Pochi sanno che il poeta Catullo, in realtà, è nato a Campobello di Licata, in provincia di Agrigento. E pochissimi sanno che non scrisse i suoi versi in latino, ma in siciliano stretto. Catullo aveva un villino a San Leone e perse la testa per Lesbia, moglie di un assessore regionale. Questa inedita pagina della storia letteraria è il frutto delle scoperte dei fratelli Salvatore e Cesare Lo Leggio. Ma quello che sembra uno scherzo, forse non lo è. Perché in dialetto le poesie di Catullo assumono un altro suono. E’ quello che racconta Gaetano Savatteri in questa storia.
Interrogazione di latino. Parliamo di Gaio Valerio Catullo. Sì, bene, ecco: Catullo è un poeta nato nell’84 avanti Cristo, anno più anno meno. Bene, proseguiamo. Catullo nacque a Campobello. Campobello? Sì, Campobello di Licata, provincia di Agrigento. Siamo sicuri? Certo. Catullo crebbe tra Campobello, Canicattì e San Leone, dove suo padre aveva un villino a mare abusivo.
Giovanissimo si trasferì a Palermo dove incontrò la principessa Lesbia, donna raffinata ed elegante, sposata a un assessore regionale: Catullo perse la testa per lei, gli dedicò molte poesie, fin quando non decise di trasferirsi a Linosa per aprire il ristorante “L’esametro”. Benissimo, sa recitarmi qualche verso di Catullo? “Io ti disiu e ti schifiu”. Traduca in italiano: “Ti odio e ti amo”. Ottimo. Promosso.
Uno studente che supera un’interrogazione così è particolarmente fortunato. Ma è ancora più fortunato se incontra un professore come Salvatore Lo Leggio. Il professor Lo Leggio è infatti convinto che Catullo sia siciliano. Non si sa bene da cosa abbia ricavato questa certezza, forse da alcune fonti storiche inedite o da ricerche su antiche epigrafi. Non dite al professore, che ha insegnato per lungo tempo a Perugia prima di andare in pensione, che Catullo è nato a Sirmione, ha vissuto a Roma e forse non è mai stato in Sicilia. Il professore è pronto a dimostrarvi, carte alla mano, in versi e in note, che Catullo non solo è siciliano, ma che viene proprio dallo stesso paese di Salvatore Lo Leggio, cioè Campobello di Licata.
Si potrebbe pure pensare che una fissazione così non trovi molti consensi, soprattutto dentro la famiglia del professor Lo Leggio, magari costretta a sopportare questa sua ossessione. Macché. Il professore ha molti sostenitori ed estimatori, a partire dal fratello più giovane, Cesare, anch’egli trascinato in questa riscrittura della biografia catulliana al punto da mettere in musica i carmi e le odi del poeta veronese – anzi, campobellese – adesso raccolti in un cd che si intitola, guarda caso, “Catullo in Sicilia”.
La premiata ditta Cesare & Salvatore Lo Leggio sostiene infatti che in Gaio Valerio “tutta siciliana è la sua esagerazione, la sua eccessività, nel gesto e nella parola. Esagerato nell’amore ed esagerato nell’odio”.
Certo, ai tempi di Catullo non è che il dialetto siciliano fosse così diffuso. Pertanto il poeta preferì esprimersi in versi latini, gli stessi che si studiano nei licei di tutta Italia (dove però ne viene taciuta la vera origine). Il professor Salvatore si è impegnato severamente per riportare Catullo al suo idioma naturale, quello nativo. E ha recuperato lo spirito “siciliano” del verseggiatore pagano. Lo studente leggerà in latino e in metrica: “Cineade Thalle, mollior cunicoli capillo”. E la traduzione loleggiana suona così: “O’ Tanu garrusazzu tu si na cosa moddra, un pilu di cunigliu”. Oppure il celebre verso dedicato da Catullo all’amante, “vivamus, mea Lesbia, atque amemus”, diventa “futtemu Lesbia e gudemmuni la vita”.
E’ evidente che la scuola italiana, viziata da molti perbenismi, ha censurato a lungo la traduzione autentica di Catullo, forse per non turbare ulteriormente le menti adolescenti già esacerbate dalle tempeste ormonali dell’età. Ma la rilettura di Cesare & Salvatore riporta finalmente alla luce la verità, oscurata per tanti secoli. Prendiamo una delle odi più famose e citate di Catullo, ad esempio. “Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris. Nescio, sed fieri sentio et excrucior”. Genericamente viene tradotta così: “Odio e amo. Tu chiedi come faccia. Non so, ma sento che mi viene fatto e sono in croce”. Ebbene no. La versione originaria è molto più incisiva e calzante: “Io tiu schifiu e ‘ntanto ti disiu. Tu m’addumanni comu pozzu fari, mancu lu sacciu e ‘ntantu iettu vuci, nun sacciu comu è, ma sugnu ‘ncruci”. C’è una bella differenza, no?
Non paghi di questa encomiabile operazione letteraria, Cesare & Salvatore hanno scritto delle musiche inedite, pescando nella tradizione siciliana e hanno cantato le poesie del loro paesano Catullo, accompagnate da chitarre, friscaletti e tamburelli. Promosso dall’Arci, il compact disc, ha in copertina un busto di Catullo che strizza l’occhio con malizia. E accanto, uno che gli rifà il verso, cioè Cesare Lo Leggio. Ma guardando con attenzione è possibile notare la somiglianza straordinaria tra Catullo e il giovane Lo Leggio. E a questo punto viene il dubbio: vuoi vedere che oltre ad essere compaesani, Catullo e i fratelli Lo Leggio sono pure parenti?
Da “Strani nostrani”- 2010 – edito da Novantacento