Fondato a Racalmuto nel 1980

Vi racconto la “mia littorina”

Ricordi. Il suo tragitto, sulla Agrigento – Castelvetrano, era paesaggisticamente straordinario

Linea ferroviaria Agrigento – Castelvetrano (Foto Associazione Ferrovie Kaos)

Ricordo ancora la “littorina”: lei, protagonista assoluta dello scartamento ridotto della nostra scassatissima (e poverissima) ferrovia. Il suo tragitto era paesaggisticamente straordinario. Dalle mie parti, a Sciacca, la littorina si godeva il mare. D’estate era un vero spettacolo. Allo Stazzone si poteva ancora fare il bagno. Prima che tutti scoprissimo che le fogne cittadine confluivano in quella parte di litorale, s’intende.

Il treno, a coprire in tempi più o meno romanticamente biblici il tratto Castelvetrano-Agrigento, era una vera attrazione. Noi bambini l’aspettavamo con le braccia conserte con trepidazione. Rinunciavamo al bagno, permettevamo al sole di bruciare impietosamente le nostre piccole schiene. Eravamo lì, come se quel treno che prima o poi arrivava fosse un essere vivente, provvisto di un’anima. I bambini, d’altra parte, accettano ancora oggi l’idea che un treno possa parlare dispensando consigli o vivendo avventure tra le tavole di un fumetto o tra i fotogrammi animati di un cartone.

Massimo D’Antoni

A rendere così straordinaria la mia littorina erano tante cose. Immaginavo ad esempio che le lucette di posizione fossero i suoi occhi. E li pensavo ora espressivi, ora innocenti. Rassegnati al suo destino, ma anche rassicuranti di fronte alla mia preoccupazione. Come se quegli occhi volessero dirmi che vedeva solo me, riconoscendomi in mezzo alla marmaglia in costume da bagno.

In prossimità delle spiagge il macchinista faceva “fischiare” la littorina: da Capo san Marco alla Foggia, dal Lido allo Stazzone. Era chiaro al mio cuore che il treno volesse attirare l’attenzione dei bagnanti, quasi a voler produrre un ricordo che poi ci saremmo trascinati per la vita, quasi come sapesse che da un certo momento della storia quel transito gioioso sarebbe finito. Perché il tratto Castelvetrano-Agrigento per le Ferrovie dello Stato erano un ramo secco. Sarebbe accaduto nel 1985. All’epoca non si chiamava ancora “spending review”.

La prima volta che vidi sopraggiungere la littorina, forse perché ero davvero piccolo (avrò avuto 3 o 4 anni) mi sentii come un pupazzetto dei modellini, di quelle riproduzioni che in futuro mi avrebbero appassionato, con i paesaggi fatti di passaggi a livello, capistazione inevitabilmente baffuti, casupole tutte uguali, stradine troppo perfette e prati verdi piuttosto improbabili. Il fischio mi impressionò. Così come mi impressionava l’auto di mio zio Ignazio mentre accedeva allo Stazzone dalla minuscola galleria che sorreggeva la strada ferrata.

La littorina era l’anima di una Sciacca che non esiste più. Ci salii sopra solo una volta. Era estate. Andai con mia madre a Siculiana, a trovare la storica zia che aveva preso marito da quelle parti. Fu un’odissea. Ma a me piacque da impazzire. Mi sentivo protetto dalla littorina. Volevo salutare anche io dal treno i bagnanti. Ma le spiagge erano già tutte alle spalle della stazione. Paradossalmente avrei dovuto salire su quella littorina a Castelvetrano. Fui deluso ma mi rassegnai subito.

La littorina (Foto Associazione Ferrovie Kaos)

Una volta mentre attraversavamo il passaggio a livello, la mia amica Maria, più grande di me, mi disse che bisognava stare attenti, perché aveva sentito dire che anni prima una persona era stata travolta da un treno e i suoi resti ritrovati a forma di torta. “Rotonda?” chiesi ingenuamente. “Certo, e come sennò? Quadrata?” confermò lei, da vera canaglia.

Vicino al passaggio a livello c’era la galleria. C’è ancora anche se oggi è sbarrata da un muro di tufo costruito per suggellare la fine di una storia. E insieme alla galleria c’è ancora nelle mie narici il mistero dell’odore di nafta misto alla ferraglia, e alle pietre che occupavano i binari. Immaginavo che all’uscita dalla galleria la littorina avesse un colore diverso: nera, avvolta dalla fuliggine. E invece non era così. La littorina andavo a visitarla anche alla stazione. Abitavo nei paraggi. Andavo al deposito. E qui la osservavo, la toccavo. I faretti mi dicevano che potevo farlo.

La littorina non c’è più. Resta però nella rassegna più cara della mia infanzia.

Da malgradotutto, agosto 2014

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