Fondato a Racalmuto nel 1980

Condividere sui social la propria sofferenza

Lo scrittore Alessandro Baricco l’ha fatto. Con una social pubblica ha confessato la propria grave malattia. E non è l’unico. Perché? Perché alla fine il dolore espresso a parole e condiviso col mondo fa meno male

Raimondo Moncada

Lo scrittore Alessandro Baricco ha condiviso con tutti, con una social pubblica confessione, la propria grave malattia. E non è l’unico. Baricco non è un caso isolato. Ci sono altri personaggi famosi che hanno comunicato al mondo di stare male e di essersi affidati ai medici, alle medicine, alle terapie, alla scienza, all’intelligenza umana, per guarire o aggrapparsi a una speranza.

Conosco anche persone meno famose che lo hanno fatto, pubblicando il proprio stato di salute sul proprio profilo social e aggiornandolo di volta in volta, a ogni passaggio, a ogni stadio, a ogni novità, ricevendo un ritorno di affetto, di incoraggiamento, di sostegno, di abbracci continui, per tutto il periodo di sospensione, di attesa dell’esito sperato. Ho letto in questi giorni il post su Facebook di una giovane donna che, dopo una chemioterapia, ha annunciato, felice, che il suo male si è notevolmente ridotto e ciò consentirà ai chirurghi di operarla nel migliore dei modi e con una percentuale di riuscita (come speranza di vita) altissima. E leggo continuamente i post su Facebook di un’amica siciliana che si fa forza pubblicando notizie e foto su ogni tappa raggiunta.

Anche questa modalità di espressione è considerata terapia: non tenere dentro ma far sentire fuori, all’esterno, agli altri, ogni intensità dei battiti del proprio cuore per continuare con la vita di sempre e non lasciarsi scoraggiare, bloccare, abbattere dall’imprevisto che cade come un macigno lungo la tua strada.

Un’esistenza che inevitabilmente prende una svolta e che racconti, respiro dopo respiro. E ti ritrovi, se continui a essere social, con un destino condiviso su Facebook, su Twitter, su Istangram, che tiene col fiato sospeso familiari e migliaia di amici che chiedono, interrogano, non si stancano di tifare per te e tu rispondi facendoti forza, prendendo la loro forza.

Ma non tutti si lasciano andare all’effetto Baricco che, nell’annunciare prima di ogni altro il suo stop per “una leucemia mielomonocitica cronica”, scrive nei suoi profili social: “Percepisco ogni momento la fortuna di vivere tutto questo con tanti amici veri intorno, dei figli in gamba, una compagna di vita irresistibile, e il miglior Toro dai tempi dello Scudetto. Sono cose, le prime tre, che ti cambiano la vita. La quarta certo non te la guasta. Insomma, la vedo bene. Per un po’ non contate su di me, ma d’altra parte non abituatevi troppo alla cosa perché i medici che si sono ficcati in testa di guarirmi hanno tutta l’aria di essere in grado di riuscirci abbastanza in fretta”.

Accanto a chi condivide la propria battaglia, c’è una realtà umana che sui social non appare, è una realtà invisibile, c’è ma non si vede, c’è ma non parla, si tiene tutto dentro. Ci sono persone che spariscono, perché decidono di vivere il proprio dolore in muto silenzio, condividendolo lontano dai social, nel privato, con i propri familiari, con gli amici che via via lo vengono a sapere per altri canali, incidentalmente.

Pazienti social o non social? Sono due piani differenti, pubblico e privato, in cui comunque racconti il corso di un’esistenza che nel volgere di un istante viene stravolta da un verdetto diagnostico e da un percorso terapeutico obbligato che condurrà all’intervento chirurgico e al dopo, ad un ignoto a cui ti afferri con tutto te stesso, con fiducia o con scoramento perché capita anche che in questo periodo tu sia altro, iper sensibilizzato, con un’emotività che ti scuote al minimo soffio di vento, che ti fa piangere, che ti rallenta ogni minuto di una vita ampliata.

Due modalità di vivere la malattia, lo stare male, l’avere un male, con il senso di impotenza, l’affidamento ai medici e a se stessi perché ti dicono che anche tu, paziente, devi fare la tua parte reagendo da gladiatore, combattendo a viso aperto contro il nemico, non facendoti condizionare, non facendoti rubare il sorriso, vivendo ogni attimo con pienezza e intensità.

Pubblico e privato, non ho consigli su quale strada sia quella giusta. Ognuno sceglie la via migliore per la propria guarigione, per la propria salvezza. E comunque la prolungata assenza social, specialmente quando diventa parte essenziale della tua quotidianità, è essa stessa una continua presenza che comunica senza parole.

C’è sempre la naturale voglia di comunicare e di trovare un sostegno, un conforto, anche scrivendo su un quaderno di carta o su un blog personale o in un foglietto dentro una bottiglia affidata alle onde del mare, anche rivolgendoti a uno psicologo/a, perché alla fine il dolore espresso a parole e condiviso col mondo fa meno male.

 

 

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