Fondato a Racalmuto nel 1980

Quando si è prigioniere di un amore che non è amore

E magari il vostro principe non è proprio azzurro, ma di un colore che va dal viola dei lividi al rosso del sangue

Valeria Iannuzzo

Un minuto di silenzio, lungo, doloroso, quasi interminabile è stata la risposta corale che le scuole d’Italia hanno dedicato a Giulia. Alle 11:00 in punto, al suono della campanella eravamo tutti in piedi, in silenzio, col cuore gonfio di dolore per ricordare tutte le Giulie – sono ben 106 da gennaio 2023 – morte per mano di un uomo, meglio definirlo un essere, incapace di dare amore.

E sì, perché gli esseri che uccidono non sono umani nel loro intimo, sono disumani. Gli uomini che considerano una donna come un oggetto non sono umani. Gli uomini che picchiano, che mortificano, che assillano una donna con la loro indesiderata presenza non sono umani. Sono esseri, esseri e basta.

E il guaio più grande è che la loro essenza non prende vita solo sulle pagine dei giornali o nei fatti di cronaca. No, loro sono in mezzo a noi. A volte sono ragazzi educatissimi, cordiali con i vicini, sempre disponibili con gli amici. Ma possono anche vestire panni diversi. Le loro donne ostentano serenità, normalità, ma ad osservarle più da vicino hanno lo sguardo spento. Stanno lì al loro fianco, anche quando sanno di essere al capolinea, consapevoli che la storia è finita. Cercano con fatica di recidere il legame malato che le lega ad un uomo che non le merita, che si ostina ad imporre la sua presenza.

Come tutte le sostanze tossiche quest’uomo le annienta, a poco a poco, lentamente, inesorabilmente. E quando lui si rende conto che ormai è fuori gioco, sferra il colpo finale: o mia o di nessun altro. Egoismo allo stato puro, intriso di cattiveria, meschinità.

Come donne, piccole principesse in erba, trascorriamo i migliori anni della nostra vita in cerca del principe azzurro, del fidanzato ideale, dell’uomo perfetto. Perché una donna sola è una donna a metà, non può bastarsi da sola, ha bisogno di qualcuno che la completi, preferibilmente di un uomo. Questo ci hanno insegnato, magari non in maniera esplicita, ma lo hanno fatto. Biancaneve, Cenerentola, la Bella Addormentata nel bosco, la Bella e la Bestia, insieme a tante altre protagoniste della cinematografia ci hanno mostrato che la felicità si raggiunge con il vissero per sempre felici e contenti. Ovviamente si tratta di favole e storie scritte da uomini che hanno visto l’amore e le relazioni solo dalla loro prospettiva.

E noi, allineandoci ai modelli culturali proposti, ce l’abbiamo messa tutta per diventare ciò che hanno voluto che fossimo: principesse prigioniere in torri dorate.

Non vi scandalizzate se sto generalizzando, perché anche dietro l’ostentata emancipazione siamo rimaste imbrigliate in schemi che poco hanno a che fare con l’idea di libertà e di autodeterminazione. Per quanto ciascuna donna possa sentirsi libera nei fatti libera non è. Ci costringiamo a vivere strizzate in indumenti scomodi giustificando le nostre scelte con il desiderio di seguire le tendenze. Mascheriamo i nostri volti con strati e strati di cosmetici per nascondere stanchezza, imperfezioni e segni del tempo. Ci affamiamo e ci sottoponiamo ad ore ed ore di attività fisica per rendere perfetto un corpo già fortemente provato da sbalzi ormonali, gravidanze e stress. Per non parlare dei piccoli e grandi interventi di chirurgia estetica a cui ci sentiamo in dovere di sottoporci, solo perché abbiamo perso il diritto di invecchiare. Quanto di tutto questo è fatto per noi stesse e quanto per piacere agli altri? Ditemi dov’è finita la nostra libertà?

Organizziamo per anni il matrimonio perfetto, con l’uomo perfetto: location, abiti, fiori, regali per i testimoni, confetti, bomboniere, servizio fotografico, viaggio di nozze. Come se la durata e la felicità di un matrimonio fossero direttamente proporzionali alla lunghezza e alla ricercatezza dei preparativi. Siamo così innamorate dell’idea dell’amore che spesso finiamo per non amare noi stesse. E allora stiamo lì in compagnia di uomini che non ci meritano, che non meritiamo, ma che per mille motivi invadono la nostra vita. Cerchiamo in ogni modo di fare funzionare le nostre relazioni, riassettandole, aggiustandole, trasformandole. Ci illudiamo di far diventare il nostro ex un amico. “Non posso cancellare il bene che c’è stato tra noi” mi dice sempre Sara quando parla di Alfredo. Ma il problema è che Sara non capisce che Alfredo non ha mai smesso di vederla come la sua donna e che non potrà mai imparare a vederla come un’amica.

E così giorno dopo giorno, anno dopo anno la loro relazione disfunzionale va avanti in memoria di un amore che non c’è più.

Certi legami, senza che tu te ne accorga, ti avvolgono come catene, e quello che viene definito bene in realtà è controllo, è possesso, è assenza di libertà.

Avete presente quando un uomo fa tutto per voi? Finite con il dipendere completamente da lui. Finite col perdere la vostra libertà, la vostra identità. Diventate prigioniere di un amore che non è amore. E magari il vostro principe non è proprio azzurro, ma di un colore che va dal viola dei lividi al rosso del sangue.

Ecco questi sono colori che vanno bene per un abito da sera, una tuta da sci, un cappotto di kashmir, non per rinforzare una relazione, per definire l’amore tra due persone.

Tra qualche settimana nuove notizie alimenteranno le cronache del nostro paese: incidenti stradali, rapine, crisi politiche. Farà notizia persino il colore inappropriato del tailleur della presidente del consiglio, facendoci dimenticare quanto accaduto a Giulia e alle altre 105 donne vittime di femminicidio. E poi, un’altra Giulia sparirà e ancora una volta i riflettori saranno puntati su questo fenomeno, mentre gli esperti di turno cercheranno delle ricette per risolvere il problema.

Di una cosa sono certa: non sarà l’introduzione dell’educazione all’affettività nelle scuole a favorire un decremento dei femminicidi. La scuola indubbiamente può fare tanto, ma non tutto. Facile di fronte ad un problema tanto grande tirare fuori la solita ricetta: introduciamo l’educazione civica, l’educazione ambientale, l’educazione alimentare, l’educazione stradale, l’educazione sessuale. Di questo passo a scuola le discipline rischiano di essere cancellate per fare spazio alle educazioni. Ma l’educazione, la prima educazione non dovrebbe essere agita in famiglia? Che fine hanno fatto i genitori? Sono tutti in palestra a fare circuiti misti, nei centri estetici a depilarsi, o nei bar per gli happy hours?

Prima di delegare alla scuola, agli insegnanti l’educazione all’affettività dei giovani, i genitori dovrebbero iniziare a dare il buon esempio. Dovrebbero imparate a dire di no. Dovrebbero aiutate i figli a gestire le frustrazioni. Dovrebbero accompagnarli nella loro crescita. In poche parole dovrebbero fare i genitori.

Per aggiornare l’immagine del loro profilo, postare storie su Instagram, fare video su Tik Tok ci sarà sempre tempo. Purtroppo per essere dei buoni genitori no. Per diventare dei buoni genitori c’è un biglietto di sola andata, che non prevede soste, errori o distrazioni. Dimenticavo non è rimborsabile: chi lo acquista deve utilizzarlo personalmente, non può essere ceduto a terzi, neanche alla scuola.

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