Su Rai 1, il 22 è il 23 maggio, la mini serie del regista Roberto Andò dedicata alla grande fotografa siciliana recentemente scomparsa.
Rivedendo le sue foto, i suoi ritratti, adesso che non c’è più, la vita di Letizia Battaglia appare ancora di più la storia di una donna capace di lottare per emancipazione e riscatto, libertà e, soprattutto, verità. E per raccontarla Roberto Andò, palermitano come lei, ha avuto il tempo di potere inserire le sue riflessioni, la sua voce, in una miniserie che RaiUno manderà in onda il 22 e 23 maggio. Non a caso nell’anniversario di Capaci. Un modo per ricordare Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, gli agenti di scorta anche attraverso la testimonianza di questa ragazza dai capelli fuxia, gli occhi furbi e il sorriso dolce di quand’era giovane, appena andata via, una sera di aprile, a 87 anni, le mani intrecciate a quelle di figlie e nipoti
La rivedremo sullo schermo con la poesia di parole modulate come versi di un canto ora tragico, ora gioioso, specchiata nella sua terra che ha amato e odiato, da dove ha provato a fuggire lasciando poi Milano o Parigi per tornare sempre a casa. Nella Palermo del giornale L’Ora, una Palermo che non c’è più. La stessa che le ha dato la fortuna e il dolore d’essere presente fra lontane primavere e feroci mattanze. Costretta a guardare con i suoi occhi e i suoi obiettivi le facce degli assassini o la devastazione di una Sicilia che non riesce a mettersi con le carte in regola, come sperava Piersanti Mattarella, il presidente colto nell’epifania del 1980 da uno scatto di Letizia nell’attimo della fine, mentre viene soccorso dal fratello, oggi capo dello Stato.
Basta forse questo riferimento con altri ben noti, come la foto che inquadra Andreotti e gli esattori Salvo, per evocare il ruolo conquistato anche nella storia dell’antimafia da una irrequieta e ribelle siciliana ben tratteggiata per Bibi Film e Rai Fiction nell’interpretazione di Isabella Ragonese, perfetta, coinvolgente, fedele nelle sequenze che vedono sfilare mafiosi, notabili e disperati, prostitute e bambine, sofferenza e innocenza, grandi personaggi della vita civile e culturale, dallo stesso Falcone a Sciascia e Pasolini. Tutti colti nelle istantanee che fecero conquistare già nel 1988 a New York il prestigioso premio Eugéne Smith alla protagonista di una fiction dove manca la finzione. Perché è tutto vero. A cominciare dal matrimonio, anzi dalla “fuitina”, la fuga dalla famiglia e dal padre. Con il primo parto a 16 anni. L’adolescenza accelerata da altre due gravidanze. Poi, la seconda fuga. Dal marito, stavolta. Sola con tre figlie. Sbandata, condotta in cella per adulterio (succedeva, allora), affidata allo psichiatra perché invece d’essere moglie fedele scappava al cinema per vedere “8 e mezzo” (“un film dove non si capisce niente”) o ascoltavaBeethoven. Quindi, pazza. Ma con un’ancora di salvezza nell’amica del cuore. Marilù nella fiction. Marilù Balsamo nella realtà. L’architetta che le dona la prima macchina fotografica, che la ospita a casa, che la porta con la sua Cinquecento a Roma. Fra le stradine di Trastevere. Dove un fotografo s’infatua di questo vulcano con tre figlie appresso e s’infila a forza nella Cinquecento d’epoca per seguirla a Palermo. Con Marilù schiacciata alla guida dell’utilitaria, troppo piccola per le riprese di Andò che ha preferito girare la scena con una poco poco più spaziosa Mini-minor.
Già nel 1967 il primo contatto con L’Ora, con Giuliana Saladino, cronista di razza interpretata da Anna Bonaiuto, accanto a Roberta Caronia, Paolo Briguglia, Filippo Luna. Sta scrivendo un’inchiesta sulle donne a Palermo, la grande Giuliana. Sa dei disastri di Letizia e chiede di descrivere “come si vive in un matrimonio infelice”. Intervista sotto falso nome, per evitare ritorsioni.
Più in là il rapporto di lavoro con lo storico direttore Vittorio Nisticò: “Di cosa vorresti scrivere?”. E lei, col suo candore: “Di nomadi, poveri, circhi, pazzi…”. Quasi un verso. “Va bene, in prova per un mese”. Prima intervista, una prostituta sospettata di un delitto che non ha commesso. La rivedrà e la fotograferà uccisa, vittima di una galleria di orrori ricostruiti nella sceneggiatura scritta dal regista con la stessa Letizia,Angelo Pasquini, Monica Zapelli e Giulia Andò. E’ la storia amara di una città che Letizia racconta, ma rifiutandosi infine di fotografare le apocalissi di Capaci e via D’Amelio. Per tornare alle bambine colte nella loro fragilità fra i vicoli. Forse cercando sé stessa, come nelle prime scene di “Solo per passione” quando le suore le insaccano un grembiule e la rimproverano di leggere. Scoperta, con un libro fra le mani.
– dal “Corriere della Sera” del 18 maggio 2022 –