Fondato a Racalmuto nel 1980

Donne che lottarono per contrastare il regime nazifascista

Il ricordo nell’approssimarsi del Giorno della Memoria

Ester Rizzo

Nell’approssimarsi del Giorno della Memoria desideriamo ricordare, seppur sinteticamente, alcune figure femminili della nostra Sicilia che lottarono, alcune con il sacrificio della propria vita, per contrastare il regime nazifascista che perpetrò lo sterminio nei campi di concentramento contro il popolo ebraico e contro gli oppositori.

Iniziamo da Maria Montuoro che era nata a Palermo il 16 ottobre del 1909 e che lasciò la Sicilia per partecipare alla Resistenza. Si recò in Lombardia e fu arrestata, insieme al fratello Alfonso ed al cognato Alfonso, in un’ operazione contro i GAP milanesi. Deportata prima a Fossoli e poi a Ravensbruck il suo numero era 49566. La costrinsero a lavorare in una fabbrica di armi dove lei, insieme ad altre donne, riuscì a boicottare la produzione di ordigni mortali. Lavorava a contatto con acidi e sostanze tossiche ma non chiese mai di cambiare mansione perché il controllo finale sui condensatori le permetteva di sabotarli e immetterli difettosi sul campo di guerra.

Riuscì a scrivere dei testi, giunti fino a noi, che ci rendono la testimonianza della vita nel lager che era il più grande campo di concentramento femminile della Germania nazista dove arrivarono a convivere, tra torture e stenti, fino a 45.000 donne. In sei anni furono detenute in quel luogo 125.000 donne ma ben 95.000 non ritornarono più a casa. “…Eravamo state stipate – scrive Maria Montuoro – nella baracca 18 per trascorrervi la quarantena…alle quattro e mezzo del mattino avremmo dovuto, come sempre, scattare al suono della sirena, vestirci, rassettare la cuccetta alla perfezione, lavarci pigiandoci a turno nell’esiguo lavatoio…le madri soffrivano più delle altre a causa della tragica separazione dai propri figli…”

Dalla sua testimonianza emergono come fantasmi donne che non hanno più nulla di femminile, di umano, magre come scheletri, senza capelli, con il volto tumefatto e gli occhi sporgenti. E Maria in mezzo a tutto quell’orrore ci descrive anche la tenerezza delle madri che nascondevano le foto dei figlioletti: piccoli quadratini di carta che rappresentavano un immenso tesoro e sicuramente la fonte dell’energia che le spingeva a sopportare e a non lasciarsi morire. Maria Montuoro resistette a quell’inferno e riuscì a ritornare a casa. Non fu così per il fratello. E’ morta nel 2000.

Graziella Giuffrida era nata invece a Catania nel 1924. A vent’anni si trasferì a Genova, insieme al fratello Salvatore per dedicarsi all’insegnamento. Nel capoluogo ligure si aggregò alle Squadre di azione partigiana. Il 24 Marzo del 1945 mentre si trovava a viaggiare su un tram, un gruppo di soldati tedeschi iniziarono a palpeggiarla e si accorsero che portava con sé una pistola. Venne subito trasferita al Comando dove verrà prima violentata e torturata e infine uccisa. Il suo corpo fu gettato in un fosso. Anche il fratello fu ucciso e la loro madre impazzì per il dolore. A Genova una strada porta il suo nome e una targa commemorativa ricorda il sacrificio di fratello e sorella. A Catania, intitolata con dicitura impropria, c’è  una via  Fratelli Giuffrida e  una lapide ricorda il loro sacrificio.

Franca Alonge era nata a Marsala il 22 Agosto del 1927. Era una ragazzina molto studiosa e dal carattere introverso. A diciassette anni, una sera d’estate, mentre ascoltava alla radio la voce gracchiante del generale fascista Rodolfo Grazia che invitava la popolazione a denunciare ed anche uccidere i “banditi” (così definiva i partigiani), prese una decisione importante. Convocò la famiglia e annunciò a tutti di voler partire per dare il proprio contributo alla lotta partigiana. Pur se addolorati, i familiari rispettarono la sua scelta: Franca diventò così staffetta partigiana nella zona delle Langhe. Fu uccisa l’undici gennaio del 1945 durante un agguato, pochi mesi prima della fine della guerra. Tre mesi dopo la sua morte, la madre, ignara della fine della figlia, con l’avvento della Liberazione, si recò a Torino per cercarla fra le colonne dei partigiani ma non la vide e restò con il soprabito che le aveva portato  per permetterle di cambiarsi.

Sempre a Marsala era nata Bice Cerè, il 10 settembre del 1925. Fu una militante della Sessantaduesima Brigata “Camicie rosse di Garibaldi”. Rimase ferita durante un attacco di paracadutisti tedeschi dopo la Battaglia di Ca’ di Guzzo, vicino Bologna. Riuscirono a trasportarla, ferita all’ospedale di Firenze ma non sopravvisse.

Stesso comune di nascita anche per Grazia Meningi nata il 3 Novembre del 1903. Il suo nome di battaglia era “signora Palmieri” combattente con la divisione “I Rossi combattenti” dal 12 Maggio del 1944 al 7 giugno del 1945. Nel 2017 la città di Marsala ha intitolato un parco alle tre concittadine.

Desideriamo chiudere questo nostro ricordo con una frase proprio di Maria Montuoro” … Se perdono vuol dire non desiderare/, neppure per un attimo che i vostri crimini ricadano sui figli innocenti/ in questo senso noi perdoniamo/…ma se perdono vuol dire disperdere la memoria come al vento la cenere dei morti/ chiudere occhi, orecchi, impedire al cervello di pensare/ mentre voi sognate altri massacri, altri bagni di sangue, altri roghi/ ebbene cercate altrove i vostri complici e vostri servi..”.

 

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