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Camilleri e la festa azzoppata di Vigata

Sono sicuro che Andrea Camilleri questa storia la sta scrivendo. E poco conta che il fatto vero si sia svolto a Racalmuto – la Regalpetra di Leonardo Sciascia, grande riferimento di Camilleri.

Gaetano Savatteri

Sono sicuro che Andrea Camilleri questa storia la sta scrivendo. E quando la leggeremo ci sarà da ridere, da sorridere, da piangere. Ci sarà da divertirsi quando con la sua lingua densa di «taliate», di «scruscio» e «di persona pirsonalmenti», Andrea tornerà a raccontarci questa incredibile storia di Vigata. E poco conta che il fatto vero si sia svolto a Racalmuto – la Regalpetra di Leonardo Sciascia, grande riferimento di Camilleri – perché Vigata rappresenta la Sicilia, l’assurdità delle regole senza senso, la vanagloria di ufficiali e funzionari dello Stato. E sembrerà magari una storia dell’Ottocento, con prefetti questori carabinieri e sindaci tutti impennaccchiati, ma in realtà è successa nel mese di luglio del 2022, durante le festa del paese.

Insomma, per farla breve, durante la festa che Vigata dedica ogni anno alla sua Madonna del Monte, una festa antica di cinquecento anni, che vede come sempre convivere la religiosità e il paganesimo, l’apollineo e il dionisiaco (così avrebbe detto la mia professoressa di greco), in tre giorni frenetici tra tamburinai, bande musicali, fuochi d’artificio e profumo di zucchero caramellato, si tengono due appuntamenti importanti. La risalita dei cavalli, che addobbati e lustrati percorrono di gran carriera la scalinata del santuario della Madonna, in segno di devozione per grazie ricevute. Cavalli condotti a mano o cavalcati con foga da giovani cavalieri.

Altro momento “clou”, è la conquista di una bandiera issata su una macchina scenica di legno – detto Cilio – contesa dai giovani “borgesi”, cioè esponenti delle famiglie di contadini e proprietari terrieri. Una rapida, convulsa, affascinante contesa che è stata raccontata con passione da Leonardo Sciascia, e da grandi fotografi come Ferdinando Scianna, Melo Minnella, Shobha Battaglia, Giuseppe Leone.

Ma il prossimo romanzo di Camilleri comincia quando a Montelusa arriva una nuovo questore che, non si sa perché e per come, pensa di “raddrizzare le gambe ai cani” (e qui Camilleri racconterà anche la storia dell’Accademia del Parnaso di Canicattì che dava premi e pergamene a tutti coloro che pensavano si potessero raddrizzare le gambe ai cani o che pensavano che debiti andassero restituiti oppure ritenevano che l’amore è eterno). Insomma, il questore di Montelusa vuole dare finalmente una regolata ai vigatesi che si abbandonano a queste tradizioni tribali, selvagge e pericolosissime.

In un balletto di timbri, ordinanze, carte bollate – un via via frenetico che ricorda  il carteggio fitto e insensato che si gonfiava quando Filippo Genuardi chiedeva di poter aver una concessione per una linea telefonica, vicenda narrata da Camilleri in un altro suo libro – finiscono per allinearsi perfettamente miopia burocratica, formalismo vacuo, ambizioni personali. E ciascuno, nella Vigata del prossimo romanzo che Andrea Camilleri sta scrivendo, ci mette un po’ del suo, fino al giorno della festa. Così la regola aurea per cui in democrazia è permesso tutto ciò che non è vietato, si trasforma a Vigata nel suo opposto: è vietato tutto ciò che non è permesso.

Nei giorni della festa, i capitoli del romanzo avranno movenze farsesche, da sbellicarsi dalle risate. Carabinieri in grande uniforme che tentano di fermare asinelli cavalcati da bambini, regolamenti da fare invidia al Coni per stabilire le regole di ingaggio della pugna che si svolgerà attorno alla macchina del Cilio, strade chiuse per impedire il passaggio di mansuete giumente.

Per sovrapprezzo, la fantasia di Andrea Camilleri farà arrivare a Vigata anche l’arcivescovo di Montelusa che andrà a schierarsi dal lato dei vigatesi, mortificati dallo Stato che si presenta con la sua faccia più cupa (la stessa dei carabinieri col pennacchio che arrestano Pinocchio) per impedire una tradizione sentita e antica. Insomma, una atemporale guerra tra Stato e Chiesa da breccia di Porta Pia, come se nel frattempo non ci fossero stati concordati e come se non fossero ormai lontani i tempi di Peppone e Don Camillo.

Il romanzo uscirà presto – me l’ha detto Andrea. E mi ha raccontato anche un episodio personale, quando a Vigata c’era un prefetto che voleva arrestarlo perché aveva riaperto un teatro dell’Ottocento che era stato chiuso e abbandonato per mezzo secolo. Sempre in nome delle regole da far rispettare in una provincia, quella di Montelusa, dove esistono palazzi e case abusive che spuntano come funghi nel giro di una notte. Perché Montelusa è la capitale delle regole inutili, quelle che non servono a niente, se non a riempire i cassetti e a consumare inchiostro.

Per fortuna, l’inchiostro di Camilleri riempie i suoi libri di personaggi, volti e parole che servono a sbeffeggiare il potere vuoto e vanesio. Tra qualche tempo leggeremo e finalmente potremo ridere e riflettere su quella che a Vigata chiamano: la festa azzoppata dal ridicolo.

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