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L’incredibile storia delle due sacre spine della corona di Cristo

La loro storia ricostruita da Vincenzo Mandracchia nel libro “Sciacca e le sacre spine” 

Sciacca. Sacra spina corona di Cristo (Foto di Vincenzo Mandracchia)

Non c’è solo la celebre e studiatissima reliquia della Sacra Sindone a ricordarci la passione e la morte di Gesù Cristo. Ce ne sono altre, come la croce, i chiodi, la corona di spine, che – secondo la tradizione – sarebbero state recuperate e poi conservate nei secoli in più luoghi.

Uno di questi luoghi è Sciacca. Nella chiesa di San Michele Arcangelo, sita nell’omonimo e popolare quartiere situato nella parte alta della città, si trovano custodite due Sacre Spine della Corona che cinse il capo al Cristo nel suo calvario (il serto si trova a Parigi, nella chiesa di Nôtre Dame).

Dopo decenni in cui il reliquiario è rimasto chiuso in cassaforte, le sacre spine sono state esposte dentro una speciale teca e messe in pubblica venerazione lo scorso il 25 novembre del 2019

Una storia che ha dell’incredibile che è stata ricostruita da un saccense, Vincenzo Mandracchia, nel libro Sciacca e le Sacre Spine, pubblicato nel 2012 da Edizioni Semina Verbi di Agrigento.

“Pochissime città, tra cui si annovera Sciacca, – scrive Vincenzo Mandracchia – hanno il privilegio di conservare tra i frammenti sacri in loro possesso, una tra le più pregevoli reliquie della Chiesa. Questa reliquia consiste in alcune schegge conficcate sul capo di Gesù Cristo durante la sua passione e morte: vale a dire due Spine Sante. Una di queste è cosparsa del sangue di Gesù nostro Signore”.

Il ritrovamento delle reliquie della flagellazione e della crocifissione – leggo sul libro – avvenne nel 326, in un pozzo a Gerusalemme, in un luogo poco distante dal monte Golgota. A Sciacca sono arrivate mille anni dopo. Come?

Alla curiosità risponde sempre Vincenzo Mandracchia ritornando indietro di settecento anni e citando le famiglie nobili che regnavano in Sicilia e a Sciacca.

“Nel 1386 Guglielmo II Peralta detto Guglielmone III Conte di Caltabellotta è la sua devotissima moglie Eleonora D’Aragona, figlia di Giovanni, duca d’Atene e Neopatria e anche marchese di Randazzo, reggente della Sicilia dal 1342 al 1348, donarono le Sacre Spine alla chiesa del costruendo monastero di Maria Santissima di Itria conosciuta da secoli come Badia Grande”.

La copertina del libro di Vincenzo Mandracchia

L’inaugurazione della chiesa è datata 31 maggio 1386 e avvenne durante la Festa dell’Ascensione. Da allora e fino alla metà del 1800, “davano luogo alla più grande festa religiosa della nostra città e del Val di Mazara”, con continui atti di fede. “Anche ai tempi del Peralta – dice Mandracchia – la festa delle spine era annoverata tra le maggiori solennità dell’isola tanto che molteplici oratori e un gran numero di pellegrini – provenienti da paesi lontani – giungevano in città per predicare omelie e per rendere loro omaggio”.

Pare che in Italia siano state portate da Carlo I D’Angiò che nel 1263 accettò il regno di Sicilia offertogli dall’allora pontefice in lotta con gli Svevi. Le Sacre Spine sono poi passate di mano in mano ai vari eredi fino ad arrivare a Eleonora d’Aragona.

Dalla Badia Grande sono state poi trasferite nella chiesa di San Michele Arcangelo nel 1901. Nel 2012, una bolla dell’arcivescovo e cardinale Francesco Montenegro ha autorizzato don Pasqualino Barone – che ne ha fatto richiesta – a esporre al culto le reliquie nei giorni della festa di Cristo Re e i venerdì di Quaresima. Dal 25 novembre del 2019 la loro pubblica venerazione è eterna.

 

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