Don Diego Martorana, il ricordo di Felice Cavallaro
Lo capimmo questa estate che la salute di don Diego Martorana barcollava. Lo capimmo accogliendo nella sua prima visita a Racalmuto, a “Casa Sciascia”, il nuovo vescovo di Agrigento, monsignor Alessandro Damiano, insieme con don Giuseppe Pontillo. Era stato ovviamente invitato don Diego dagli amici della “Strada degli scrittori”. Ma gli acciacchi non gli consentirono quel giorno di stare vicino al pastore della diocesi agrigentina nemmeno per qualche minuto. Si capì quel giorno che presto lo stesso don Diego avrebbe chiesto di essere sollevato dalle incombenze quotidiane. Come accadde con l’indicazione del suo successore, il sacerdote arrivato da Lampedusa, don Carmelo La Magra, il difensore degli ultimi in quell’isola metafora di una tragedia planetaria.
Un compito arduo per il nuovo parroco chiamato a scuotere le coscienze di chi nella città di Leonardo Sciascia, nella Chiesa Madre arricchita dalla storia e dalle tele di Pietro D’Asaro, ha avuto spianata la strada da don Diego e da tanti sacerdoti illuminati anche dalla memoria di un uomo colto e profondo, il compianto arciprete Alfonso Puma, amico e “confessore” di Sciascia, religiosamente laico e laicamente religioso, come oserei dire di entrambi.
Solide tracce di una Chiesa aperta al dialogo, alla comprensione del prossimo, alla contaminazione di culture e fedi, a incroci e sani contagi da trasformare in un percorso di pace e uguaglianza. Questa raccomandazione, questa aspirazione ci sembra di sentire echeggiare mentre don Diego lascia il campo, senza andarsene dalla sua, nostra Racalmuto.