Fondato a Racalmuto nel 1980

Dedicato a tutte le donne che sanno reagire e lottare

Donne che magari non avranno mai spazio sui libri, ma che con il loro esempio possono smuovere le coscienze, scuotere dal torpore i rassegnati, proporre esempi.

Valeria Iannuzzo

Non sempre la giustizia è giusta. Per fortuna, in questo caso, nonostante tutto, lo è stata: ha riconosciuto colpevoli tre dei quattro imputati che nel lontano 13 maggio 2015 avevano abusato di una bambina. Sì, una bambina di appena 11 anni che insieme ad alcune coetanee, nei giorni successivi alla festa della Madonna di Fatima ad Aragona, iniziava ad assaporare un po’ di autonomia, recandosi al luna park a poche centinaia di metri da casa. Trascinata in un vicolo la piccola era stata abusata da tre giostrai. Tre uomini, se di uomini possiamo parlare, avevano messo le loro mani su un corpo ancora innocente.

Un atto bestiale si direbbe, ma in realtà le bestie queste cose non le fanno. Il 16 gennaio scorso i giudici della prima sezione penale del tribunale di Agrigento, presieduta da Alfonso Malato, hanno emesso la sentenza di primo grado: tre condanne a 12 anni di carcere per ciascuno. Il quarto imputato, nel frattempo, ha fatto perdere le sue tracce e il collegio ha dichiarato la nullità del decreto che dispone il giudizio. Gli altri tre sono stati, invece, condannati perché riconosciuti colpevoli di avere abusato della bambina, perché ad undici anni si è ancora bambine.

La vittima, durante l’incidente probatorio, aveva confermato in aula i fatti, facendo scattare l’inchiesta e il processo. Un iter processuale lungo 10 anni che approda ad una sentenza giusta dovrebbe alleviare il dolore inflitto ad una bambina di undici anni, le angosce vissute dalla sua famiglia, le ansie a cui quotidianamente sono state sottoposte le due protagoniste di questa bruttissima pagina di cronaca. Sì, perché sono due le donne che hanno affrontato una battaglia che tante vittime non riescono ancora ad affrontare. Perché dietro ad una storia di violenza non c’è solo la vittima, in questo caso una bambina di undici anni nel frattempo diventata donna. C’è anche una madre che non ha potuto tacere il suo dolore, che ha chiesto giustizia con tutte le forze che ha avuto in corpo, che non si è piegata di fronte alla gogna sociale che nei piccoli paesi sa essere spietata.

Dietro questa storia c’è una madre che ha incoraggiato e sostenuto la figlia affinché denunciasse. Udienza dopo udienza, rinvio dopo rinvio, sempre presente e discreta, a testa alta ha chiesto che fosse fatta giustizia non solo per sua figlia, ma anche per tutte le altre vittime di violenza che nel tempo sono rimaste in silenzio perché incapaci di denunciare. Ha lottato a denti stretti per chiedere giustizia anche a nome di quelle madri che non sono state capaci di lottare per le proprie figlie, quelle che hanno preferito, seppure con grande dolore, il silenzio alla vergogna. Perché ancora è troppo spesso la vergogna che frena le donne a chiedere giustizia, a rivendicare i propri diritti, a farsi spazio in una società che tutela gli uomini e mette all’angolo le donne. Ma in questa brutta pagina di cronaca c’è anche la vittima, c’è soprattutto la vittima, che è dovuta diventare troppo presto grande per affrontare un processo penale, guardando in faccia i suoi aguzzini. E per comprendere quanto dolore un iter processuale tanto lungo possa infliggere alla vittima e ai suoi familiari bisognerebbe indossare almeno solo una volta i loro panni. Ma la grandezza delle donne sta proprio in questo. Sta nel riuscire ad indossare anche le scarpe più scomode regalando a chi incrocia i propri passi sempre un sorriso mentre guardano dritte avanti l’obiettivo da raggiungere.

E così, mentre una madre lottava per chiedere giustizia, la figlia si concentrava nello studio, alimentando le proprie conoscenze e accrescendo la propria cultura in un percorso universitario fatto di successi e gratificazioni. Ed è la cultura che fa la differenza. È la cultura che sostiene le donne nell’affrontare le battaglie per rivendicare i diritti negati. È la cultura che rende liberi di pensare, di agire, di cambiare il mondo.

Ecco, nella giornata internazionale della donna, ci piace ricordare le donne che con il loro esempio hanno fatto la storia, non solo la grande storia, ma anche la micro storia. Sono donne che magari non avranno mai spazio sui libri, ma che con il loro esempio possono smuovere le coscienze, scuotere dal torpore i rassegnati, proporre esempi. E se anche una sola donna, dopo aver conosciuto questa storia, avrà il coraggio di denunciare, di non stare “Zitta e muta” come i retaggi culturali ci hanno spesso imposto, da donna posso affermare che un altro piccolo tassello verso l’emancipazione femminile è stato ancorato su quel complicato ed immenso puzzle chiamato società, una società equa, si spera, attenta ai diritti di tutti, che riconosca non solo sulla carta ma soprattutto nei fatti la parità di genere.

 

 

 

 

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