Lascia un grande patrimonio di umanità e sapienza, gentilezza e mestiere
Aveva amici veri Angelo Meli, perché era un vero amico, un collega di rara cordialità, di rassicurante preparazione, un perfetto interlocutore per ogni conversazione. Per parlare della Sicilia, del suo passato, dei suoi guasti, della sua storia mafiosa e antimafiosa. Era un cronista preparato, gli piaceva l’economia, ne coltivava lo studio anche in terra depressa. Era di Canicattì, aveva il cervello fino e analizzava geografie e fatti dello sviluppo ritardato della sua provincia e di quella palermitana che lo aveva adottato e che aveva adottato. Aveva cominciato presto, era stato un liceale vivace come si conveniva a chi è nato con Leonardo Sciascia a un tiro di schioppo e Gesualdo Bufalino in pieno esercizio del suo pensiero contemporaneo a pochi chilometri da casa. Dopo un periodo di collaborazione, il Giornale di Sicilia lo chiamò come redattore nel 1991. Delitti e violenze insanguinavano già le strade di tre quarti di regione. Era impossibile non essere plasmati come giornalisti dalla repulsione per tanta violenza e sopraffazione. Angelo studiava, leggeva, ci teneva al cosiddetto “update” tant’è che completò i suoi studi universitari in Scienze della comunicazione fra una giornata e l’altra di lavoro.
Era mattiniero e generoso, sempre propenso al sorriso. Un anfitrione perfetto per il quotidiano che fino all’ultimo gli ha affidato il compito di accogliere gruppi di studenti e visitatori curiosi di conoscere una delle testate più antiche d’Italia. Famelico di giornali, voleva leggerli tutti già di prima mattina. Chi arrivava lo trovava all’ingresso in via Lincoln o già con la mazzetta in mano diretto verso il desk. Informale, spiccio nei modi ma sempre gentile, era uno di sinistra. Aveva i suoi miti, da Gramsci a Pio La Torre del quale abbracciò pensiero e strategie dedicandogli la sua vita parallela che mai ha intaccato il resto della sostanza di redattore. Ha avuto un lungo sodalizio professionale con Natale Conti, ne fu il vice alle pagine economiche: due generazioni a confronto, due modi di vedere il giornalismo in equilibro fra conservazione e progressismo. Funzionò, con rubriche e pagine molto seguite quando ancora erano solidi e radicati i grandi gruppi bancari siciliani, il sogno dell’impresa insulare sembrava in piedi e le prime nubi fra malgoverno e mafia (con e senza filtro) cominciavano ad addensarsi sulle ambizioni isolane. Ad Angelo Meli non mancavano ampie vedute.
Spesso lo incontravi con l’amico e conterraneo Gaetano Paci, oggi procuratore di Reggio Emilia (dopo anni di lotta alla mafia, di recente lo abbiamo visto provare a ottenere giustizia per la povera Saman, la giovane pakistana uccisa da suoi familiari). I due sono legati sin da ragazzi, entrambi schivi ma evidentemente accomunati da quel pensiero di latitudine dal quale non riesci mai a liberarti.
Angelo Meli, aveva 61 anni. Se lo è portato via un malore fulminante. Era vicino al prepensionamento. Lo agognava, non già per stanchezza ma perché era pronto per la sua second life. Aveva detto sì con curiosità e scommettendo su di sé, quando la direzione del giornale gli propose di occuparsi, fra gli altri, di gds.it. Non era un millenial, non era uno smanettone ma trasudava orgoglio e non voleva mai dare l’impressione di essere indietro sulle cose della professione che galoppa verso praterie che conviene esplorare per non vederle finire drammaticamente in mani altrui nel “capitalismo della sorveglianza”, come scrive la studiosa Shoshana Zuboff.
L’economia era il suo mantra. Lo rivelava anche la sua passione per Pio La Torre. Nel 2005 il suo incontro con Vito Lo Monaco, il fondatore di una delle più instancabili istituzioni morali della Sicilia. Il Centro Pio La Torre organizza, incontra studenti, coltiva memoria, lancia provocazioni. Meli è lì che riferisce e spiega nella sua veste di attivista e addetto stampa. Non pago di questo, mette mano ad A Sud d’Europa, la rivista del centro, una risorsa, una fonte, un luogo di sperimentazione e di notizie. Angelo Meli e i suoi variegati registri professionali. Sui social lo hanno ricordato molti amici e una miriade di colleghi. D’altronde a lui piacevano i vecchi e i giovani di questo mestiere. Aveva una parola per tutti, non commiserava e non si commiserava. Il giorno dopo la sua morte il direttore Marco Romano ha riunito la redazione e tutti i lavoratori del gruppo che lo hanno ricordato commossi. Non c’è un solo dipendente di Giornale di Sicilia, Tgs ed Rgs, uffici amministrativi, segreteria, ced, che non abbia un ricordo personale. Cordoglio hanno espresso gli editori di Ses attraverso le parole del presidente Lino Morgante.
Angelo era stato anche consigliere dell’Ordine regionale dei giornalisti. Era dentro la professione e ha voluto capirne e viverne gli organismi rappresentativi. Adesso era ad una svolta. Aveva la possibilità di lasciare il giornale con un prepensionamento e voleva acciuffarlo perché a 60 anni pensi di avere un altro po’ di strada davanti. Era già pronto a dedicarsi sempre di più alle sue passioni civili, all’impegno, alle letture, alle amicizie. E a Maria Rita. Il capitolo che fa più male è nel loro ingiusto e precoce addio.
Angelo Meli e Maria Rita Sgammeglia hanno vissuto in simbiosi. Lei studiosa di progetti e opportunità in Europa, lui partner infaticabile da giornalista e marito in piena sintonia sul tema delle occasioni per un grande continente unito. Una coppia, una visione. Era tutto nel loro perenne sorriso. Angelo Meli lascia un grande patrimonio di umanità e sapienza, gentilezza e mestiere. E queste poche righe potrebbero essere presto seppellite da pagine di ricordi ancora più belli che in tanti conserviamo di un giornalista siciliano giovane per sempre.