Storie. Battezzato a Racalmuto Il 15 marzo 1622, divenuto poi monaco fu condannato a morte dalla Santa Inquisizione e bruciato vivo. La sua storia ispirò poeti e letterati, da Natoli a Pedalino Di Rosa a Sciascia. Viaggio nei luoghi che lo ricordano, dall’ex convento di Racalmuto e dalla grotta dove si nascose fino allo Steri di Palermo
Ci sono luoghi in Sicilia che ancora, nel lungo scorrere del tempo che passa, raccontano antiche trame e misteri, congiure ed eresie di uomini il cui nome non è rimasto avvolto nel silenzio. Se poi rimane qualche traccia anche di antiche carte d’archivio, ed ecco che la Storia riaffiora felice. Come nel caso di un bambino battezzato tra le mura antiche della chiesa dell’Annunziata di Racalmuto il 15 marzo del 1622 il cui nome resterà legato agli anni terribili dell’inquisizione in Sicilia. Un uomo, Diego La Matina, che stregò Leonardo Sciascia, lo scrittore suo concittadino che fece dell’eresia una delle sue armi contro i “galantuomini” del suo tempo. Come fece lo stesso Diego, nato quattrocento anni fa in questo paese nell’epoca in cui due figli di questa stessa terra si distinguevano nell’arte e nella scienza, come il celebre pittore caravaggesco Pietro D’Asaro e il medico Marco Antonio Alaimo, che in quegli anni salvò Palermo e la Sicilia dalla terribile peste.
Diego La Matina nacque nell’anno in cui era signore di queste terre Girolamo II Del Carretto, spietato a quanto pare, che sarà ucciso appena due mesi dopo nel balcone del suo castello. Ancora misteri, ancora tracce di trame gialle d’un tempo. Mandante di quell’omicidio, secondo gli storici, fu il priore del convento degli Agostiniani Riformati. Quel piccolo monastero in cui Diego La Matina entra da giovane fino a diventare diacono. Non un convento qualunque e non monaci del tutto onesti e puri dovevano essere i frati che ci vivevano: «Non era certo – scrive Sciascia – un luogo dove a chi dava uno schiaffo si porgeva l’altra guancia».
A ventidue anni fra’ Diego fu arrestato come un brigante dalla santa inquisizione. La storia ci è nota grazie a Sciascia che nel 1964 pubblicò Morte dell’inquisitore ritenendolo sempre tra i suoi scritti più cari: «Ma non si capisce – scrive – perché dall’Inquisizione, che interveniva di solito in casi di eresia. Comunque, fu quella volta rilasciato. Ma di nuovo arrestato l’anno successivo. Rilasciato ancora, tornò nelle carceri inquisitoriali l’anno appresso, 1646. Processato, ritrattò i suoi “spropositi ereticali” e ne fu assolto: ma con la condanna di andare a remare, non si sa per quanti anni, nelle galere. Ma mentre scontava tale condanna di nuovo cadde nell’eresia… Lo riportarono in carcere, lo riprocessarono, lo condannarono a stare “recluso murato in perpetuo in una stanza”». Fuggì dallo Steri di Palermo, l’indomabile monaco: «Certamente – commentò Sciascia – si rifugiò nella campagna di Racalmuto: nella contrada e nella grotta che portano ancora oggi il suo nome».
Ed eccola ancora lì la grotta di fra’ Diego – di cui restano le memorie dei diaristi dell’Inquisizione, Auria e Matranga, ma anche le più recenti riflessioni dello studioso agrigentino Enzo Di Natali convinto che La Matina sia stato un delinquente a tutti gli effetti – che si apre in una parete rocciosa di sale zolfo e gesso, circondata da tombe sicane. Nel silenzio di questa campagna tra Racalmuto e Montedoro aleggia ancora un’atmosfera di mistero. Che colpì anche Luigi Natoli, l’autore del romanzo popolare Fra Diego La Matina che nell’estate del 1932 visitò Racalmuto, invitato al circolo Unione dal poeta del luogo Giuseppe Pedalino Di Rosa che dell’eretico cantò le gesta: «Stu monacu vivaci era vinutu/di lu cunventu di San Giulianu/chi sullivava tuttu Racalmutu/contra lu fegatariu castiddanu».
Quiete e mistero suscita lo sguardo all’antico monastero degli Agostiniani. Eccolo ancora intatto nella forma. Con le piccole celle, l’atrio interno con una colonna al centro segno di un grande edificio di culto rimasto incompiuto, le stalle, il vecchio refettorio con volte a crociera. Annesso alla chiesa di San Giuliano, dopo le vicende di fra Diego iniziò il lento declino. Rimase agli Agostiniani fino alla fine del ‘700 per poi passare ai gesuiti intorno al 1813 che lo abbandonarono meno di un anno dopo. E non è da escludersi restò, a questo luogo, la macchia per aver avuto tra quelle antiche mura e tra i frati un “eretico”.
Nella seconda metà dell’Ottocento divenne un palazzo privato. Leonardo Sciascia vi mise piede nell’inverno del 1963, accompagnato da un amico, il fotografo Giuseppe Troisi, per documentare i luoghi del frate per il libro che stava scrivendo per Laterza. Andarono anche nella campagna dove si nascose fra Diego e dove poco dopo fu ricatturato: «Riportato nel carcere inquisitoriale, tra la fine di marzo e i primi d’aprile del 1657, gli venne fatto di uccidere, colpendolo con le manette che gli si stringevano i polsi, l’inquisitore di Sicilia don Giovanni Lopez de Cisneros…».
Si è saputo solo anni dopo la morte di Sciascia, grazie alle ricerche d Vittorio Sciuti Russi, che fra Diego uccise l’Inquisitore con un attrezzo di ferro che stava su un tavolo. Così come anni dopo al palazzo Steri, durante i lavori di restauro, fu identificato l’esatto luogo dove fra Diego La Matina colpì il monsignore spagnolo. In una stanza non tanto lontana dalle celle, riscoperte proprio dallo scrittore, le cui pareti raccontano – attraverso scritte e disegni – la pena e i pensieri dei tanti carcerati come fra’ Diego bruciato vivo a Palermo nell’Auto da fé del 17 marzo 1658, esattamente 36 anni dopo la celebrazione nella Matrice di Racalmuto del battesimo di quell’uomo che, secondo Sciascia, afferma «la dignità e l’onore, la forza del pensiero, la tenacia della volontà, la vittoria della libertà».