La cucina siciliana tra storia e curiosità
La Sicilia è una terra che da millenni vanta rapporti talmente stretti con alcuni prodotti (poi, infatti, divenuti tipici e caratteristici), da essere entrati nell’immaginario collettivo come sinonimo della nostra stessa isola. E tra queste specialità ci sono certamente i formaggi, di ogni tipo, di ogni sapore e di ogni odore, praticamente un universo parallelo in cui viviamo costantemente.
Iniziamo dall’imperatore assoluto, il Pecorino Siciliano DOP, tipico formaggio di latte di pecora, il cui gusto pungente e marcato dipende dal grado di stagionatura (in ordine rigorosamente cronologico: “tuma”, “primo sale”, “semi-stagionato” e “vecchio”). Ha origini antichissime che lo collocano in Trinacria già a partire dalla metà dell’VIII secolo a. C., in piena dominazione greca, tanto che è indirettamente evocato in alcuni passi dell’Odissea di Omero, oltre a essere stato espressamente descritto da Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia come uno dei prodotti caseari allora più conosciuti, diffusi e apprezzati nell’intera penisola italica.
E adesso spostiamoci sul versante ibleo, dove il più antico formaggio della zona è il Ragusano DOP, a pasta filata dura e prodotto con latte di vacca (tipico dell’area) intero e crudo, di cui troviamo testimonianze scritte già nel ‘500 e il cui sapore vellutato e aromatico lascia spazio al piccante man mano che la stagionatura avanza nei mesi. Il Ragusano era originariamente chiamato anche “Caciocavallo”, perché le sue forme erano posizionate ad asciugare a cavallo di una pertica. Molto simile a quest’ultimo, essendone infatti una specifica variante, è il Cosacavaddu Ibleo PAT (Prodotto Agroalimentare Tradizionale), altro formaggio a pasta filata dura e di latte vaccino ma dal sapore deciso anche a inizio invecchiamento, una cui versione prevede l’uso di estratto di pomodoro e olio extra vergine d’oliva che rendono di un particolare giallo la pasta del formaggio stesso e molto “luminosa” la sua crosta. E sempre nella provincia più a sud dell’isola, a formare un vero e proprio gustosissimo tris locale, viene prodotta la Provola Iblea, formaggio secolare di latte di vacca, dal caratteristico sapore fresco e piacevole, molto gentile al palato, ottimo per ogni occasione: peccato che, ahimè, sia a rischio di estinzione, cosa che ovviamente tutti noi speriamo non avvenga.
Cambiando area geografica isolana e anche periodo storico, si narra che nell’XI secolo, Ruggero il Normanno avesse chiesto ai propri casari siciliani la creazione di un formaggio che potesse curare la pesante depressione in cui era caduta sua moglie Adelasia. Fu così che venne utilizzato lo zafferano, conosciuto proprio come spezia antidepressiva, per la produzione di un particolare formaggio di latte di pecora e a pasta dura: era appena stato inventato il Piacentinu Ennese (che oggi è una DOP), così chiamato in riferimento alla parola dialettale piacentì, ovvero “tutto ciò che piace”. Ma in realtà, di un formaggio prodotto in Sicilia con gli stigmi di zafferano (a cui oggi si aggiungono anche grani di pepe nero), si hanno testimonianze scritte risalenti addirittura al IV secolo d. C.
Altro nostro “campione” caseario è il Canestrato Siciliano, così chiamato in riferimento ai cesti (i canestri, appunto) di giunco utilizzati per produrlo, di cui si hanno testimonianze già a partire dal ‘400 e la cui peculiarità è quella di essere ottenuto da latte indifferentemente vaccino o di pecora, cui si aggiunge sempre però una percentuale di latte di capra. Lavorato con pepe nero o peperoncino, presenta una interessante gamma di sapori che vanno dal dolce al piccante, sempre in base al livello d’invecchiamento.
Spostandoci sui Monti Sicani, nella parte sudoccidentale dell’isola, troviamo il Fiore Sicano PAT, un formaggio di latte di mucca e a pasta molle, unico nel suo genere perché reso peculiare dalle muffe che ne caratterizzano la crosta. E il Fiore Sicano rappresenta un unicum nel panorama caseario isolano anche perché offre al palato un sapore allo stesso tempo dolce ma dal retro acidulo, è cremoso e delicato ma a tratti intenso: quasi una contraddizione in termini, ma tant’è, la gastronomia siciliana è anche tutto questo, “alfa e omega”, “yin e yang”.
Esiste poi un formaggio isolano di cui per quasi un secolo si erano perse le tracce (le ultime risalivano agli anni ‘30 del Novecento), ma la cui produzione, per fortuna, è ripresa negli ultimi anni grazie all’intuizione e alla passione di Salvatore Passalacqua, un casaro di Castronovo di Sicilia (in provincia di Palermo), sempre sui Monti Sicani. Il nome di questa specialità è Tuma Persa, prodotta con latte vaccino e così chiamata perché dopo essere stata inserita nelle forme, viene lasciata maturare per dieci giorni (periodo in cui viene “persa”, ovvero abbandonata), durante i quali la stessa sviluppa delle muffe che saranno lavate, per poi essere salata: alla fine del processo di lavorazione, il gusto è pastoso e leggermente acidulo.
Su un’altra catena montuosa siciliana ha origine invece la Provola dei Nebrodi PAT, un formaggio prodotto utilizzando solo il latte di vacca munto la sera precedente alla lavorazione e poi fatto “riposare” in salamoia per un intero giorno. Di questa provola esiste anche una versione – per così dire – speciale, con all’interno un limone intero che ne andrà a caratterizzare il sapore (e il colore), diretta derivazione dell’aroma dell’agrume.
A Novara di Sicilia (in provincia di Messina), invece, nasce nel ‘600 un caratteristico formaggio di latte di pecora, il Maiorchino (oggi PAT e così chiamato perché originariamente le greggi che ne producevano il latte erano foraggiate con frumento della tipologia “maiorca”), la cui caratteristica principale è data dalla stagionatura lunga fino a due anni, periodo durante il quale la crosta del formaggio è trattata con olio d’oliva. Da segnalare anche la Sagra del Maiorchino, la cui serata finale tradizionalmente è organizzata la sera del “Martedì Grasso” e celebre per il gioco a squadre che vi si svolge: far rotolare una forma del formaggio all’interno di un percorso di due chilometri ricavato dentro il centro storico del borgo novarese.
Ritornando nel sud-ovest siciliano, nel Belìce viene prodotto invece l’unico formaggio siciliano a pasta filata di latte di pecora, la Vastedda della Valle del Belìce DOP, così chiamata perché mantiene la stessa forma dei canestri di giunco usati per lavorarla. In passato, era considerata come la cugina povera del più blasonato e conosciuto Pecorino, prodotta solo quando l’aria troppo calda non permetteva la lavorazione di quest’ultimo. Oggi, invece, ha ottenuto il giusto riconoscimento e risulta essere anche molto gradita grazie al suo sapore fresco e gradevole, effetto di una stagionatura minima.
E in questa rassegna dei formaggi siciliani non poteva certo mancare lei, la ricotta, nella sua particolare versione stagionata e “salata” – che costituisce, tra gli altri, uno degli ingredienti principali della Pasta alla Norma – e in quella “infornata” (entrambe PAT), dal sapore morbido e affumicato, ottima se servita su taglieri in abbinamento ai salumi.
Non c’è che l’imbarazzo della scelta, quindi adesso a voi decidere su quale leccornia casearia puntare e, poi, gustarla: non si accettano scuse!