utilizzato – in un famosissimo passo della Bibbia (Libro dell’Esodo, il secondo del Pentateuco, dove però ci si riferisce alla tipologia leggera e “volatile”, molto diffusa in Medio Oriente): Mân Hu – letteralmente “cos’è?” – si chiesero infatti gli ebrei sotto la pioggia di una sostanza mai vista, ma buonissima da mangiare e che li salvò nel loro peregrinare in mezzo al deserto, guidati da Mosè. Ed ecco svelato, quindi, un primo mistero, ovvero l’origine del nome della protagonista di questa storia: la Manna.

Ma ritorniamo ai saraceni che ce la fecero conoscere (la prima traccia scritta è contenuta in un Diploma messinese del 1080). Le sue importanti proprietà, lenitiva e lassativa in primis, conosciute e molto apprezzate anche da greci e romani (questi ultimi la definirono “miele di rugiada”), determinarono la decisione dei conquistatori arabi di adibire una buona fetta di territorio isolano alla coltivazione dei frassini, così da poterne estrarre la maggiore quantità possibile, attività che – tra l’altro – resistette per oltre un millennio, fino a quando, negli anni ‘50, ne venne creata una variante sintetica, quindi non naturale ma molto più economica, che causò la quasi estinzione della “cultura della coltura” della manna, che però continuò a essere presente (e tutelata) solo in un ristrettissimo fazzoletto di terra siciliana, nelle Madonie, tra i paesi di Castelbuono e Pollina. Ed è proprio lì che nasce quello che è stato ormai ribattezzato “l’oro bianco di Sicilia”.

L’estrazione della manna, ancora oggi, viene effettuata in maniera totalmente artigianale e tale sapienza è gelosamente tramandata di padre in figlio, tanto che gli ‘ntaccoluori (gli “incisori”) possono essere contati sulla punta delle dita di un paio di mani. Il suo periodo di raccolta è l’estate, luglio e agosto, ovvero quando la produzione di zuccheri dei frassini è al massimo livello e, inoltre, l’attività deve essere svolta nelle ore più calde della giornata. Gli alberi vengono incisi sempre nello stesso lato della corteccia con particolari coltelli (mannaruòli) e alla base dei tagli sono inserite delle canalette metalliche su cui scorre la resina che, a contatto con l’aria, si solidifica. Ad ausilio delle canalette, per raccogliere anche la manna che dovesse cristallizzarsi oltre le stesse, in loro corrispondenza vengono sistemate a terra delle foglie di fico d’India su cui si accumulano eventuali residui di prodotto, alla vista veri e propri “cannoli” (così chiamati, infatti) di bianca manna. Dopo la raccolta, questi ultimi ricevono una prima asciugatura di venti giorni, cui ne seguirà una seconda nel mese di settembre: fatto ciò, la manna madonita sarà pronta per essere utilizzata.

E allora, eccoci al dunque. Una delle sue proprietà è anche quella detossificante, al giorno d’oggi considerata una qualità dal valore incalcolabile per un prodotto alimentare che al contempo è anche un dolcificante naturale (grazie al fatto che il suo componente principale è il fruttosio). Infatti, l’uso che se ne fa – da qualche decennio a questa parte – è quello in pasticceria, dove la si sperimenta in torte e biscotti, ma se ne ottengono anche ottime praline, delicati torroncini e gustosissime creme, queste ultime diventate la farcitura più caratteristica dei panettoni artigianali di Castelbuono, divenuti molto celebri ed esportati in tutto il mondo.

Perché un dettaglio che forse potrebbe sfuggire, in un mondo globalizzato e dalle innumerevoli sollecitazioni come il nostro, è che da anni sono presenti anche i panettoni artigianali siciliani, certamente in debito con la tipica ricetta meneghina, ma non meno squisiti e dagli ingredienti ricercati. Aspetto, quest’ultimo, che in una regione come la nostra – modestie a parte – ci permette di primeggiare come nessun altro nel mondo. Infatti se ne possono assaggiare letteralmente di tutti i tipi, dai classici con uvetta e canditi di Sicilia ai mandorlati di Avola, da quelli alla crema di Pistacchio di Bronte (DOP) o di Limone di Siracusa (IGP) e zenzero fino alle farciture di nocciolata delle Madonie, Cioccolato di Modica (IGP) o gelsi dell’Etna. E poi ancora, aromatizzati al Marsala o allo Zibibbo, alla rosa e fico d’India, all’albicocca, alle pere, ai frutti di bosco, alle castagne fino alla manna, appunto. Troppa grazia? Beh, allora scusateci, ci è sfuggita la penna…

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