Fondato a Racalmuto nel 1980

“Gli anonimi”

Il racconto della domenica

Mirco Mannino

– Quindi, lei è giudice? Buon Dio, che lavoro impegnativo che si è scelto! Ma in fondo, ogni lavoro richiede una certa dose di impegno… Io invece opero in tutt’altro campo: sono un maestro di musica. Insegno alle scuole medie, sa? Forse, qual­cuno dei suoi figli è andato in alcune di quelle scuole e ha avuto me come insegnante? Certo, sono scuole pubbliche quelle dove insegno, non private… Forse che lei però, dalla sua statura socia­le, ha mandato a studiare i suoi figli in una scuola privata…? Ah, non ha figli? Fa niente, è lo stesso… Beh, se li avesse avuti, e semmai li avrà, certamente a scuola le farebbero il mio nome, che sia scuola pubblica o privata! Non mi crede? Ah, liberissimo di farlo! Ma vede, di insegnanti di musica di questi tempi non ce n’è tanti, sa… E i pochi che ci sono, sono a ridosso della pensione o insegnano senz’anima, come se dovesse­ro timbrare il cartellino ogni mattina e fare gli automi per quelle quattro o cinque ore al giorno per le quali sono pagati. Mi capi­sce, vero? Sarà capitato forse anche a lei durante la sua carriera…

Sì, succede – rispose il giudice evasivo.

Di tutto questo discorso il giudice aveva sentito giusto le ulti­me parole. Ascoltava questo signore conosciuto da neanche due minuti distrattamente, come se quell’uomo fosse un accessorio, un oggetto di arredo che potesse in qualche modo completare quei minuti di attesa. Per qualche istante era lì con lui alla fermata del tram, l’istante dopo era a pensare all’u­dienza che avrebbe dovuto tenere quel giorno. Poi di nuovo tor­nava con i piedi per terra: eccolo ancora lì, di fronte a quell’ac­cessorio, quell’accessorio che lo riempiva di parole senza sosta era sempre lì, davanti alla fermata del tram con lui.

Non è imprevedibile come si spiega la vita davanti a noi, eh? Nel senso: chi avrebbe mai detto che io sarei diventato maestro di musica e lei giudice? Se lo sarebbe mai aspettato lei, quando andava alle elementari e a malapena sapeva fare le tabelline?

No, certo che no.

E invece, poi, in qualche modo qualcosa cambia! – esclamò il maestro con impeto. – Succede, succede qualcosa. Un’ispira­zione, una chiamata dall’alto che ci mostra la via da percorrere! Non so se lei è cristiano… Ah, lo è? E sa bene, allora, quanti insegnamenti circa l’essere umili vengono decla­mati ogni giorno da quei pulpiti! Ebbene, non è anche vero però che la vita è come se ci volesse suggerire ben altro? Non trova lei che quando nasciamo, e mano a mano maturiamo, sia­mo irro­rati per così dire da un qualcosa di evanescente, impalpabile, che ci condiziona tutti quanti? E ci stimola sem­pre, ogni giorno ad essere meglio, a dover essere meglio degli altri, o quantomeno ad essere diversi, a doverci distinguere; ad essere in modo che io sia io! Che io sia il maestro di musica, proprio io: il signor Rinaldi e nessun altro! E lei, fuori da ogni dubbio è il giu­dice… Il giudice? Ah, non me lo vuole dire? Si sa, la riservatezza al giorno d’og­gi è importante… Co­munque, mi ha compreso?

Sì, trovo che sia vero – rispose con voce sorda il giudice, senza sapere neanche lui, a dire il vero, a cosa stesse risponden­do di preciso, data la raffica di parole che aveva appena ricevu­to.

C’è un non so che di stimolo, – riprese a parlare il maestro – che ci induce a volere essere superiori, a voler essere primi in qualcosa, gli unici ad essere in un certo modo o ad aver fatto la tale impresa. Ammetta, ammetta signor giudice che le cresce a dismisura l’orgoglio, quando di tanto in tanto passeggiando per strada viene riconosciuto da qualcheduno che le dice: “Oh, ma lei è il giudice tal dei tali? I miei complimenti per lei, mi è stato detto che lei è una persona davvero in gamba!”.

Beh sì, ammetto che qualche volta è successo – rispose il giudice, sempre con il suo stesso tono senza sentimento, arresosi all’idea di doverlo ascoltare.

E le ha fatto piacere, immagino, no? Lo è anche per me, eh! Si figuri! Quando mi riconoscono per strada, pure fuori città, si parano innanzi a me e mi di­cono: “Lei è il maestro di musica Rinaldi? Mi creda, lei è tra i migliori maestri della provincia!”. Af­fermazioni come queste le fanno crescere l’orgoglio, è inevita­bile! Ma, in fondo io ora mi chiedo: è veramente necessario aspi­rare a questo? Non dico agli elogi altrui, ma al desiderio sot­tile e penetrante di spiccare sugli altri. Non è questo desiderio al pari di una lama di indivi­dualismo che ci trafigge, e della quale non riusciamo a liberarce­ne? Non è come se fossimo tutti, tutti quanti, irrimediabilmente soli?

Il giudice questa volta non rispose. Lo guardava incuriosito, incuriosito su dove avrebbe virato il suo monologo.

Ne vale veramente la pena? – proseguiva senza sosta il mae­stro. – Secondo me, se tutti quanti pensassimo in tal maniera, non ne conviene che è come se tutti quanti fossimo indiscutibil­mente primi in qualcosa? E che ci facciamo lì sopra, tutti quanti accalcati sullo stesso podio? Io a insegnare la musica, lei a fare il giudice… E chissà quanti altri? Dio, che freddo che fa oggi! – e per un attimo il maestro smise di parlare per sfregarsi le mani, soffiandoci sopra.

