Rimosso dalla villa il monumento a lui dedicato. Era stato inaugurato nel 1960 il mezzobusto che ricorda il sindaco dell’Ottocento che fece del paese un modello di civismo e visione politica. Al suo posto sarà collocata una fontana.
Se noi siamo quel che siamo lo dobbiamo in gran parte ad un sindaco illuminato dell’Ottocento. Se i Racalmutesi hanno un’orgogliosa passione per il proprio paese e la sua storia lo dobbiamo a chi Racalmuto l’ha rifondata, portandola in pochi anni dal medioevo alla modernità. Un miracolo della storia che ancor oggi affascina e si erge a modello di civismo e di visione politica. Quella che contraddistinse Gaspare Matrona che tra il 1860 e il 1880 fece di tutto per avere un paese che nulla aveva da invidiare alle grandi città. Scalinate, piazze, macello, ville e persino un teatro meraviglioso fecero di Racalmuto la “Palermo picciula”, la piccola Palermo, esaltando così l’orgoglio di chi qui era nato e viveva.
Se lo stesso Leonardo Sciascia è diventato lo scrittore che è diventato, lo si deve anche a Gaspare Matrona che regalando ai suoi concittadini un teatro, contribuì inconsapevolmente alla crescita culturale di tante generazioni di Racalmutesi che, come Sciascia, frequentavano uno spazio culturale di enorme valore. È inutile, perciò, osannare Sciascia da un lato quando, dall’altro, si distrugge la memoria di questa “storia minima” che lo stesso scrittore cercò di tutelare con i suoi libri e con il suo impegno civile. Questo sta succedendo oggi in una Racalmuto che spesso dimentica.
Accade infatti l’inverosimile quando l’amministrazione comunale decide in un attimo di cancellare volto e nome di chi la storia l’ha scritta con i fatti concreti, come Gaspare Matrona. Da qualche giorno, infatti, il monumento a lui dedicato non esiste più. Il mezzobusto è stato tolto senza pietà e conservato a terra in una stanza del teatro dove, pare, secondo indiscrezioni, sia destinato. Perché toglierlo da uno spazio aperto per collocarlo al chiuso?
Piuttosto che migliorare, come aveva pensato di fare l’amministrazione precedente – togliere i cancelli, fare della villa un grande spazio aperto e dare ancor di più merito e visibilità al sindaco Matrona – qui si spazza via in un attimo non solo la memoria di una figura importante, ma anche la storia del monumento stesso inaugurato il 30 ottobre del 1960 dal nipote di Giuseppe Garibaldi invitato dall’allora sindaco Eugenio Napoleone Messana.
Un monumento che, a dire il vero, ha avuto poca fortuna negli ultimi quarant’anni. Perché a questa villa, se così si può ancora definire, con pochi alberi rimasti, aiuole mal curate e quasi sempre chiusa, mai è stata data la giusta dignità. C’è stata sempre poca considerazione per questo spazio pubblico – ci hanno fatto persino i cessi pubblici, nei primi anni ‘80 – che invece sarebbe dovuto diventare una sorta di altare del nostro padre cittadino più nobile.
Ma vogliamo ricordare chi era Gaspare Matrona? Un avvocato che si distinse per il suo temperamento e la sua generosità. Era nato nel 1837. Fu l’artefice della politica amministrativa di Racalmuto per un ventennio e diede con le opere pubbliche un aspetto civile al paese. In quel tempo (il “tempo dei Matrona”, appunto) si ristrutturò l’ex convento di Santa Chiara che fu adibito a municipio – con annessa sede della Pretura – e si avviarono i lavori per la costruzione del teatro inaugurato nel 1880. Amico di ministri del Regno, da Perez a Zanardelli (che ospitò nella villa di contrada Noce), riuscì con la sua influenza a far passare la strada ferrata da Racalmuto. Istituì il servizio per la pulizia delle strade, fece realizzare la rete fognaria, ancora esistente, illuminò il paese. E s’inventò già allora quello che oggi chiamiamo reddito di cittadinanza, istituendo un sussidio a favore dei giovani bisognosi. Si deve ai Matrona e ai suoi seguaci la costruzione del macello comunale, della pescheria ormai scomparsa, le fontanelle rionali e le strade selciate. E l’istituzione della banda musicale.
Nel 1873 si meritò, assieme ai fratelli, la medaglia d’oro al valor civile: “Ci Sono esempi che dove hanno voluto estirpare il malandrinaggio ci sono riusciti – scrisse in una relazione il comandante della zona militare di Girgenti – e ne abbiamo uno bello, lodevole… A Racalmuto ci sono cinque fratelli di cognome Matrona, possidenti di una certa istruzione. Racalmuto era un paese tristissimo dove tutti i giorni succedevano reati di sangue, furti e grassazioni. Questi cinque fratelli in pochissimo tempo hanno reso quel paese il modello non solo della Sicilia ma anche del continente”.
A scuola, sin dalle elementari, quando ci parlavano del paese e degli esempi positivi, di Gaspare Matrona ci raccontavano di quest’uomo che in consiglio comunale, decidendosi di realizzare un’opera pubblica e il segretario faceva osservare che non esisteva la possibilità finanziaria per coprirla, lui rispondeva che il “sindaco provvederà di tasca propria”.
Un bell’esempio, si diceva, anche per Sciascia che diverse volte scrisse di Gaspare Matrona e che lo stesso amore per la campagna della Noce suo e dei suoi familiari gli veniva proprio dal fatto che suo nonno era legato, anche politicamente, ai Matrona e perciò costruì una casetta di pietre e gesso proprio di fronte la residenza dei Matrona, la settecentesca villa violentata e abbandonata ormai da decenni.
Rimase guida del Partito progressista, di ispirazione mazziniana, fino al 1889. Fece di Racalmuto un modello per l’Italia intera, prosciugando le casse di famiglia. E per questo fu facile, per gli avversari politici, batterli. Dopo di loro – lo dicono i fatti, la storia – ritornarono i malandrini, la mafia, le usurpazioni. Scrive Sciascia, in quella pagina memorabile che introduce la ristampa di Racalmuto, memorie e tradizioni del Tinebra Martorana, che ogni buon racalmutese dovrebbe leggere e rileggere: “Don Gaspare – don Gasparino – morì povero, assistito da una serva fedele. Era il più intelligente dei fratelli, il più ardito – e il più prodigo. Aveva vissuto una vita romantica, piena di passioni, di amori; aveva viaggiato per l’Italia e per l’Europa; aveva liquidato – per la passione di rinnovare un paese e per altre sue private passioni – un patrimonio ingente. Ma la memoria di lui resta, per un intero paese, come un mito: il mito di come un paese va amministrato ed educato”.
Peccato che di Matrona oggi non resta neanche questo. E aver tolto da quello spazio aperto il monumento che lo raffigura non pone bene a chi ha deciso questo oltraggio. Siamo ancora in tempo per ricollocare il mezzobusto alla villa a lui intitolata? E magari spendere qualche soldino e buttare giù recinti e cancello? O, se proprio si è deciso di toglierlo da lì, che si dia giusta importanza e visibilità al monumento, nella piazza più importante del paese o davanti al Palazzo comunale. Ma non al chiuso, al buio: significherebbe mettere all’ombra ciò ch’eravamo e ciò che siamo.