Fondato a Racalmuto nel 1980

Mimmo e Venerando, onore alla memoria di due illustri grottesi

Il ricordo di Venerando Bellomo e Mimmo Butera sollecita riflessioni sul succedersi delle due stagioni della vita

Mimmo Butera e Venerando Bellomo (Foto di Angelo Pitrone)

Il ricordo di Gigi Restivo su Venerando Bellomo e Mimmo Butera evoca vissuti giovanili e sollecita riflessioni sul succedersi delle due stagioni della vita, la giovane età e la maturità dell’anziano. Proprio per ragioni di appartenenza alla seconda categoria dico a Gigi che mi sarebbe piaciuto stare con voi, con te Venerando e Mimmo, a cazzeggiare ma soprattutto a rievocare fatti del passato dei nostri piccoli paesi.

Come infatti ricorda il Card. Ravasi nel suo recente libro Cuori Inquieti, riportando una citazione dei Malavoglia, “i giovani hanno la memoria corta, e hanno gli occhi per guardare soltanto a levante; e a ponente  non ci guardano che i vecchi, quelli che hanno visto tramontare il sole tante volte”.

Gigi Restivo

La frase coglie nel segno perché le riflessioni di Gigi mi danno l’occasione per ricordare che il “cazzeggio”,  la conversazione ironica ed esilarante, dalle nostre parti, è un  modo di socializzazione non circoscritto a pochi amici. I cazzeggi in buona sostanza riflettono la natura del nostro stare insieme, specie nei momenti di pausa, quando si ha tempo per una passeggiata lungo il corso e per sorseggiare un caffè, una mezza granita, un gelato a pezzo (esistono ancora??) al bar del centro.

Ritornando al passato va detto che non tutte le riunioni amicali si sviluppavano su temi e confronti di taglio culturale ma tutti partivano da racconti passati, alcuni brillanti altri drammatici e tutti finivano per impegnare, soprattutto d’estate, intere nottate nella zona del vecchio bar Brunaccini o nella piazza oggi Carmona.

Ricordo che in una di queste occasioni, oltre quarant’anni fa, eravamo su piazza Carmona nei pressi della fontanella (oggi reperto storico, non potendo più assolvere, per assenza di materia prima, alla sua funzione naturale) a raccontarci vari aneddoti quando ad un tratto si sentono alcuni imprecare reciprocamente.

Si vedeva Lillo “nero (questo era il soprannome, non ricordo il cognome) della persona di cui parlo che lanciava pesanti epiteti contro altre persone che oggi non ricordo chi fossero.

Per i giovani Lillo “nero” era una persona all’epoca cinquantenne che era tornato dagli Stati Uniti (dove era emigrato da giovane) ed aveva aperto, con i pochi risparmi accumulati, un negozio di fiori al centro del paese, dentro il quale abitava. All’ora del tramonto era solito sedere davanti al suo locale e farsi qualche birretta. Capitava che per l’effetto delle birre qualche parola era male interpretata e così nascevano delle accese baruffe (che erano molto più impegnative delle baruffe chiozzotte del Goldoni). Questo fu il caso di quella nottata di quei lontani anni che diede luogo a due contrapposte fazioni che si fronteggiarono fino alla pugna. Noi eravamo lì a guardare ed a chiederci cosa fare per riportare il sereno, ma ad un tratto si sentì una voce lancinante, un grido disperato. Era quello di Lillo che reclamava il “fermi tutti”, ripetuto più volte con angoscia. Tutti ebbero paura, vista la piega che avevo preso il discorso, che fosse successo l’irreparabile e si bloccarono all’istante, rivolti con lo sguardo a Lillo per comprendere la ragione di cotanta disperazione. Lillo era travolto dal terrore, il suo sguardo somigliava al tratto della estrema disperazione che si trova nell’urlo di Munch.

Nessuno però in quegli attimi riusciva a comprendere cosa fosse successo di tanto grave.
Solo dopo esserci avvicinati per chiedere e dare aiuto Lillo ci spiegò con frasi concitate che nel parapiglia avevo perso la dentiera. Tutti rimanemmo attoniti a quella dichiarazione, perché non ci si capacitava della drammaticità dell’evento.

La dentiera di Lillo era parecchio instabile e perciò capitava spesso che uscisse dal suo alloggiamento ma mai era successo di non ritrovarla nell’immediato. Poi il grosso timore era che qualcuno dei facinorosi l’avesse calpestata. Senza indugio, di fronte a tanto strazio, ci siamo messi, anche quelli del fronte avversario, a cercare la dentiera, alla fine fu trovata in un angolo del bar accanto. Grande fu il sollievo di Lillo che, dopo averla sollecitamente riposta nel palato e berci su qualche bicchiere di birra, come era solito fare, perché era una bravissima persona, abbraccio e ringraziò tutti.

Va ricordato che lo scioppetto di birra aveva effetti taumaturgici secondo alcuni abituali consumatori del nostro paese. Ricordo che tanti anni fa, quando subimmo la piaga delle cavallette (erano grilli), vi fu persino chi dietro la somma di centomila lire (il denaro, ieri come oggi, aveva un forte effetto corruttivo, tanto da rendere appetibile un piatto impossibile) riusciva a mangiare un piatto di grilli vivi, purché sostenuto a fine pasto da uno sciopetto di birra. Quella piaga rispetto a quella attuale della siccità che sta iugulando l’economia siciliana e pregiudicando la qualità della vita di una intera regione fu ben poca cosa

Salvatore Filippo Vitello

Ecco io ora ho raccontato con lo sguardo dell’anziano un episodio di vita ordinaria vissuta da giovane. Potrei ancora aggiungere qualche riferimento al rapporto tra giovani e vecchi tratto dalla cultura biblica, che è la mia materia preferita e così evocare la cultura patriarcale che ha governato il sistema delle nostre relazioni fino a qualche decennio senza ancora liberarcene del tutto ma non potrei mai arrivare alle associazioni letterarie ai richiami alla cultura classica che avrebbero reso interessante un semplice “cazzeggio” paesano.

Questo lo poteva fare Venerando, grazie alla sua sconfinata cultura classica ed umanistica così come, lo avrebbe potuto realizzare Mimmo, con i suoi motteggi letterari e qualche richiamo a Leonardo Sciascia.

Con questo mio piccolo contributo ho cercato di arricchire il ricordo di Gigi Restivo e onorare la memoria di due illustri grottesi, che conserviamo con affetto.

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Salvatore Filippo Vitello

Procuratore generale presso la Corte d’Appello di Roma 

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Venerando c’è ancora e, se rileggiamo i suoi scritti, vive insieme a noi

 

 

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