Vi fu una pausa. Il giudice lo guardava fisso da sotto gli occhiali senza dire una parola.

Forse ai suoi occhi io sto farneticando, niente di nuovo per me! Sa cosa le dico? Che io di tutto questo mi sono seccato. Vor­rei che ci fosse un po’ più di mediocrità in questo mare di indivi­dualismo. Sempre con i piedi per terra siamo, no? Come io an­che lei, nonostante siamo  ̶  mi permetta  ̶  in due condizioni so­ciali ben differenti! Mi perdoni, non ho potuto fare a meno di notare il suo cappotto. Lo avevo visto nella vetrina di un abbi­gliamento di lusso, e ne fui subito innamorato! È per caso uno Zanchi questo? Ah, non me ne sfugge una! Ho un buon occhio sa… Purtroppo beni di questo genere non sono proprio per le mie tasche… Ad ogni modo! – e riprese. – C’è una cosa che mi sor­prende più di tutte le altre, più di ogni altra di questo mondo. Vuole sapere di che si tratta? – gli chiese il maestro chinandosi leggermente verso di lui, guardandolo in fondo negli occhi.

Mi dica – rispose il giudice, che adesso aveva pienamente tutta la sua attenzione.

Il fatto è che mentre tanti corrono per aggiudicar­si il primato in qualcosa, desiderosi di essere loro, loro e basta, loro gli unici indiscutibili; ci sono tanti a cui tutto questo non importa! Non li ha notati anche lei? Suvvia, è impossibile, ce ne sono a bizzeffe! Mentre tutti corrono frenetici, loro camminano, come se la cosa non gli interessasse. Cosa gli è successo? Non sono stati irrorati loro, come noi, dalla voglia di eccellere? E ce ne sono, eccome se ce ne sono! Quando fa la fila per prendere il pane, e si trova dietro il banco una signora che pare che l’abbia­no messa lì per caso, senza passione né niente, le dà quei due fi­loni che lei ha chiesto, che peraltro neanche poi sono tutta que­sta grande cosa, ma pur sempre buoni sono! O mentre è al mer­cato a fare la spesa e si trova sommerso dalle urla dei venditori, che non sa neanche chi scegliere, e in mezzo a tutti questi, ce n’è sempre qualcuno che se ne sta lì, dietro la sua bancarella con le braccia dietro la schiena a non dire niente, manco una parola; invece di affannarsi, invece di perdere fiato ed energie, se ne sta lì muto muto, e fa il suo lavoro di venditore. Perché lo scopo ultimo è vendere, mica urlare, no? Ebbene, sa cosa le dico? Che io questi altri, questi che se ne stanno in anonimato mentre tutti si accalcano; questi che cammi­nano mentre gli altri corrono: io li ammiro. E sa perché? Perché forse tutta questa corsa non ha poi così tanto senso; questo conti­nuo accalcarsi, alla lunga, stanca. E anche la cosa più bella, sa, essere riconosciuto per strada e ricevere elogi di ogni genere… Dopo poco spariscono, nell’aria. I complimenti, gli elogi, anche l’ego che in quei momenti cresce a dismisura; dopo poco tutto s’acquieta, torna normale nella sua calmerìa, e l’eccesso di que­ste sensazioni svanisce come vapore. Io prima, costoro… Questi di cui le ho parlato ora, li chiamavo gli altri, ma ho preferito poi elevarli a una figura ben più degna di reverenza. Per me sono anonimi, e nell’anonimato essi tracciano la loro vita, vi­vono i loro giorni e si rendono utili alla società senza farsi vede­re. Senza affannarsi, senza correre, senza ammalarsi. Sa chi vi­vrà più a lungo tra me e lei? Ebbene, signor giudice, capace che io e lei schiatteremo lo stesso giorno! Ma loro, gli anonimi, vivranno fin oltre gli ottant’anni senza sentire il peso della vecchiaia che grava sulle loro spalle, guardando noi, ormai stremati, cadere uno sull’altro! Uno sull’altro! Che destino ignobile, neanche uno spazietto forse riusciremo a ritagliarci! – e terminò con un sorriso amaro sulle labbra.

Un’altra pausa di silenzio ci fu tra i due, questa volta però si trattava di un silenzio gelido, da far venire i brividi.

Sa cosa le dico? – disse in tono vivace il maestro. – Io il tram oggi non lo prendo, mi faccio una passeggiata a piedi per il centro. Forse camminando riuscirò in qualche modo a scaldarmi. La saluto!

Il maestro fece per accomiatarsi dal giudice, ma non ebbe il tempo di fare neanche cinque passi, che fu richiamato da que­st’ultimo. Quando se lo ritrovò di fronte, il giudice si sfilò il cap­potto di Zanchi, lo piegò per bene sul braccio e lo porse al mae­stro. Nonostante questi invano sventolava le mani in aria, il giudice lo rassicurò in poche semplici parole:

Lo prenda senza imbarazzo. Ho corso abbastanza in questa vita da averne altri due a casa.

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Menzione speciale della giuria alla VII Edizione del Concorso letterario Raccontami, o Musa…”, bandito dalla Associazione culturale Musamusìa di Licata, presieduta da Lorenzo Alario, in collaborazione con la testata giornalistica online Malgradotuttoweb. Direttrice artistica del Concorso letterario la prof.ssa Angela Mancuso. Presidente della giuria Raimondo Moncada

 

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