A Cesarò, piccolo borgo di duemila anime, nel cuore dei Nebrodi, incontriamo la pittrice Giselle Treccarichi. La sua arte è in parte focalizzata sulla tematica contro la violenza sulle donne nelle sue molteplici sfaccettature
A Cesarò, piccolo borgo di duemila anime, nel cuore dei Nebrodi, incontriamo Giselle Treccarichi, l’artista che sin da bambina “fabbricava mondi, storie, cambiava le parole delle canzoni”. Il suo atelier si trova al centro della piazzetta. L’arte di Giselle, negli ultimi anni, è in parte focalizzata sulla tematica contro la violenza sulle donne nelle sue molteplici sfaccettature
Come nasce il tuo estro creativo?
Ho sempre visto le cose come possibilità di creazione. Le mie frasi, sin da piccolina erano: facciamo finta…ti immagini se…c’era una volta. Il disegno e poi la pittura hanno dato forma a ciò che io vedevo o immaginavo, l’arte è sempre stata la mia salvezza, la mia via di fuga, donandomi la capacità di accogliere le grandi responsabilità della vita raccontandomele in modo fiabesco. Ormai dipingo e creo da più di quarant’anni anche se sento di essere cresciuta artisticamente negli ultimi sette anni quando ho iniziato ad unire alla pittura la lettura, la ricerca e la musica.
Come è nato il tuo atelier?
Dall’idea di immaginare un luogo che potesse contenere tutto ciò che mi ispirava e l’immagine fissa era il luogo dei ricordi dell’infanzia e il diario di appunti delle meraviglie. Ho sempre amato Cesarò e in particolare questa piazza dove si trovava l’emporio di mio padre: dove avvenivano scambi, incontri e le mura si riempivano di racconti di ogni genere. In questo luogo, oggi, dopo tanti anni ho ritrovato il senso della creazione inteso come condivisione entusiasmante nel cogliere affinità e differenze. Ho sempre sostenuto che l’incanto sta negli occhi di chi guarda.
Alcuni dei tuoi quadri esprimono con forza il tuo impegno contro la violenza sulle donne. Puoi raccontarci cosa c’è alla base di questa scelta e cosa rappresentano le tue donne?
Ho ricercato prima fuori e poi dentro di me delle risposte a questo orrore e ho iniziato a dipingere quadri come “La Chiudenda” che altro non è che il riflesso della mia ombra che cerca di scavalcare una recinzione. Qui ho rappresentato la paura del dolore e di tutti i pensieri che bloccano e che rendono le donne vittime di una visione senza via d’uscita. Ma l’uscita c’è perché l’ombra è già fuori per ricordare che molte volte la violenza nasce dalla nostra stessa paura ad allontanarci da situazioni di pericolo o di disagio. Anche in Amadriade la ninfa che prega nel sottobosco nasce dalla visione della violenza, in questo caso contro Madre Natura. Queste mie opere e tante altre sono state, spesso, oggetto di mostre nei periodi del 25 novembre in occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne o dell’otto marzo Giornata internazionale della Donna.
A proposito di quest’ultima ricorrenza, ho notato un tuo quadro dedicato proprio alle operaie che perirono tragicamente nella fabbrica tessile di New York il 25 marzo 1911
Sono partita dalla lettura del libro Camicette Bianche e dalle foto delle operaie. Le ho dipinte in file diagonali che andavano in profondità e come se fossero lì sulla tela, ho tramutato i volti e le fiamme in fiori, così da farne un giardino: un omaggio alle donne emigrate partite da questa nostra terra.
I tuoi progetti futuri?
Uno mi sta molto a cuore: creare nell’agriturismo nel quale vivo delle “Camere d’autrice” accogliendo il progetto dell’Associazione Toponomastica femminile. Ho ricercato figure femminili vicine al mio territorio e ho trovato le sorelle Giuseppina e Anna Turrisi Colonna, la prima scrittrice, la seconda pittrice. Un ramo della famiglia Colonna ha vissuto a Cesarò, infatti qui ci sono i resti dei ruderi del loro castello. Avevo già letto una poesia dedicata alle donne della scrittrice risorgimentale e avevo inserito i suoi versi in una mia mostra personale : “Sole, inermi, o Sicane/Muteremo d’un popolo i destini…/Né trastullo, né servo il nostro sesso/Col forte salga a dignità conforme…Entro l’autunno questo mio progetto sarà concretizzato.
A conclusione dell’intervista a questa artista e donna dalla sensibilità straordinaria e chiudendo la saracinesca dell’atelier una ulteriore sorpresa: la Sicilia della leggenda riportata dal Pitrè raffigurata in un’esplosione di luci e colori e accompagnata dai versi. Giriamo lo sguardo poco oltre e notiamo l’installazione di una panchina rossa voluta fortemente dall’Amministrazione Comunale e realizzata proprio da Giselle: “… io sono la prima e l’ultima, la venerata e la disprezzata…la prostituta e la santa…la sposa e la vergine, la mamma e la figlia…sono le braccia di mia madre…sono la sterile, la nubile, la sposata…sono colei che dà alla luce e colei che non ha mai partorito…” Accanto un numero 1522.