Quando un film riporta alla memoria un racconto familiare
Nel 1917 mio nonno Giuseppe aveva 22 anni, era nato nel 1895, morirà nel 1979. Era uno dei tanti siciliani, come di altre regioni, che senza sapere il perché, si era trovato a combattere gli austriaci catapultato in una delle tante trincee del vasto fronte che si era creato nel Friuli Venezia Giulia, durante la prima guerra mondiale. Mi viene in mente l’incipit del Processo di Kafka: “Qualcuno doveva aver calunniato Josef K., poiché un mattino, senza che avesse fatto nulla di male, egli fu arrestato”. In questo caso particolare, mio nonno Giuseppe, di professione carrettiere, senza che avesse fatto nulla di male, si era trovato a combattere il nemico ed uccidere altri soldati in nome di un’entità astratta ed a lui estranea: la Patria,. Mi aveva raccontato, dietro mia insistenza, diversi episodi successi in quella guerra, una guerra che aveva voluto dimenticare.
La figura di mio nonno mi è venuta in mente in questi giorni dopo avere assistito al film “Campo di battaglia” di Gianni Amelio, appena uscito nelle sale, reduce dalla Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, appena conclusa. Nel film si assiste alla fucilazione di un soldato in procinto di tornare a casa, nel catanese, già reduce dal fronte ed orbo di un occhio. La sua fucilazione doveva servire da esempio alla truppa per impedire episodi di autolesionismo, per ottenere una cieca e passiva obbedienza (episodio che mi ha fatto ricordare mio nonno). In realtà tanti erano stati i soldati fucilati come monito, si ricorda a proposito il generale Andrea Graziani, passato alla storia come il generale delle fucilazioni, che aveva avuto il compito di mettere ordine nelle retrovie del Regio Esercito: l’ordine proveniva direttamente dal capo di stato maggiore Luigi Cadorna, teorico delle esecuzioni sommarie. Essere in un ospedale da campo nel nostro caso è come trovarsi in un campo di battaglia, come essere in trincea. Si confrontano ed affrontano, in questa storia, due diverse concezioni. Una che tende a considerare il soldato come essere da immolare ad un astratto ideale patriottico, l’altro che lo vede come un essere umano, con i suoi bisogni e le sue paure.
Siamo nel pieno della prima guerra mondiale, ma nel film non c’è un’azione di guerra guerreggiata, non uno scontro con il nemico. Lo scontro si svolge tutto in un ospedale da campo, dove un’umanità segnata nel corpo e nello spirito langue in attesa di un destino ignoto. Sopravvivere per tornare al fronte, dove trovare morte certa o lasciarsi morire per autolesionismo? Fra le due alternative una terza è cadere vittima del “fuoco amico”. Il neologismo, creato di recente, allora ignoto, per specificare di cadere sotto i colpi degli stessi commilitoni o degli alleati.
Dopo più di cinquant’anni assistiamo ad un altro film che mette in luce la follia della guerra, di tutte le guerre, attraverso la riproposizione di episodi della Prima guerra mondiale. Come non ricordare Il film “Uomini contro” di Francesco Rosi, con un insuperato Gian Maria Volonté, dove si denunciava l’impreparazione del nostro esercito e l’arroganza dei comandanti militari italiani. Spero che la scarsa lettura di libri venga colmata con la frequenza cinematografica. Questi film, come tanti altri, sono infatti tratti da libri. Un anno sull’altipiano di Emilio Lussu aveva ispirato Uomini contro, come La sfida di Carlo Patriarca ha ispirato Campo di battaglia. Un ottimo Alessandro Borghi impersona il tenente Giulio, mentre nelle vesti del suo antagonista il capitano Stefano troviamo Gabriel Montesi. Tra loro l’infermiera Anna, Federica Rosellini, mancato medico che ama i due ufficiali e da entrambi, in modo diverso viene ricambiata. Anna è il personaggio che riassume la tragica contraddittorietà delle diverse concezioni etiche dei due medici.
Un film riporta alla memoria un racconto familiare, il racconto di mio nonno Giuseppe. Un film dovrebbe fare ricordare a tutti l’inutile perseverare nella violenza, nella violenza degli Stati che genera conflitti e guerre.
Dovrebbero bastare le cifre dei morti e dei feriti, che questo film ci ricorda nei titoli di coda, in seguito a questo conflitto, per farci riflettere su tutte le guerre, soprattutto su quelle che ancora ci affliggono. La guerra russo-ucraina che ha fatto già più di centomila morti è ancora in corso e si è trasformata in una guerra di trincea. Ecco tornare ancora prepotentemente il ricordo del fronte italiano durante la prima guerra mondiale. Non solo, questa guerra ci ricorda anche come queste morti sono vittime di armi che anche l’Italia continua ad inviare in nome di un concetto astratto di solidarietà internazionale. Perché se dovessimo aiutare tutti i popoli che combattono per la loro indipendenza e libertà non si spiega come mai le armi vengono regalate ed inviate solo all’ Ucraina.
La pace non si costruisce certo con le armi, oggi come sempre, ma con l’aratro, il lavoro della diplomazia. La base su cui costruire qualsiasi concetto di libertà, indipendenza e democrazia dovrebbe essere la pace. La pace sempre senza se e senza ma!