Fondato a Racalmuto nel 1980

Dedicato a tutte le donne

Nella Giornata Internazionale della Donna una riflessione di Valeria Iannuzzo

Valeria Iannuzzo

Sono tante, forse troppe, le donne che soffrono, piangono, muoiono perché i loro diritti non vengono riconosciuti, tutelati e garantiti. Sono storie di spose bambine, anime innocenti che invece di giocare e vivere la loro infanzia, vengono vendute come merce di scambio, violentate da uomini culturalmente assuefatti ad una consuetudine tanto radicata quanto sbagliata. Sono storie di donne costrette a nascondere il proprio volto, che vivono a volte in un agio apparente, ma prive di esprimere il proprio pensiero anche tra le mura domestiche. Sono storie di donne che chiedono un’istruzione, ma vengono avvelenate perché una volta istruite faranno paura agli uomini. Sono storie di donne che non sanno cosa sia l’amore, prigioniere di uomini piccoli e meschini, che alimentano il proprio ego sminuendo e mortificando le proprie compagne. Sono storie di donne costrette a lavorare come uomini, ma pagate come donne, a cui viene negata o ostacolata la promozione per i meriti o le competenze possedute. Sono storie, storie che si intrecciano, si assomigliano, che sembrano cambiare, ma che non cambiano mai.

E poi ci sono altre storie. Storie di donne a cui è stato garantito il diritto all’istruzione, al voto, al lavoro, ad un’equa retribuzione, all’ integrità e all’autonomia corporea. Donne che hanno uguali diritti a quelli degli uomini, che sono libere di procreare o di interrompere una gravidanza, che dirigono uffici pubblici, che occupano posizioni apicali. Donne, madri, mogli, professioniste costantemente impegnate a cui nulla viene precluso sia nella sfera pubblica che in quella privata. Sono donne che fanno bene il loro lavoro dentro e fuori casa, dando sempre il massimo in un mondo in cui il massimo per una donna non è mai abbastanza.

Sono donne attente alle relazioni, pronte all’ascolto, capaci di comprendere, sostenere, aiutare, risolvere qualsiasi problema. Sono donne competenti, sempre al passo con le innovazioni, costantemente aggiornate, sempre preparate. Sono madri presenti, accoglienti, che si destreggiano tra lezioni di musica, danza, incontri scolastici, feste di compleanno. Sfornano torte, preparano lasagne, caricano lavatrici, fanno fare compiti. Sono mogli amorevoli, ma anche perfette amanti, amiche all’occorrenza, sostegno nei momenti di difficoltà per i loro compagni. Attente alla propria linea, non saltano un solo allenamento in palestra. Curano la propria alimentazione, preparando anche tre o quattro tipi di pietanze a pasto per far fronte a tutte le preferenze alimentari della propria famiglia. Esigenti nel look, costringono il proprio corpo in abiti sempre più stretti e sempre meno comodi. Assidue clienti di parrucchieri ed estetiste esibiscono sopracciglia tatuate, unghie ricostruite, capelli perfettamente piastrati e colorati. Hanno labbra rimpolpate, zigomi accentuati, protesi ai seni, fianchi e cosce scolpite.  A vederle così curate sembrerebbe che né il trascorrere del tempo né la forza di gravità abbiano effetti sui loro corpi.

Più che donne sono eroine, capaci di un controllo totale su famiglia, lavoro, relazioni. Stanno sempre sul pezzo. Perfette. Impeccabili. Quasi immortali. Vivono la vita che tante donne vorrebbero avere.

Sono quelle donne a cui non è stato permesso di prendere chili superflui in gravidanza, così da poter indossare dopo il parto una comoda taglia 42. Sono quelle donne che hanno dovuto aggirare la menopausa, evitandone vampate di calore, sbalzi di umore, sovrappeso, perché tutto questo avrebbe interferito con i loro piani.  Sono quelle donne costrette a ricorrere alla chirurgia plastica per dare tono e volume al proprio corpo, stirare e levigare ogni angolo della propria pelle, perché le rughe, l’età, la vecchiaia non sono compatibili né con il mercato del lavoro né con la cultura dominante. Sono quelle mamme costrette ad alzarsi alle quattro del mattino per adempiere al loro ruolo domestico prima di iniziare la giornata come lavoratrici o professioniste. Sono quelle mogli che hanno dovuto sacrificare i propri amici o il proprio tempo libero per agevolare le carriere dei propri uomini. Sono quelle donne sulla cui tabella di marcia, rigida e serrata, non sono contemplati fallimenti, pause, distrazioni. Anche un’influenza o un piccolo infortunio sono ingiustificati. Figuriamoci poi un tradimento, una leggera depressione, un’insoddisfazione. Nessuno glieli perdonerebbe, neanche loro stesse lo farebbero.

A queste donne non è concesso sbagliare. Ovviamente se le loro debolezze fossero manifestate dagli uomini sarebbero culturalmente giustificate. Un padre assente, per esempio, è socialmente accettabile: la carriera per un uomo rimane sempre al primo posto. Una madre assente non è una buona madre. Una madre assente è solo una cattiva madre. Un marito che tradisce è un uomo vittima dei suoi istinti, dominato dal testosterone. Una donna che perde la testa per un altro uomo è una poco di buono, per dirla senza ricorrere a francesismi. Un uomo che mette su peso e cura poco il suo aspetto è solo stressato dal lavoro. Una donna che fa la stessa cosa è sciatta.

Se un uomo decide di non avere una relazione stabile è un latin lover. Se lo fa una donna è una leggera. Un uomo che sceglie di non avere figli è un uomo che pensa alla carriera. Una donna che sceglie di non avere figli si dice che non abbia l’istinto materno. Resta da capire se si tratti di una scelta personale, dettata da un mancato desiderio di maternità, oppure dall’impossibilità di conciliare il proprio ruolo di madre con quello di donna lavoratrice. Anche non riuscire ad avere un figlio è una colpa, un marchio indelebile, che sugella il fallimento dell’essere donna. E se il figlio ce l’hai ed è venuto al mondo con problemi o disabilità, in qualche modo la colpa è sempre della madre. Potrebbe avvenire poi che nell’educazione dei figli non vada bene qualcosa: insuccessi scolastici, cattive compagnie, problemi comportamentali, dipendenza da alcol e droghe. Ancora una volta i riflettori saranno puntati sulla madre, sicuramente poco attenta, insensibile alle richieste del figlio, oppure troppo permissiva. Un fallimento con i figli non è accettabile.

Così alle donne emancipate non sono concesse debolezze, fragilità, incertezze, cedimenti. Le donne emancipate non possono e non devono sbagliare. L’errore nelle loro vite non è contemplato, ammissibile, giustificato. Le donne emancipate non possono ingrassare, invecchiare, rallentare il proprio ritmo. Le uniche recensioni possibili sul loro operato devono essere positive. Non sia mai che ce ne sia una negativa. Rovinerebbe l’intero curriculum.

Le loro vite, indubbiamente piene, anzi pienissime, tanto più tendono alla perfezione tanto più perdono di umanità. A vedere le loro vite più da vicino, è evidente come tanta perfezione, tanto controllo, tanta emancipazione stiano mostrando solo una faccia di una medaglia, quella che amplifica l’immagine patinata di donne che vivono una vita apparentemente perfetta, mentre dall’altra cela la condizione subalterna delle donne quali esseri a cui viene negato il diritto dei diritti: quello di essere umane.

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