Una pietanza che mette d’accordo tutti e in grado di poter soddisfare anche i palati più esigenti. Perché ha più nomi
Oggi, da queste righe, vogliamo lanciare una “sfida” (i lettori vanno sì coccolati ma, ogni tanto, anche stimolati…). Le protagoniste della storia di cui leggerete possiedono un record non da poco, forse unico nel panorama gastronomico siciliano, aiutate dal fatto che sono ripiene di ingredienti che spaziano quasi nell’intero arco culinario isolano e, soprattutto, perché è possibile trovarle praticamente ovunque. Mettono d’accordo tutti e sono senz’altro in grado di poter soddisfare anche i palati più esigenti: signore e signori, ecco a voi la Miscateddra. A questo punto, però, mezza Sicilia (più o meno) non saprà di cosa si stia trattando, quindi eccovi l’altro nome: la ‘Mbriulata. Perfetto, adesso che abbiamo recuperato anche l’altra metà (più o meno) dei nostri corregionali, possiamo iniziare.
Ma ora viene il difficile. Eh sì, perché le linee di pensiero sull’argomento sono molteplici e tanto radicate nelle tradizioni dei territori. In buona sostanza: giammai confonderle, quindi che si pizzichino pure queste corde, ma molto delicatamente. Scritto ciò, procediamo per gradi. Entrambe, sia la Miscateddra che la ‘Mbriulata, sono delizie da forno che possono stare comodamente in una mano (la pasta con cui sono preparate, infatti, è strategicamente arrotolata su se stessa), rendendo ancor più semplice gustarle, in compagnia o anche da soli. L’idea, che appartiene alla insostituibile cucina popolare siciliana, fu concepita – ormai qualche secolo fa – per poter permettere, con pochi ingredienti tra quelli facilmente reperibili, di creare un pasto il più possibile completo e che si potesse conservare anche nei giorni successivi alla sua cottura, quindi consumabile dappertutto, all’interno delle mura domestiche così come nei campi, magari all’ombra di un ulivo secolare.
Ma perché due termini per identificare la (quasi) stessa pietanza? Vi sarete giustamente chiesti. Ebbene, intanto è ormai chiaro che la Sicilia è bella perché è varia. Battute a parte, i nomi utilizzati sarebbero anche più di due ( ‘Mpignulata, ‘Nfriulata, ‘Nfigghiulata o anche ‘Ngirata), ma tra tutti questi, nel corso dei molti decenni succedutisi, hanno prevalso i primi due che vi abbiamo indicato. Certamente, la “filosofia metodologica” – che le riguarda entrambe – è la stessa: un piatto unico, all’inizio pensato e preparato con gli ingredienti “poveri” disponibili sul momento, ma poi nel corso del tempo sempre più ricercati e vari. Un melting pot gastronomico degno di una terra che della mescolanza culinaria ha fatto una qualità indiscutibile. Ma la differenza sostanziale tra le due sta nell’impasto, che però è sempre una classica pasta di pane: quello della Miscateddra (la cui etimologia è riferibile al verbo latino miscere, ovvero “mischiare”) è lavorato a tal punto da poter essere steso così sottilmente da sembrare, subito dopo la cottura al forno, una sfoglia. Ed è proprio su quest’ultima che ci vogliamo soffermare un attimo, vista la peculiarità. La sua esclusiva tecnica di preparazione è questa: sullo scanaturi (il piano di lavoro) la farina s’arrùscia (si mescola) con l’olio e si crea la funtana, costituita dalla stessa farina di grano duro (da cernere col crivu di sita), acqua, sale e lievito madre (‘u criscenti, che si ottiene lasciando di volta in volta un pezzetto di pasta ad annagrìri), lavorati poi da sapienti mani che restituiscono un impasto da dividere in sezioni (pinni). Queste ultime, dopo essere state coperte e lasciate a lievitare, si percuotono leggermente con le dita e solo se “rintuonano” saranno allora pronte per poter essere lavorate col sagnatùri (mattarello), creando una vera sfoglia talmente sottile da renderla unica. Nella ricetta originale della Miscateddra la farcitura è formata da verdura (‘i zarchi, ovvero le nostre bietole selvatiche), olio extra vergine d’oliva, cipolle, patate, olive nere (passuluna) e tocchetti di salsiccia privati del budello. E dopo tanto lavoro, appena uscita dal forno, ecco assistere alla meraviglia: risulta essere allo stesso tempo fragrante e croccante all’esterno ma, anche, morbidamente gustosa all’interno.
La ‘Mbriulata (la cui etimologia pare possa discendere dal termine greco antico embryon, ovvero “ciò che è racchiuso dentro un involucro”), invece, è sempre costituita da pasta di pane, ma molto meno lavorata e dalla consistenza più spessa ed è farcita con olio extra vergine d’oliva, patate, cipolle, olive (sia nere che verdi) e trito condito di manzo o di maiale. E non mancano le “caratterizzazioni” locali in cui si utilizzano cubetti di mortadella, fino all’uso di verdure come gli spinaci. Insomma, il consueto variegato amalgama gastronomico che tanto stiamo imparando ad apprezzare.
Piccola avvertenza: la Miscateddra e la ‘Mbriulata possono essere consumate sia calde che fredde, secondo i gusti di ognuno, e sarà impossibile non amare quel suono a ogni boccone e non lasciarsi abbandonare alla squisitezza dell’equilibrio che i loro sapori esprimono a ogni assaggio. Allora, che ne dite, sfida all’ultimo morso accettata?!
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